giovedì 30 maggio 2019

The Bad Batch





The Bad Batch è un film strano, ma ci sono dei casi in cui la stranezza non ha connotati positivi. Questa non è una vera e propria recensione, ma solo alcune riflessioni sul film. Ci sono i cosiddetti spoiler, per cui chi non vuole sapere niente della trama, di come si sviluppa o va a finire, è meglio che non legga. Il film è stato in concorso al Festival di Venezia nel 2016. Del resto, è il secondo lungometraggio dell’acclamata regista di A Girl Walks Home Alone at Night, Ana Lily Amirpour.

La storia è semplice e anche piuttosto schematica. In sostanza, in un futuro più o meno prossimo dalle tinte distopiche, una vasta zona desertica è recintata e i criminali vi vengono rinchiusi perché vivano liberamente come vogliono, purché non rompano le scatole alla società. La zona è dichiarata fuori dalla giurisdizione statale. L’idea non è nuova a chi mastichi un po’ di fantascienza, anche cinematografica, ma non è che si possano sempre pretendere idee nuove. Basta che funzionino. Arlen (Suki Waterhouse) è una giovane ragazza che qualcosa di male deve averlo fatto, almeno secondo i parametri sociali imperanti, perché viene mandata nella zona dei senza legge. Spaesata, Arlen vi si addentra, ma viene aggredita da due tizi che la portano in un accampamento dove, senza tanti giri di parole, le tagliano un braccio e una gamba e se la pappano. Perché quello è il modus vivendi di quella comunità. Arlen, vede che ci sono altri nelle sue stesse condizioni, amputati e incatenati in attesa di essere mangiati un po’ alla volta. Ma Arlen è una tipa tosta e sia pure con l’handicap fisico che adesso si ritrova riesce a liberarsi, a fracassare il cranio alla sua carceriera e ad allontanarsi in qualche modo su uno skateboard. Però tanta strada non ne farebbe se non trovasse un vagabondo (Jim Carrey) che la trasporta sino a un’altra comunità dove le cose vanno decisamente meglio. Tempo dopo, Arlen è rimessa in sesto: ha un arto artificiale e viene nutrita e riverita. Questa nuova comunità è retta da un tizio mellifluo che si fa chiamare The Dream (Keanu Reeves) e dispensa droga e pillole filosofico-religiose ai suoi, chiamiamoli così, sudditi. Il tenore di vita è molto più alto che nell’altra comunità, tutti mangiano, i cessi funzionano (come spiega nei dettagli proprio lui ad Arlen) e c’è anche musica, oltre che buonumore. Ma Arlen è sempre imbronciata. Si prende una pistola e, vagando fuori dai confini del villaggio, si imbatte in una donna della comunità cannibale accompagnata dalla figlioletta. Detto fatto, la vendicativa Arlen spara in testa alla donna, rende orfana la bambina e se la porta al villaggio. Il tozzone babbo della bambina si fa chiamare Miami Man (Jason Momoa): lo vediamo uccidere a sangue freddo, per preparare la cena, una povera donna implorante, ma ha anche buone qualità nel disegno e, scopriamo, un grande spirito paterno. Perciò si muove per recuperare la figlia e imprigiona Arlen, che, strafatta dagli allucinogeni, era uscita di nuovo dal villaggio. Intanto, The Dream si è preso a cuore la bambina e l’ha portata nella sua lussuosa casa tra molte donne incinta: le dà anche un piatto di spaghetti, che alla bambina piacciono molto. Per tagliare corto, in sostanza, Arlen prende le parti del tozzone, gli recupera la bambina e poi, anche se lui è riluttante, decide di vivere con lui, con il cannibale cioè. La bambina chiede al babbo gli spaghetti e lui invece gli fa arrosto il coniglietto che la bambina teneva stretto a sé con tanto amore. Ci dev’essere qualcosa di simbolico.

