sabato 27 marzo 2021

Segnocinema 228


Nel numero di Segnocinema attualmente indistribuzione, il n. 228 (marzo-aprile 2021), c'è un paio di miei modesti contributi, vale a dire qualche piccola considerazione sull'effetto Covid in relazione al cinema e la recensione del film Antrum - Il film maledetto. Va da sé che le cose importanti della rivista - imperdibile per chi si interessa al cinema - sono altre, ma, come si dice, è sempre un piacere partecipare.

mercoledì 17 marzo 2021

David McGillivray - Little Did You Know


Chi sia David McGillivray ogni appassionato di horror lo sa (o dovrebbe saperlo). McGillivray ha infatti lasciato il suo segno nel genere con un pugno di film molto significativi scritti per registi divenuti col tempo di culto, come Pete Walker o Norman J. Warren. Dietro a titoli importanti come Nero criminale o La casa del peccato mortale c’è McGillivray, con la sua scrittura feroce e lucida. Quello che gli appassionati di horror potrebbero non sapere - ma magari intuire, visto che la stagione horror di McGillivray è stata intensa, ma tutto sommato breve - è che la scrittura di film horror è solo una delle molte cose che McGillivray ha fatto nel corso della sua vita.

A colmare questa eventuale lacuna di conoscenza provvede l’insostituibile libro autobiografico di McGillivray, Little Did You Know (FAB Press, 2019, 330 pagine + indici). E sicuramente ben poco sapevamo di tutto quello che McGillivray ha deciso di portare alla nostra conoscenza con una franchezza a tratti sorprendente. McGillivray parla molto della sua carriera cinematografica e lo fa con l’arguzia, l’umorismo e l’autoironia che gli conoscevamo dai suoi irresistibili articoli autobiografici che aveva scritto per le antologie horror Shock Xpress (la serie denominata Spawn of Tarantula). E queste parti sono indubbiamente quelle che più interessano il cinefilo puro che può ripercorrere il curioso e vivace tragitto di McGillivray alla corte di Pete Walker, con le liti e le incomprensioni tra i due, incapaci forse di coesistere socialmente, ma capaci di produrre attraverso la loro bizzarra sinergia alcuni degli horror più potenti del periodo. Non mancano i ricordi anche del lavoro con quell’altro maverick dell’horror britannico, Norman J. Warren, per cui McGillivray ha tra l’altro scritto un horror singolare e strano come Satan’s Slave. E naturalmente ci sono anche ricordi del suo lavoro nella sexploitation, sottogenere che McGillivray non solo conosce per avervi partecipato direttamente, ma anche per averlo per così dire storicizzato in un libro antesignano e unico come Doing Rude Things. Dal punto di vista cinematografico sono anche interessanti i ricordi del periodo come critico cinematografico al Monthly Film Bulletin del BFI. All’epoca io ero abbonato al MFB e mi ricordo bene come leggevo con grande interesse le sue recensioni perché si occupava spesso dei film che interessavano di più a me, gli horror e gli erotici, quelli che gli altri critici probabilmente non volevano vedere. Nel mio piccolo, lo stesso è capitato anche a me quando facevo il recensore per un quotidiano e aspiravo a recensire Ossessione carnale di Larraz o Le porno hostess in 3D (e vi posso garantire che aggiudicarmi quei film non è stato per niente difficile perché gli altri critici non li volevano vedere: il difficile fu convincere il capo redattore a ospitare le recensioni sul quotidiano).

Ma tutto questo è solo una parte dell’autobiografia di McGillivray e nemmeno la maggiore. Perché, come si scopre meglio leggendola, McGillivray ha fatto moltissimo in campo televisivo e teatrale, come scrittore e anche come attore, dimostrando una grande poliedricità e una notevole capacità di cambiare registro: se vi capita potete trovare su YouTube la sua gag irresistibile sulla banconota da 20 sterline bloccata dalla ruota di un’auto parcheggiata. E i resoconti delle sue avventure teatrali non sono meno divertenti.

E anche questo non conclude l’argomento perché l’autobiografia di McGillivray tocca molti altri punti più personali che descrivono in modo schietto e vivace il tragitto di una vita vissuta intensamente, a volte facendosi trascinare dagli eventi e altre volte determinandoli, ma sempre con una vitalità e una voglia di vivere davvero invidiabili. La scrittura di McGillivray è, come ci si può aspettare conoscendone almeno un po’ le opere, sempre all’altezza, in grado di accompagnarci con brio e ironia anche nelle parti più aspre e nei momenti difficili che non sono mancati, come dimostra la descrizione dello sgomento per l’improvvisa irruzione dell’AIDS nel mondo spensierato dei primi anni ’80.

