martedì 27 aprile 2010

Horror Frames: Patto di sangue


Ve lo ricordate Non entrate in quel collegio? Uno slasher non privo di meriti nell'epoca d'oro di quel genere, i primi anni '80 che il rititolaggio italiano ha fatto rientrare nella lunga lista delle cose che non si devono fare se si vuole continuare a vivere tranquilli: Non aprite quella porta (se dovete uscire usate la finestra), Non guardate in cantina (se vi serve del vino andate al supermercato), Non aprite quell'armadio (l'avete riempito di naftalina al precedente cambio di stagione), Non entrate in quella casa (sarebbe violazione di domicilio) e così via.

Be', come i più informati di voi sapranno, hanno fatto il remake anche di quello e qui da noi l'hanno intitolato Patto di sangue. Di questo film e degli horror studenteschi in genere si occupa la puntata della mia rubrica Horror Frames su MyMovies. Per leggerla basta che andiate qui.

Sopra una foto di Barbara Evigan nel film.

giovedì 22 aprile 2010

Lassie e Bob Dylan


Le canzoni del repertorio di Bob Dylan sono state usate nelle colonne sonore dei film più disparati. A questo fatto ho dedicato un capitolo del mio libro Il cinema di Bob Dylan, evidenziando i vari aspetti dell’approccio con le canzoni di Dylan da parte delle produzioni cinematografiche. Tra questi aspetti, il più diretto è quello che considera le canzoni di Dylan al pari delle altre, come semplici canzoni adatte a commentare una determinata sequenza, contrapposto in particolare a quello che invece le usa anche e soprattutto per il loro valore evocativo di un’epoca e dei suoi ideali.

Molti esempi sono citati nel libro. Un altro, curioso, lo aggiungo qui.

Qualche giorno fa stavo guardando per motivi parentali Lassie, una delle tante rielaborazioni delle avventure del famoso collie, creato nel 1938 sulla pagina scritta e lanciato al cinema nel 1943 con Torna a casa Lassie interpretato da Elizabeth Taylor e Roddy MacDowall. Questa versione, diretta nel 1994 da Daniel Petrie, è interessante perché autoreferenziale e quasi mitologica: Lassie guarda le avventure di Lassie alla Tv e va laddove c’è una famiglia da adottare e aiutare, un po’ come Maciste nei film mitologici degli anni ‘60, anche lui sempre diretto dove il suo aiuto serviva, fosse anche un tempo del tutto incongruo (come in Maciste all’inferno, Zorro contro Maciste e altri ancora). Tra gli interpreti, oltre a Frederic Forrest (mitico Hammett per Wim Wenders nello sfortunato film omonimo), c’è Helen Slater, già famosa Supergirl nel floppone altrettanto omonimo.

A un certo punto, a sorpresa, in un momento molto allegro e uplifting si sente Forever Young. A questa canzone di Bob Dylan ho già dedicato un post qualche tempo fa sottolineandone le caratteristiche e la sua dipendenza dall’interpretazione. La cosa curiosa è che in Lassie viene usata l’”altra” versione presente nell’album Planet Waves, quella “veloce” che trasforma la canzone in un inno all’ottimismo. Proprio a questo scopo viene utilizzata nel film, con acutezza, dimostrandosi una scelta azzeccata e vincente per caratterizzare la positività della situazione in un tripudio di sano buonumore. Una scelta inusuale - soprattutto in un film di Lassie - ma giusta, che dimostra attenzione e spirito controcorrente.

Per tutti i cinefili cinofili dylaniani (se ce ne sono).

Incidentalmente, a Lassie sono in qualche modo legato perché negli anni ‘90 ho scritto quasi tutte le storie che la vedevano protagonista di una nuova serie di fumetti pubblicata ne Il Giornalino.

Qui sopra, il cast del film.

martedì 20 aprile 2010

Movie Posters






Qui ho parlato del cofanetto edito dal Museum of Modern Art di New York e contenente 50 cartoline riproducenti altrettanti poster di B Movies. Ma dato che qui non si fa solo cultura bassa, ma anche non dico alta, ma di mezza altezza, stavolta parlo dell'analoga iniziativa del MoMA intitolata Movie Posters.