L’ambientazione desertica è interessante e alcuni momenti del film sono bizzarri nel senso giusto, come quando l’eremita interpretato da un irriconoscibile Jim Carrey, per svelare a
Miami Man se ha visto sua figlia, lo costringe a fargli un ritratto. Il più delle volte, però, il film è vittima della sua pretenziosità che lo porta ad allegorie e simbolismi spesso senza sostanza e anche a popolare la vicenda di personaggi senza costrutto. Il principale tra questi è quello interpretato dal povero Giovanni Ribisi, costretto a fare la macchietta dello squinternato. Un personaggio, tra l’altro, totalmente inutile anche ai fini narrativi. La diversità dei due villaggi o accampamenti è anch’essa potenzialmente interessante, pur se anch'essa molto schematica, ma la filosofia del film risulta poco convincente. Non direi tanto ambigua, quanto davvero poco convincente. In definitiva, il succo del film dovrebbe portarci a credere che sia meglio una comunità di cannibali - forse perché più schietti e diretti - rispetto a una comunità retta da una sorta di santone che, nella realizzazione pratica del detto marxiano che la religione è l’oppio dei popoli, rende la sua comunità serena e felice con le droghe, ma anche con un grado di civiltà e di bonarietà maggiore, direi. Mi spiace, ma questa non la compro. La ribelle Arlen, dapprima spara a bruciapelo, novella Charles Bronson, alla mamma della bambina per vendicarsi delle mutilazioni, poi invece cambia idea - ma non c’è un percorso motivazionale a rendere credibile tale cambiamento - e decide di diventare la compagna del tozzone - un torvo Jason Momoa (nientemeno che Aquaman) - che si nutre di poveracci e poveracce e se magna pure er coniglietto della sua figlioletta (figlioletta che il “cattivo” interpretato da Keanu Reeves aveva invitato gentilmente a prendersi cura dell’animaletto).

In sostanza, la storia è sin troppo schematica e i personaggi tutti sopra le righe e monodimensionali. Il fatto che il tozzone cannibale sia un immigrato clandestino che è finito nella zona senza legge apparentemente - dice lui - solo per quel motivo dovrebbe rendercelo umanamente simpatico, anche perché nutre sinceri sentimenti paterni. Il fatto che uccida persone a sangue freddo e se le mangi (e le dia da mangiare anche alla sua famigliola) evidentemente è da considerarsi un difetto scusabile. Keanu Reeves è visto come il volto umano e ammaliante del potere, mentre Miami Man ne è il volto brutale: naturalmente secondo il film bisogna parteggiare per il cannibale. Forse il concetto che il film vuol far passare è che la vera natura dell’umanità è quella predatoria e assassina e quindi bisogna accettarla senza schermature ideologico-religiose. Non so. Vedete voi. Keanu Reeves recita dando l’impressione di chiedersi come abbia fatto a finire lì. Suki Waterhouse si impegna, ma se ha capacità espressive qui le limita a una sola espressione, in sostanza.

Peccato, perché le qualità della regista si vedono, qua e là. Ma tra queste non c’è la concisione: il film dura 119 interminabili minuti. il primo quarto d'ora è ottimo: essenziale, vivace, terso e pugnace. Ho letto che a qualcuno il film è piaciuto. A qualcuno è anche piaciuto molto. A me no, però magari mi sbaglio. Non chiedetemi però di rivederlo per cambiare eventualmente idea.

venerdì 24 maggio 2019

Bob Dylan 78




Oggi è il giorno del settantottesimo compleanno di Bob Dylan ed è bello pensare che è ancora pienamente in attività e tutt’altro che relegato alla santificazione della nostalgia, caso forse più unico che raro e che è giusto celebrare.

Quest’anno apparentemente - speriamo ancora in notizie nuove - il suo tour non passa per l’Italia ed è un peccato. Però ci sono state delle interessanti uscite discografiche. In particolare More Blood More Tracks - The Bootleg Series vol. 14, dedicato a tutto ciò che è Blood on the Tracks. Molto interessante anche perché, oltre alle molte cose belle che contiene, permette di seguire l’estro creativo in azione, tra esitazioni, tentennamenti e diverse versioni egualmente pregevoli. Tra pochi giorni, inoltre, uscirà un nuovo gigantesco cofanetto dedicato alla Rolling Thunder Revue e anche quello si preannuncia imperdibile. Per non parlare del nuovo film documentario di Martin Scorsese, anch’esso dedicato alla Rolling Thunder Revue, che uscirà tra qualche giorno su Netflix.