Libro altamente consigliato. Inutile dire che almeno per il momento non esiste l’edizione italiana, che io sappia.


giovedì 11 marzo 2021

Norman J. Warren (1942-2021)


Oggi se n’è andato anche Norman J. Warren, uno degli ultimi esponenti di un certo tipo di cinema che non si fa più. Tra horror, fantascienza e sexploitation, spesso tutti assieme, Warren aveva percorso la parte finale del periodo d’oro del cinema britannico di genere cercando di crearsi uno spazio dove proporre i suoi film. Per un po’ c’è riuscito, lasciando alcune pellicole di un certo rilievo e anche di un certo fascino. Poi, quando ogni spazio produttivo si è chiuso, ha smesso di produrre film, ma è rimasto una presenza brillante e interessante nelle varie convention dedicate al cinema di genere dove la sua figura veniva giustamente celebrata, anche al di là degli evidenti limiti di alcuni dei suoi film.

Gli ho dedicato un capitolo del mio libro Il cinema dell’eccesso - Volume 2 - Europa. Un capitolo scritto appositamente per il libro - diversamente da altri che erano rielaborazioni e aggiornamenti di articoli già usciti - proprio perché mi sembrava molto opportuno che lui, nel libro, ci fosse, quale rappresentante del comunque significativo e importante crepuscolo di una tipologia di cinema. Non a caso, il capitolo a lui dedicato nel libro si intitola Norman J. Warren: l’ultimo del suo genere. In quell’occasione mi sarebbe piaciuto riuscire a intervistarlo, ma non riuscii a trovare un contatto. Intervistai però David McGillivray che, oltre a essere stato lo sceneggiatore principe deli Peter Walker in versione horror, aveva scritto anche sceneggiature per Warren. In quell’intervista gli chiesi anche di Warren e lui mi rispose tra l’altro: “Warren era un amico prima che lavorassi con lui ed è un amico ancor oggi”. Segnalandomi comunque una differenza interessante nell’approccio ai suoi copioni: Walker in genere li girava com’erano, mentre Warren interveniva speso con modifiche.

A partire dai suoi cortometraggi, Incident e Fragment, Warren mostra personalità e stile che lo conducono all’esordio nel lungometraggio con film come Her Private Hell (1967), un esempio di sexploitation d’autore con una certa ambizione, e Loving Feeling (1968), meno riuscito e meno focalizzato. Ma la strada che si rivela la più personale e produttiva per Warren è quella dell’horror che abbraccia con l’interessante Satan’s Slave (1976), scritto da McGillivray, seguito poi da Delirium House - La casa del delirio (1978), ancora su copione di McGilivray e con chiare ascendenze argentiane. Il film per cui lo si ricorda maggiormente, però, è forse il fantahorror Inseminoid - Un tempo nel futuro (1981), chiaramente derivato dal successo di Alien, ma con sufficienti connotazioni originali da renderlo autonomamente valido. Il suo film che mi sembra comunque più interessante è forse Prey (uscito in Italia in versione alterata e con l’improbabile titolo Terrore ad Amityville Park), la storia di uno strano triangolo tra una coppia lesbica e un alieno mangiatore di umani. Il suo ultimo film, dopo altri titoli meno noti, è Bloody New Year (1987), curioso horror che gioca sulle dimensioni spazio temporali per creare un’atmosfera sospesa e spiazzante.

martedì 9 marzo 2021

La Banda nel Messaggero dei Ragazzi 1058


Nel numero 1058 (marzo 2021) del Messaggero dei Ragazzi è contenuto un nuovo episodio appartenente alla serie La Banda per la quale scrivo le sceneggiature da quando è cominciata: questa dovrebbe essere la venticinquesima avventura e si intitola Ma cos'è 'sta pubertà?