Le caratteristiche sono esattamente le stesse, ma la mancanza della lettera "B" fa pensare che l'obiettivo stavolta sia il cinema cosiddetto di serie A. Che dite? A guardare i manifesti riprodotti qui sopra non si direbbe? In realtà, sono io che sono stato un po' tendenzioso e ho scelto manifesti di genere tra quelli - anche molto classici (Via col vento, Casablanca...) - contenuti nel cofanetto. Tra l'altro, la divisione tra A Movies e B Movies non ha più alcun senso da decenni, come ben sapete. Roger Corman - grande autore prettamente "di genere" - ama dire, con ironica precisione, di non aver mai diretto un B Movie perché all'epoca dei suoi esordi il doppio programma (con un filmone di serie A e un filmetto di serie B) già era da considerarsi estinto. Ma tant'è, il termine è rimasto e ce lo teniamo.

Qualche accenno ai film di cui riproduco i poster (che nel cofanetto sono stampati in modo eccellente). Shaft il detective è un caposaldo della blaxploitation e ha lanciato Richard Rountree (l'ha lanciato non troppo lontano, ma comunque gli ha assicurato una buona carriera). Curiosamente, il poster è proprio quello dell'edizione italiana del film. Il castello maledetto è, per autocitarmi (dal Dizionario dei film horror), "il prototipo delle commedie orrorifiche ambientate nelle 'vecchie case oscure'" e, oltre a questo, è uno dei capolavori di James Whale, regista primo Frankenstein karloffiano. I diabolici è un film magnifico e anch'esso è un prototipo di un certo tipo di psycho-thriller: film molto imitato, è diretto da uno dei miei registi preferiti in assoluto (H.G. Clouzot). King Kong... be', è King Kong, quello vero e non c'è altro da aggiungere.


lunedì 19 aprile 2010

The Final Destination 3D


Nuova recensione su MyMovies: l'oggetto questa volta è The Final Destination 3D, nuovo sequel-remake nella fortunata serie. La novità questa volta è l'uso del 3D, come si può intuire dal titolo italiano. Chi vuole leggere la recensione deve solo seguire questo link. Il regista è David R. Ellis, già autore di Final Destination 2 e Snakes on a Plane.

Buona lettura e buona visione.

sabato 17 aprile 2010

Il Dizionario dei film horror e Herk Harvey


L’indice dei registi contenuto nel mio Dizionario dei film horror (Corte del Fontego) è utile non solo per ricostruire filmografie e seguire i percorsi nel genere compiuti dai registi che l’hanno frequentato più o meno assiduamente, ma anche per piccole ricerche statistiche un po’ futili, ma divertenti (almeno per me, che mi diverto anche con poco). Quella che viene subito in mente tende a scoprire quale sia il regista in assoluto più presente: l’ho fatta e ho scoperto chi è, ma, dato che voglio andare controcorrente, non ne parlerò adesso bensì in un prossimo post.

Adesso voglio invece parlare di quei molti che sono rappresentati nel Dizionario dei film horror con un solo film. Alcuni perché hanno frequentato il genere solo in modo del tutto occasionale dedicando il grosso della loro attività a generi diversi, altri perché hanno diretto solo un film. Quel film. Tra questi ce ne sono alcuni che hanno accompagnato quell’exploit registico a carriere cinematografiche in altri ambiti (Tom Savini, per esempio), ma ce ne sono altri che nel campo del cinema professionale hanno fatto solo quello. Tra questi alcuni che avrebbero fatto magari meglio a non fare neanche quello e altri che hanno prodotto piccoli capolavori. Richard Blackburn (Lemora la metamorfosi di Satana) e John Parker (Dementia) sono solo alcuni esempi di autori notevoli danneggiati dalle circostanze.

