lunedì 31 ottobre 2016

Il cinema dell’eccesso vol. 2: cosa c’è dentro. Cap. 5 Juan Lopez Moctezuma

Il quinto capitolo del mio libro Il cinema dell’eccesso vol. 2 - Stati Uniti e resto del mondo (Crac edizioni) rimane in Messico, come per il capitolo precedente dedicato a René Cardona, ma mostra un aspetto del tutto diverso dell’exploitation messicana. Semplificando, ho descritto questo lato come quello “intellettuale”, in contrapposizione con quello “popolare” rappresentato da Cardona.

Moctezuma è stato un regista di pochi film e non tutti riusciti. Alcuni addirittura mai usciti e persi nel limbo delle visioni perdute. Nonostante ciò, è un regista significativo e importante, che non va dimenticato. Collaboratore del vulcanico Alejandro Jodorowski per le sue prime imprese messicane, Moctezuma mantiene qualcosa del surrealismo dirompente del maestro della psicomagia, ma dimostra una personalità autonoma e non irrilevante. The Mansion of Madness (o La mansion de la locura), tratto in qualche modo da Edgar Allan Poe, è un esordio fulminante e bizzarro. Mary, Mary, Bloody Mary è una conferma di talento e qualità indiscutibili. Ma Alucarda la hija de las tinieblas è l’apoteosi: un film che va assolutamente visto e che nel suo lucido delirio ha qualità visuali sorprendenti. L’ho anche inserito nella mia top ten esorcistica di cui ho parlato qualche tempo fa, ma a parte questo è un film ricchissimo di spunti e di inventiva.





 

Da lì in poi, l’integrità artistica di Moctezuma trova difficoltà a rapportarsi con le strettoie dell’indutria cinematografica e la sua carriera, tra qualche sussulto, termina anticipatamente. Come del resto la sua vita, nel 1995, ad appena 63 anni per un attacco di cuore. Spero che le poche pagine che gli ho dedicato possano incuriosire qualcuno e indurlo a vedere i suoi film. Chi lo farà non resterà deluso.


Qui sopra un'immagine da Alucarda.

venerdì 21 ottobre 2016

Il cinema di Bob Dylan a Babel



Oggi, nel primo pomeriggio, sono stato intervistato da Fulvio Toffoli (che ringrazio per l'ospitalità) all'interno del programma Babel, su Radio Rai Friuli-Venezia Giulia. Babel è un interessante programma culturale dedicato "a chi ama il cinema".

Il motivo che ha originato l'intervista è stato il Nobel a Bob Dylan e l'argomento dell'intervista è stato il rapporto tra Bob Dylan e il cinema, sul quale mi sono dilungato con piacere. Il motivo per il quale sono stato proprio io a dilungarmi sull'argomento è che, oltre a vari articoli al riguardo, ho anche scritto un libro completamente dedicato a Bob Dylan e il cinema, vale a dire Il cinema di Bob Dylan (Le Mani).

Le interviste radiofoniche in diretta mi generano sempre un po' di apprensione, ma in questo caso il clima è stato molto piacevole e rilassato, pur nella brevità della cosa.

martedì 18 ottobre 2016

Il premio Nobel Bob Dylan e il cinema


Per restare in argomento, segnalo il corposo articolo che ho scritto per MYmovies: in occasione del Nobel a Bob Dylan e alla moderata controversia che ne è nata (ben più grande è stato il plauso, com'è giusto), ripercorro il rapporto tra Dylan e il cinema, che di controversie ne ha suscitate ben di più. L'argomento è quello del mio libro Il cinema di Bob Dylan, ça va sans dire, ma questo articolo può essere un'utile introduzione e compendio. L'articolo potete leggerlo qui, sul sito di MYmovies.