Certo, sarebbe bello che uscisse anche un nuovo album di materiale originale (che manca ormai dal 2012), ma non si può avere tutto.

Quello passato è stato anche l’anno in cui una certa attenzione dei media (che come sempre si focalizzano sulle cose più importanti) è stata data alla reazione seccata di Bob Dylan nei confronti di tutti quelli che lo bombardano di flash fotografandolo con il telefonino durante i concerti. C’è chi ha sposato la causa di Bob Dylan e chi invece ha ritenuto esagerata la sua reazione e immotivato il divieto che impone (rectius, cerca di imporre) alle fotografie durante gli spettacoli. Io sono andato tante volte a vedere Dylan (e anche tanti altri, per la verità) e non mi è mai venuto in mente di scattare una foto durante i concerti perché stavo ascoltandoli. Una cosa che mi sono sempre chiesto ascoltando le registrazioni dei concerti nel corso degli anni è come mai ci sono molte persone che pagano il biglietto e poi passano il concerto a parlare ad alta voce tra loro oppure (e questo non lo rilevo dalle registrazioni, ovviamente, ma dalla presenza fisica ai concerti) a tenere alto il telefonino per filmare o fotografare. Capisco che per qualcuno sul palco la cosa sia seccante soprattutto se quel qualcuno ritiene di presentare uno spettacolo che richiederebbe attenzione. Se vi capita di vedere qualche filmato dei concerti di Bob Dylan negli anni ’60 (o anche di ascoltare le registrazioni dal vivo), potrete agevolmente vedere come all’epoca il suo pubblico semplicemente restava ad ascoltarlo in modo quasi religioso e poi, alla fine di ogni brano, applaudiva. In quegli anni, tra l’altro, non era raro che Bob Dylan parlasse al pubblico, per tornare su un altro argomento di lagnanza che ho visto avanzare più volte contro di lui. C’è sempre un motivo per cui le cose cambiano. Per quanto mi riguarda, quando vado a un concerto di Bob Dylan, mi siedo e ascolto.

E buon compleanno a lui.

giovedì 23 maggio 2019

L'angelo del male - Brightburn




Oggi esce nelle sale italiane L'angelo del male - Brightburn, un horror atipico che mescola orrore e superomismo in modo piuttosto originale (non è il primo film a farlo, ma non ce ne sono stati poi tanti). Regista è David Yarovesky, produttore il James Gunn di Guardiani della galassia.

Chi vuole leggere la recensione che ho scritto per MYmovies deve solo fare clic qui.

giovedì 16 maggio 2019

Unfriended: Dark Web




Oggi è uscito nelle sale italiane Unfriended: Dark Web, il seguito di Unfriended.

Sia questo che quello hanno come caratteristica quella di svolgersi interamente sullo schermo di un computer con l'utilizzo di familiari applicazioni cosiddette social.

Chi è interessato può leggere la recensione che ho scritto per MYmovies cliccando qui.

Qui sopra un'immagine dal film, con Rebecca Rittenhouse in evidenza.

Suspiria di Luca Guadagnino



Il remake, o meglio la reinvenzione, del capolavoro di Dario Argento, Suspiria, a opera di Luca Guadagnino è ora disponibile in streaming su Amazon Prime Video. Per l'occasione ho scritto qualche considerazione sul film per MYmovies. Chi è interessato a leggere tali considerazioni può fare clic qui e andare su MUmovies. Buona lettura.

sabato 11 maggio 2019

La Banda sul Messaggero dei Ragazzi n. 1036



Nel nuovo numero del Messaggero dei Ragazzi (il n. 1036 datato maggio 2019) compare una nuova avventura della Banda, il variegato gruppo di ragazzini per il quale scrivo le sceneggiature.

Il titolo di questa nuova storia è Tutti in gita e proprio di questo si tratta, di una gita in una città d'arte per ammirare chiese e monumenti che si trasforma in dramma per l'improvvisa scomparsa di una bambina. I ragazzi della Banda così si mobilitano per ricercare la bambina smarrita, mentre i genitori si preoccupano e sale la concitazione.

Tra umorismo e azione, la storia è stata questa volta disegnata dalla brava Giorgia Catelan che ha fatto davvero un ottimo lavoro, come si può intuire anche dalle poche vignette ripprodotte qui sopra.