Il caso più significativo è però forse quello di Herk Harvey che per molti versi richiama il George A. Romero de La notte dei morti viventi, ma con esiti del tutto diversi. Come Romero, Harvey proveniva da ambiti correlati a quello del cinema vero e proprio - Romero dalla pubblicità, Harvey dai film industriali - e come Romero, Harvey ha prodotto con soldi suoi e di conoscenti (un principesco budget di ben trentamila dollari!) un piccolo e cupo horror con l’idea di vedere come andava. Come Romero, Harvey non ha praticamente guadagnato un cent dal film (anzi lui, come gli altri, ha perso interamente quanto investito), per il fallimento non proprio specchiato della casa distributrice, ma diversamente da Romero per lui l’avventura nel cinema che conta è finita lì ed è tornato nei ranghi, a produrre film educativi e industriali.

Carnival of Souls (1962) - la scheda la potete leggere sul Dizionario dei film horror, se volete - è un film molto imitato e decisamente affascinante. Da vedere. Richiama e prefigura La notte dei morti viventi per atmosfere e scelte stilistiche, pur essendone completamente diverso. Girato interamente on location, ha la stessa aria da neorealismo horror, virato in questo caso più sul magico e sul surreale. Un film ipnotico e riuscito, realizzato con poco, ma con inventiva.

Intervistato da Tom Weaver in Science Fiction Stars and Horror Heroes (MacFarland, 1991), Harvey tra le altre cose ha rivelato che un’intera bobina del film è stata perduta dal laboratorio di sviluppo: una delle più suggestive, tra l’altro, con gli spettri che uscivano da Salt Lake. Nonostante tutte le sfortune legate al film, Harvey ha detto a Weaver: “A quel tempo nelle nostre vite Carnival of Souls è stato un’espressione del nostro desiderio di entrare nel mondo del cinema. È stato un periodo eccitante per tutti noi che ci abbiamo lavorato, un periodo davvero godibile. Anche se lavoravamo per lunghe ore, era un film nel quale ci stavamo esprimendo, facendo cose nuove e cercando di farlo con pochissimi soldi”.

È morto il 3 aprile 1996 - poco più di 14 anni fa, quindi - senza più dirigere un lungometraggio a soggetto. Un peccato.

La foto qui sopra è tratta dal libro di Weaver (che, come tutti i libri di Weaver, è imperdibile, una miniera di fatti e interviste con attori e autori spesso elusivi: ve ne cito solo un’altra per rendere l’idea, Acquanetta) e ritrae Harvey mentre, ironicamente, ripete l’espressione che aveva quando interpretava la spettrale figura che si vede più volte in Carnival of Souls.

giovedì 15 aprile 2010

Horror Frames: Dead Snow


Ancora una piccola segnalazione di servizio per gli interessati: stavolta la mia rubrica Horror Frames su MyMovies si occupa di nazisti in chiave horror, con particolare riferimento al film norvegese Dead Snow di Tommy Wirkola, che recupera la particolare tradizione dei nazi-zombie, risalente ai tempi di L'occhio nel triangolo (valorizzato dalla presenza di Peter Cushing). Chi vuole leggere l'Horror Frames in questione non ha che da andare qui.

Nella foto qui sopra, un'immagine dal film (ci può essere una frase più inutile di questa?).

mercoledì 14 aprile 2010

Ancora su La città verrà distrutta all'alba


Chi è interessato a leggere l'approfondimento che ho scritto sul remake di La città verrà distrutta all'alba, con particolare riferimento al confronto con l'originale di George A. Romero, può andare qui, su MyMovies.

lunedì 12 aprile 2010

Breve reportage da Torino Comics




Più che breve, brevissimo. Anche perché non c'ero e quindi dovrei inventarmi tutto. C'erano però i prodi Davide Corsi e Alessandro Gottardo. Quest'ultimo mi ha fornito diverse foto scattate in loco (per la maggior parte da lui, tranne quelle in cui c'è anche lui dato che non ha ancora perfezionato lo scatto breve - nel senso di corsa - che permette di impostare l'autoscatto e fiondarsi in mezzo al gruppo in posa senza avere il fiatone al momento in cui la foto viene immortalata).