Qui sopra un'immagine da Masked and Anonymous.

giovedì 13 ottobre 2016

Il Nobel per la letteratura a Bob Dylan

Dopo una ventina d'anni dalla prima segnalazione all'Accademia svedese, Bob Dylan ha ottenuto il premio Nobel per la letteratura, vale a dire il più prestigioso premio letterario. La notizia è di quelle destinate a suscitare reazioni contrastanti, ma non certo in me, che ritengo il premio come il naturale riconoscimento per un merito culturale innegabile. E' ovvio che c'è chi non è d'accordo per questioni soprattutto di "mezzo espressivo". La canzone non sarebbe letteratura perché è qualcosa che è previsto debba essere eseguita e non ha valore letterario assoluto a sé stante. Lo stesso si potrebbe dire per il lavoro dei commediografi, peraltro, che è scritto per essere rappresentato e non, di fatto, per essere letto (ma nulla vieta di leggerlo, come nulla vieta di leggere le canzoni di Bob Dylan). Peraltro, penso che pochi dubitino che se il Nobel fosse esistito ai tempi di Shakespeare questi non avrebbe meritato d'essere preso in considerazione. Ho letto di uno scrittore che commentava dicendo che allora adesso lui sperava di vincere un Grammy. Sì, certo. Come no. Se la qualità delle battute è questa, siamo a posto. Del resto, si sa che ogni volta che si propone qualcosa di inconsueto subito compaiono gli acidi custodi dell'ortodossia, campioni della forma sulla sostanza.

Ma queste sono questioni assolutamente insignificanti, controversie inutili che si possono lasciare a chi ama questo genere di cose. Bob Dylan, del resto, è abituato a dividere, anche in campo musicale. Non è mai stato per tutti.

C'è anche stato chi, entrando più nel merito, ha sottolineato come il premio dato a Bob Dylan significhi in qualche misura lo sdoganamento del testo per canzoni e il suo inserimento nella letteratura tout court (qualora non fosse già così). Credo sia vero solo in parte. Il premio a Dylan significa soprattutto un riconoscimento alla qualità elevata della sua scrittura, elevata al punto da trascendere il mezzo in cui ha scelto di operare. Nessuno, tra i songwriters, ha saputo creare un opus così ampio e ricco qualitativamente. Per cui, sì, potrebbe anche essere che un domani qualche altro cantautore lo raggiunga o lo superi, ma per il momento è proprio la sua unicità, anche nel campo, ad aver fatto la differenza. Un po' come successe per Dario Fo, scomparso proprio oggi.

A chi, comunque, continua a ritenere che il Nobel a un cantante sia una cosa assurda, consiglio di prendersi un po' di tempo per andarsi a leggere cosa ha scritto Bob Dylan, possibilmente in inglese o in subordine nella traduzione (validissima, per quel che è possibile) di Alessandro Carrera. Se lo farà senza pregiudizi (o magari anche con pregiudizi: potrebbe sorprendersi) si renderà conto del perché così tanti letterati e studiosi lo ritengono un poeta dei migliori. La profondità e la complessità della sua opera, la varietà tematica, l'insuperabile abilità nell'utilizzo delle parole, il rigore e la brillantezza della scrittura, la capacità di toccare il cuore e l'anima delle persone: tutte cose, assieme a molte altre, che lo qualificano come un artista del massimo livello.  Personalmente non credevo che l'Accademia avrebbe mai avuto il buon senso e forse anche il coraggio di compiere una scelta così controcorrente, ma sono contento che l'abbia fatto. E adesso aspettiamo di vedere cosa dirà Dylan al momento di accettare il Nobel: la storia ci insegna che i suoi discorsi di accettazione - dal laconico al logorroico - sono spesso pieni di sorprese.

lunedì 10 ottobre 2016

La Banda sul Messaggero dei Ragazzi n. 1005!

Nel numero 1005 del Messaggero dei Ragazzi (ottobre 2016), attualmente in distribuzione, c'è un nuovo episodio (il sesto) della serie che sto scrivendo. La seria, come ormai dovrebbe essere noto, si intitola La Banda e l'episodio in questione si intitola Halloween, in buona sintonia con il periodo.

In questa nuova storia, che stavolta eccezionalmente dura 9 pagine in luogo delle consuete 8, i ragazzi della Banda sono alle prese con la festa di Halloween che sono costretti a rivisitare in un modo per loro un po' inconsueto. Ai disegni (dopo Luca Salvagno, creatore grafico della serie, Francesco Frosi e Giorgia Catelan), arriva il bravo Isacco Saccoman, che se la cava più che egregiamente, sia nel'uso dei personaggi e delle ambientazioni sia in quello della leggibilità del fumetto.

