sabato 28 luglio 2012

Noul Val - Il nuovo cinema romeno 1989-2009

Il cinema romeno è largamente un territorio inesplorato dalla critica e, soprattutto, dal pubblico italiano. Eppure, esiste e presenta notevoli motivi di interesse.

Diversamente da altre cinematografie dell’ex blocco sovietico non era però riuscito a imporre figure di rilievo internazionale durante gli anni della guerra fredda. Non ci sono stati i Wajda (o, se si vuole, i Polanski, per quanto la sua attività polacca sia stata numericamente limitata) della Polonia o gli Jancso dell’Ungheria. Da noi i film romeni arrivavano sporadicamente e senza enfasi. E magari non i prodotti migliori, come, per fare un titolo, Caldi amori a zero gradi (1964). A memoria, il film che più ricordo aver destato interesse nella critica era stato Reconstituirea (1968) di Lucian Pintilie che, negli anni della contestazione, si era fatto notare per la sua struttura narrativa particolare e la sua originalità di fondo.


Con la caduta di Ceausescu e il tormentato percorso alla ricerca di una normalità istituzionale e democratica, le cose, cinematograficamente parlando, non sono cambiate molto, dal punto di vista dell’impatto sul pubblico italiano. è invece cambiato in modo sostanziale il panorama produttivo che, se è rimasto vincolato ai limiti di un’industria che stenta a decollare, si è popolato di figure nuove e di personalità non trascurabili, che si sono aggiunte a quelle che, sopravvissute alle difficoltà artistiche sotto il vecchio regime, hanno (ri)cominciato il loro percorso autoriale. Lucian Pintilie, in questo senso, è il trait d’union tra vecchio e nuovo e il suo film più famoso dell’ultimo ventennio, Terminus Paradis (1998), ha avuto discreta risonanza anche da noi. Di più ancora ne ha avuto Train de vie - Un treno per vivere (1998) di Radu Mihaileanu (coproduzione internazionale) anche per i collegamenti tematici - per quanto ampiamente diversi siano i due film - che sono stati tracciati, magari arbitrariamente, con La vita è bella di Benigni. Non molto altro è però arrivato e la ricerca di film romeni da parte dello spettatore italiano passa necessariamente attraverso festival e eventuali supporti home video, soprattutto internazionali. (A margine, è da notare come, insieme ad altre repubbliche dell’est europeo, la Romania, cinematograficamente parlando, è stata, dopo la caduta del blocco sovietico, considerata terreno fertile per delocalizzazioni produttive che hanno portato alla realizzazione in loco di molti film “occidentali” con conseguenti abbattimenti di budget. In molte di queste operazioni, la Romania è stata coinvolta anche produttivamente diventando così almeno nominalmente produttrice di pellicole low budget di genere come Anaconda 3 e 4, Blessed - Il seme del male, un paio di Hellraiser e così via: operazioni queste che nulla hanno a che vedere con lo sviluppo di una cinematografia genuinamente nazionale, ma fanno riflettere sugli effetti della globalizzazione, anche nei film).


A fungere ora da bussola e stimolo a questa ricerca è il libro che Francesco Saverio Marzaduri ha meritoriamente dedicato all’argomento (Noul Val - Il nuovo cinema romeno 1989-2009, Archetipolibri, Bologna 2012, 300 pagine + 20 pagine di inserto fotografico, € 19). Marzaduri prende in esame il cinema romeno dalla “liberazione” in poi, ma giustamente non trascura le coordinate del periodo precedente per evidenziarne l’evoluzione e le difficoltà.


Il libro è sostanzialmente articolato in tre parti: nella prima viene presentata ed esaminata l’evoluzione del cinema romeno dopo Ceausescu attraverso i principali film che l’hanno punteggiata, cercando di mantenere, a fini correttamente sistematici, un ordine cronologico-autoriale ed evidenziando caratteristiche e peculiarità dei principali registi che con le loro opere hanno caratterizzato il tormentato cammino di questa cinematografia; nella seconda viene analizzata in profondità l’opera di un singolo autore identificato come simbolo ed emblema del cinema romeno: la scelta è caduta su Corneliu Porumboiu, ma, come giustamente segnala Marzaduri, anche altri avrebbero meritato un simile trattamento; la terza infine individua i principali argomenti e le tematiche più significative del cinema romeno nel suo insieme per identificarne le comunanze e le differenze, senza trascurare un’analisi delle prospettive future.


Una guida e una bussola, quindi, ma soprattutto uno stimolo ad approfondire la conoscenza di questo cinema e a recuperarne i film: la scrittura chiara e l’analisi approfondita riescono nell’intento di stimolare l’interesse del lettore e questo è un pregio che non tutti i saggi (soprattutto quelli sul cinema) riescono a conseguire. Puntuale nei riferimenti e lucido nell’enucleare le caratteristiche dei singoli film e dei singoli autori, nel cogliere paralleli e riferimenti nell’ambito di un percorso comune ma molto differenziato, il libro si fa quindi leggere con interesse anche da chi non conosce tutti i film e si lascia inevitabilmente coinvolgere nel dipanarsi di una cinematografia ancora in divenire, ma già capace di vette che non possono lasciare indifferenti. Questo è il modo migliore per ampliare la propria cultura, scoprire mondi nuovi e non fossilizzarsi sulle proposte più banali o comunque più “facili”.