Nella prima di queste foto si può vedere Ivo Milazzo impegnato in una fervida conversazione. Nella seconda spicca un folto gruppetto composto nell'ordine, da sinistra, da Davide Corsi, Davide Caci, Giorgio Figus (che, da torinese, giocava in casa, senza quindi poter migliorare la media inglese) e Alessandro Gottardo. Nella terza si vede Gianfranco Goria. In un paio di queste foto si intravedono particolari di una tavola appartenente a un misterioso progetto fumettistico nel quale sono coinvolto anch'io (oltre a Davide Corsi e Alessandro Gottardo).

Non metto alcun riferimento qualificativo ai nomi suddetti, nell'auspicio che tutti sappiano chi sono, vista la chiara fama. Se qualcuno invece ha delle lacune e non sa chi sono, be'... come diceva Totò, si informi!

Per concludere questo informativo reportage posso dire che Alessandro mi ha riferito che è stato tutto molto divertente. La prossima volta magari cerco di svitarmi dalla poltrona e di farci un salto anch'io.





domenica 11 aprile 2010

Tim Burton al MoMA


La mostra principale attualmente in corso al Museum of Modern Art di New York è dedicata a Tim Burton e, in attuazione degli standard di qualità che ci si può aspettare da un’istituzione così prestigiosa, è assolutamente fantastica e imperdibile. Non mi voglio dilungare, però è il caso di dire che sono rappresentati, con elaborati, documenti e opere, tutti i vari periodi del percorso artistico di Burton, dai primi tentativi ai film della consacrazione e oltre. Tra le curiosità esposte, lo scambio di lettere con la responsabile di una casa editrice (non occorre dire quale, ma è molto famosa) cui l’ancora liceale Burton aveva inviato una sua opera (anch’essa esposta: una sorta di fiaba illustrata) ottenendone un garbato rifiuto molto acutamente motivato e, comunque, molto supportivo. Proprio come succede in Italia, dove le lettere di rifiuto - se riescono a materializzarsi - sono una sorta di modulo prestampato e del tutto impersonale. Che sia per questo che negli Usa ogni tanto il talento viene ancora premiato e riesce a emergere?

Come in ogni mostra che si rispetti, c’è anche un catalogo, la cui copertina è riprodotta qui sopra. Anche il catalogo è imperdibile. Dopo una dichiarazione di Tim Burton e la presentazione di Glenn D. Lowry, ci sono due interessante saggi, il primo di Ron Magliozzi (che inizia con questa significativa frase: “For Tim Burton, drawing is exercize for a restless mind”) e il secondo di Jenny He (An Auteur for All Ages). Ma soprattutto ci sono le riproduzioni di decine e decine di disegni di Burton, a testimonianza di uno stile e di una versatilità notevoli. Al di là del valore dei suoi singoli film - comunque generalmente elevatissimo - Burton è uno dei pochissimi autori cinematografici di questi anni ad avere una personalità così forte e caratteristica da rendere immediatamente identificabile, anche dopo pochi fotogrammi, ogni sua pellicola. Non è poco, in questo mondo così omologato e appiattito. Questa mostra e questo catalogo celebrano la sua diversità e la sua grandezza.

sabato 10 aprile 2010

B Movie Posters






Mi hanno sempre affascinato i manifesti cinematografici, in particolare quelli di una volta, quando era il disegno a farla da padrone. Oggi, i manifesti sono quasi esclusivamente fotografici e hanno perso l’impatto favolistico per guadagnarne in efficienza pubblicitaria, almeno così si dice. Inutile dire che i manifesti che mi piacciono in particolar modo sono quelli, bizzarri e rutilanti, dei film di genere, capaci di creare aspettative che quasi sempre non trovavano riscontro nei film cui si riferivano.