La storia, come capita talvolta nella serie, diversamente dal solito non è corale, ma si incentra su un personaggio che sinora non avevamo mai visto e cioè il fratello piccolo di Ettore, che invece è uno dei componenti storici della Banda e qui appare in quello che potremmo definire un cameo. Nando, il fratellino, si trova alle prese con qualcosa che non conosce e che un po' lo preoccupa, diciamo pure che lo spaventà: la pubertà. Il tono è leggero e divertente, l'argomento è particolare e spero interessante. Ai disgeni torna il grande Luca Salvagno, creatore grafico della serie. Qui sopra le vignette d'esordio della storia da cui si può subito capire la maestria di Luca.

domenica 7 marzo 2021

Caffè da Brivido e il Dizionario dei film horror

https://fb.watch/451W_uEQvD/

Sono stato ospite all'ottava puntata di Caffè da brivido, programma curato da Mattia Bob Malavasi e presentato da Daniele Piccirillo e Valeria Ghinelli in onda questa settimana su TRC Modena, TRC Bologna e Sky ER24. Maggiori dettagli sulla pagina Facebook di Caffè da brivido. Cliccando sul link qui sopra dovreste poter vedere il video (se sono riusito a linkarlo correttamente), altrimenti andate su Facebook. L'argomento della mia intervista è naturalmente il Dizionario dei film horror, ma si parla anche di It di Stephen King e delle sue incarnazioni telecinematografiche.


 

venerdì 5 marzo 2021

Surviving in a Ruthless World - Bob Dylan's Voyage to Infidels

 


Infidels, uscito nel 1983, è un album particolare e unico nella discografia di Bob Dylan, che si caratterizza per essere prevalentemente composta da dischi particolari e unici. Ma Infidels è diverso da ogni altro disco di Bob Dylan: è arrivato dopo dischi assolutamente diversi e il suo particolare sound e la particolarità delle sue canzoni sono rimasti senza seguito (un po' come avvenuto con Desire o Street Legal). All'epoca della sua uscita, Infidels venne considerato il ritorno al “laicismo” da parte di Dylan dopo la cosiddetta trilogia cristiana che tanto aveva sorpreso e diviso i suoi fan. Echi reggae, versi visionari e immaginifici assieme ad altri più apparentemente semplici, la chitarra di Mick Taylor, il ritmo sostenuto della mitica coppia composta da Sly Dunbar e Robbie Shakespeare, la meticolosa produzione (e la chitarra) di Mark Knopfler: tutto questo e molto altro rendono Infidels un disco di notevole bellezza e fascino. Anche senza considerare che due delle sue canzoni migliori, vale a dire Blind Willie McTell (una delle migliori canzoni di Dylan in assoluto) e Foot of Pride, non vennero nemmeno inserite nel disco e - a parte i benedetti bootleg - riemersero solo dopo anni in versione ufficiale nei primi volumi della cosiddetta Bootleg Series.

La storia di quel disco è ora in un ottimo libro. Surviving in a Ruthless World - Bob Dylan’s Voyage to Infidels, scritto da Terry Gans (tra le altre cose collaboratore a suo tempo di quella meravigliosa rivista dylaniana che fu The Telegraph sino alla morte del suo autore-editore John Bauldie) e pubblicato (in inglese) da Red Planet, ci dice tutto quello che c’è da sapere sulla realizzazione del disco, seguendo le mosse di Dylan a partire dalle premesse e dalla creazione delle canzoni a bordo della sua barca a vela nel mare dei Caraibi sino alle sessioni di registrazione con tutto il processo creativo a esse sotteso per poi arrivare alla post produzione e all’uscita del disco, senza trascurare i video che per la prima volta nell’epoca dei videoclip venivano realizzati su canzoni di Dylan. Il tutto con un livello di documentazione eccezionale grazie all’accesso da parte dell’autore al The Bob Dylan Archive dell’Università di Tulsa che come si sa ha acquistato da Dylan il suo archivio documentale. Così Gans ha potuto consultare tutti i note-book di Dylan, riuscendo a verificare il processo creativo con i vari spunti che via via si trasformavano - quando lo facevano - in canzoni compiute. E ha anche potuto ascoltare - dandone conto nel libro - tutti i nastri delle sessioni di registrazione, con le varie versioni delle canzoni, comprese quelle che non ce l’hanno fatta a finire sul disco e i frammenti, le cover, le warm-up songs. Il quadro che emerge è affascinante e, oltre a mettere voglia di riascoltare un disco così complesso e interessante, apre uno spiraglio unico nella mente creativa di Dylan e nei suoi processi. E nel passare in rassegna, nel dettaglio, a ciascuna delle canzoni di Infidels, il libro ci ricorda come anche un disco che di certo non è tra i più celebrati di Dylan contenga perle inarrivabili (Jokerman, giusto per citarne una) e sia ricchissimo di spunti, di stimoli e di profondità.

In sostanza, un libro del genere è imperdibile per chiunque sia interessato a Dylan (e chi non è interessato dovrebbe iniziare a farlo prima che sia troppo tardi). Dovrebbe essercene uno simile per ciascun disco di Dylan e speriamo che prima o poi ciò accada.