Qui sopra alcune vignette tratte dalla storia. E buona lettura (a chi se la leggerà).

lunedì 3 ottobre 2016

L'esorcista

Sulla scia, probabilmente, della mia top ten sui film esorcistici, ho scritto per MYmovies una nuova recensione del film esorcistico per eccellenza, L'esorcista di William Friedkin. Se volete leggerla, cliccate qui, e fatevi trasportare in una rivisitazione di un classico senza tempo.

domenica 2 ottobre 2016

Red Net di Tiziano Cella

Una giovane hacker cracca un sistema di sicurezza e ottiene l’accesso a dei video nei quali un uomo (David White) è legato e torturato da una donna (Beatrice Gattai) perché non vuole rispondere alle sue domande. La donna carica la pistola con una sola pallottola e parte a formulare le domande: ogni volta che lui mentirà o non risponderà, premerà il grilletto, in una sorta di roulette russa ben poco volontaria. L’uomo ammette di chiamarsi Alex Spears e di essere a Roma per il suo lavoro alla Media Dab. La donna - che sa che lui è inglese ed è esperto di computer - vuole sapere di più sullo specifico cliente per il quale lui è a Roma. Alex spiega che si tratta di una persona che gli aveva chiesto di controllare il suo sistema di sicurezza. Ma la donna non ci crede e vuole conoscere che cosa lui sappia della Red Net. Si scopre che anche Julia (Claudia Marasca), compagna di Alex, è prigioniera, legata e imbavagliata. Lo scopo della sua prigionia è quello di fungere da stimolo ad Alex perché riveli quello che sa. Julia teme che i rapitori vogliano un riscatto perché lui lavora per una grande multinazionale, magari l’hanno scambiato per qualcuno di importante. Alex sembra non capirci nulla. Ma le cose sono destinate a complicarsi sempre più.

Dopo Subject 0: Shattered Memories, l’attore e regista Tiziano Cella (qui solo nella seconda veste: come attore lo ricordiamo in Doll Syndrome di Domiziano Cristopharo) torna con un nuovo film del tutto diverso. Il format è in sostanza quello del found footage movie, nel quale riprese “ritrovate” o “scoperte” rappresentano la “realtà” di ciò che è avvenuto. Il format è molto in voga negli ultimi anni, ma presenta vantaggi e svantaggi di natura strutturale che richiedono particolare cura e inventiva per arrivare a risultati positivi. Un difetto consueto è quello delle lungaggini determinate dalla mancanza di un montaggio di tipo tradizionale. Un altro è quello delle immagini volutamente mosse per mimare riprese amatoriali o comunque non professionali: alla lunga, per quanto possa essere verosimile che riprese del genere vengano effettuate così (ma verosimile sino a un certo punto: se si deve riprendere un interrogatorio è più probabile che si piazzi una camera fissa su un cavalletto, puntata sull’interrogato), dal punto di vista dello spettatore la cosa può essere un po’ stancante. Cella non evita questi difetti, ma cerca di neutralizzarli per quanto possibile puntando sulla creazione di un mistero e sul suo progressivo disvelarsi in una sorta di duello psicologico tra l’inquisitrice e l’inquisito nel quale ci si può aspettare ogni tipo di bugia. Lo sviluppo narrativo è un po’ lento e il gioco intellettuale tra i due presenta qualche momento di stanca, ma la vicenda mantiene, nel complesso, sufficientemente desta l’attenzione dello spettatore.

L’idea di realizzare una sorta di spy-movie con possibili riflessi catastrofici (c’è di mezzo un virus) come film da camera è piuttosto ambiziosa e curiosa, ma, come il McGuffin di Hitchcock, ogni motivo è buono per suscitare tensione (o, meglio, interesse a conoscere la soluzione) e creare un elemento di motivazione per il confronto. Inoltre, la tematica di fondo è suggestiva.

Austero e trattenuto anche nell’esposizione della violenza, il film si risolve in un confronto continuo tra gli antagonisti in cui le sorprese non sono estreme (l’identità della ragazza che nasconde il proprio volto non è tropo difficile da indovinare), ma il colpo di scena finale funziona. Tiziano Cella - che oltre a dirigere scrive la sceneggiatura insieme all'interprete principale David White - conferma buone doti di messa in scena, dovendo avere a che fare con un budget che si presume assai ridotto.


Buona prova dei due protagonisti che devono reggere quasi da soli il film: in particolare Beatrice Gattai
, perfettamente a suo agio nel ruolo, mostra una buona gamma interpretativa. Suggestivo ed efficace il brano Last Dawn di Ross Bugden.