Nel corso degli anni sono state molte le pubblicazioni che hanno raccolto parte di questo tesoro altrimenti effimero. I volumi dedicati ai poster cinematografici sono tra quelli più piacevoli da sfogliare, passando attraverso mondi fantastici, orripilanti e/o titillanti. Segnalo quindi una raccolta che ho visto da poco - ma magari non è recentissima - e che è edita dal Museum of Modern Art di New York, più familiarmente MoMa. Si tratta di un cofanetto che racchiude cinquanta cartoline ciascuna delle quali riproduce un poster. Il titolo è
B Movie Posters e quindi è a quel variegato genere di film che i poster appartengono. Confezione e riproduzioni sono perfette, sullo standard che ci si può aspettare da un istituto così prestigioso.

L’enfasi è sugli horror e sui film di fantascienza, ma sono ben rappresentati anche i juvenile delinquents e i film sulle bad girls, con Gloria Castillo in evidenza. La scelta va dal banale (nel senso di film, e poster, conosciutissimi) all’oscuro. A titolo esemplificativo ne riproduco quattro, relativi a film di vario interesse.
Mothra (1961) di Ishiro Honda appartiene al ciclo dei mostri giapponesi e ne è uno degli esempi più strani, con la farfalla gigante del titolo a rappresentare un’incongrua minaccia e soprattutto con le sue stranissime e adoranti ninfe (o quello che sono). Teenage Caveman (1958) è un curiosissimo fantapreistorico con colpo di scena diretto niente meno che da Roger Corman e interpretato da Robert Vaughn. Recentemente è stato oggetto di uno strano remake a opera di Larry Clark (più noto come regista di film su adolescenti per così dire problematici) intitolato didascalicamente - e con traduzione letterale - qui da noi Adolescente delle caverne (2002). Teenage Zombies (1959) è una bizzarria no-budget firmata dall’ineffabile Jerry Warren: a vedere la frase di lancio promette molto, ma purtroppo mantiene poco. I Married a Monster from Outer Space (1958) - qui da noi intitolato Ho sposato un mostro venuto dallo spazio, ovvero l’esclamazione che dev’essere venuta in mente a molte mogli alla prima visione del marito mentre assiste a una partita di calcio in tv - è invece un fantahorror coi fiocchi, ottimamente diretto da Gene Fowler jr.

Oltre a questi ce ne sono altri 46 e ognuno vale la pena, compreso quello, famosissimo, riprodotto sulla copertina e anch’esso relativo a un film diventato un vero cult.

venerdì 9 aprile 2010

Rosco, Sonny e una casa in vendita


Nel Giornalino n. 15, in edicola questa settimana, c'è un nuovo episodio della serie dedicata agli agenti speciali Rosco & Sonny. Come ho già ricordato più volte su queste colonne (anzi, forse la colonna è una sola), la serie è stata creata nel 1981 da Claudio Nizzi, uno dei massimi sceneggiatori italiani, per i disegni di Giancarlo Alessandrini. Quasi subito ad Alessandrini subentrò Rodolfo Torti, mentre diversi anni dopo ai testi arrivai niente meno che io.

L'episodio di questa settimana si intitola Una casa in vendita e molti saranno sorpresi di sapere che ha al suo centro proprio una casa della quale è in corso la vendita. A parte questo, Rosco e Sonny sanno che la casa contiene un mistero e devono cercare di scoprirlo e risolverlo. Ci riusciranno? Be', non pretenderete che vi dica tutto...

Qui sopra una vignetta, con l'inconfondibile stile di Torti.

giovedì 8 aprile 2010

La città verrà distrutta all'alba e qualcos'altro


Tra poco esce il remake del classico film di Romero. Chi vuole leggere la mia recensione sul sito di MyMovies non ha che da andare qui. Questa nuova versione è diretta da Breck Eisner e interpretata da Timothy Olyphant, Radha Mitchell e, soprattutto, Joe Anderson.

Per l'inerzia del jet-lag non ho aggiornato le ultime uscite - non che debba farlo sempre, ma quasi sì - perciò segnalo che, sempre su MyMovies, sono uscite una puntata di Horror Frames dedicata a Penny Dreadful e agli autostoppisti horror (sì, ci sono anche quelli) e la recensione di Hatchet, un revival dello slasher anni Ottanta.

Buona lettura, se vi va, e soprattutto buona visione per chi andrà a vedere i film (soprattutto
La città verrà distrutta all'alba). Nella foto qui sopra il cast del film: da sinistra, Joe Anderson, Timothy Olyphant, Radha Mitchell e Danielle Panabaker.

mercoledì 7 aprile 2010

Bob Dylan a fumetti (2)



So che l’attesa era spasmodica al punto da essere diventata quasi insostenibile, perciò passo alla seconda puntata del Bob Dylan a fumetti di cui ho cominciato a parlare qui.

Come ho già detto, si tratta di una miniserie che vede il vecchio Bob trasformato in un personaggio dei fumetti. Il secondo albo della trilogia è il n. 52 della collana Rock’n’Roll Comics ed è uscito nel settembre 1992.

Si intitola The Jester’s Thorny Crown (1966-1976) e percorre velocemente un altro decennio fondamentale della vita di Bob Dylan, partendo dall’incidente motociclistico del 1966 e arrivando alla seconda parte della Rolling Thunder Revue. Come al solito una cronologia abbastanza accurata dei fatti dylaniani accompagna lateralmente lo svolgersi del fumetto, senza che vi siano miglioramenti nella fisiognomica.

La somiglianza dei personaggi alle persone reali che intendono raffigurare è lasciata prevalentemente alla buona volontà del lettore e all’ausilio di didascalie e dialoghi. Nella vignetta che ho messo qui sopra si parla della collaborazione tra Johnny Cash e Bob Dylan nel 1968 e, guardando Dylan e Cash, si può capire cosa intendo.

A parte questo, il fumetto, pur essendo didascalico alla settima potenza, si mantiene onesto e di qualche interesse (solo ovviamente per chi è interessato a Dylan). Ed è curioso pensare che sia esistita un’intera - e lunga - collana dedicata a fumetti sui cantanti rock.

martedì 6 aprile 2010

Flani (5): La fabbrica dell’orrore


Un altro reperto storico dai (non poi così) mitici anni Settanta: La fabbrica dell’orrore, sicuramente nella top ten degli horror interamente girati in Cornovaglia, ma solo perché non credo ce ne siano più di dieci, se ci arrivano.

La scheda del film potete trovarla nel Dizionario dei film horror, se volete. Qui sottolineo come si trattasse di un “veicolo” per Mike Raven, mancata star dell’horror britannico. Nel cast - e la cosa è più interessante - c’è anche Me Me Lay, indimenticata protagonista di Il paese del sesso selvaggio.

Quando l’ho visto al cinema La Quirinetta (o era l’Arcobaleno? Forse era proprio l’Arcobaleno: entrambi comunque non esistono più da parecchio) mi aspettavo molto e sono rimasto piuttosto deluso. Ma perché mi aspettavo molto? Leggete il flano per capirlo: a quei tempi davo retta a quello che dicevano le pubblicità cinematografiche e l’enfasi non mancava di certo.

“Saranno i 90 minuti che ricorderete per tutta la vita!”. In effetti, mi manca ancora un po’ (spero un bel po’) da vivere e il film me lo ricordo ancora, ma me lo ricordo come qualcosa di piuttosto noioso. Inoltre non sono certo di ricordarmi tutti i 90 minuti, credo di ricordarmene al massimo una quarantina. Vale lo stesso?

Riguardo all’angosciosa domanda che ancora risuona (“Può una mente essere così diabolica da racchiudere un terribile segreto in un bellissimo corpo di donna?”), credo che la risposta sia sì, anche se non sono certo di aver compreso a pieno la domanda.

Mirabile come sempre la sintesi dei brevi giudizi de La Notte (ho conservato anche quello, pensate un po’): “Week-end da batticuore in casa di pittore psicopatico. Ma non è il solo ad avere le rotelle difettose”. Per la verità, mi pare che fosse uno scultore, ma chissà, forse dipingeva anche.