mercoledì 30 gennaio 2019

L'esorcismo di Hannah Grace



Domani esce nelle sale un nuovo horror dal titolo molto esplicativo (anche se in effetti c'è molto altro, oltre all'esorcismo): L'esorcismo di Hannah Grace. Chi è interessato a leggere che cosa ne penso, può cliccare qui e andare sul sito di MYmovies dove si trova la mia recensione. Buona lettura (e buona visione nel caso decidiate di andare al cinema),

Qui sopra un'immagine dal film, con la protagonista Shay Mitchell in evidenza.

martedì 29 gennaio 2019

Cinema e zombie


Segnalo con piacere un'intervista che mi ha fatto Davide Girardi per il suo interessante sito Filmaboutit (un sito che è una miniera di informazioni sul cinema di genere). L'argomento dell'intervista sono gli zombie nel cinema: uno dei sottogeneri più frequentati e significativi del cinema horror soprattutto dopo la rivoluzione copernicana realizzata da Romero con La notte dei morti viventi. Ma, senza indugio, chi vuole leggere l'intervista non deve far altro che cliccare qui e andare sul sito di Filmaboutit dove consiglio poi si soffermi per le altre cose che ci sono. Buona lettura.

domenica 27 gennaio 2019

Lion



Lion è un cortometraggio scritto e diretto da Davide Melini.
La storia parte da una situazione ben delineata. Un uomo collerico e forzuto in canottiera si abbrutisce di birra davanti al televisore, guardando varie cose (anche Psycho!), ma focalizzandosi alla fine su un documentario naturalistico con i leoni. Un bambino dallo sguardo spaurito e dagli evidenti segni di percosse è nel suo lettino e cerca conforto in un leoncino di peluche. Una donna indaffarata e rassegnata è in cucina. Un quadro di squallore familiare che viene disintegrato quando accade qualcosa di incredibile. Il leone del documentario sembra attraversare lo schermo (come Sadako o, per restare in ambito italiano, come i demoni baviani) e piombare nel salotto di casa.

Davide Melini racconta con stile ed economia narrativa una storia esemplare che in un contesto horror tratta un argomento tristemente all’ordine del giorno quale quello delle violenze in famiglia nei confronti dei minori. L’irruzione dello straordinario nella quotidianità rappresenta la forza dell’ordine naturale quale unica possibilità di salvezza per chi, invece, si trova a essere, nella quotidianità della società umana, vittima inerme della sopraffazione. Il parallelo tra la forza del desiderio e la possibilità della sua realizzazione richiama alla mente echi bradburiani, con il famoso racconto The Veidt (trasposto al cinema nell’ambito del film antologico L’uomo illustrato), ma in quel caso i bambini, come spesso nei racconti di Ray Bradbury, erano tutt’altro che vittime e i genitori tutt’altro che aguzzini, anche se, pure in quel caso, le sfumature e le interpretazioni sociologiche erano molteplici. Nel caso di Lion, la situazione è ben diversa e più definita: si capisce da quale parte sta il torto e da quale la ragione e si capisce anche che una soluzione non può essere trovata all’interno degli equilibri familiari né sembra poterci essere un aiuto esterno che provenga dalla società civile. La sensazione di solitudine e di impotenza del bambino è ben delineata. La salvezza, se c’è, deve cercare purtroppo strade straordinarie.

Tutto questo, Melini non lo enuncia, fortunatamente, ma lo fa scaturire da una narrazione che evita quanto più possibile i didascalismi e le banalità. Certo, i personaggi sono prototipi, ma lo sviluppo dell’azione e della storia avviene attraverso un raffinato gioco di giustapposizioni e di montaggio, senza enfasi e con un attento uso delle ombre e dei suoni a ricreare un effetto magico e straniante che richiama i vecchi horror di Val Lewton. Il risultato - creare un piccolo film efficace in se stesso quale racconto horror e anche efficace nel veicolare il suo messaggio - è raggiunto.

Tra gli interpreti, Michael Segal, bravo attore, ricorrente in molto horror indipendente. Suggestive e appropriate le musiche di Francesco Tresca. Efficace la fotografia di Juanma Postigo.

Davide Melini è stato aiuto regista di Dario Argento per La terza madre, oltre che per alcune importanti produzioni televisive, e si è già fatto notare per diversi cortometraggi. Lion ha vinto una consistente quantità di premi in vari festival in giro per il mondo e fa ben pensare per un prosieguo di carriera di rilievo.

Il trailer è visibile a questo link.

venerdì 18 gennaio 2019

L'accordo


L’accordo è il nuovo lungometraggio di Stefano Simone, un giovane regista di cui ho scritto più volte in questo blog. La storia che racconta il film è molto semplice e lineare.

Stefano (Daniele Baldassarre) e Marta (Natalie La Torre) sono una coppia in crisi e questa crisi si ripercuote anche su Serena (Flory Di Bari), la loro figlioletta, che soffre per il clima teso in famiglia. Marta, perciò, affronta Stefano dicendogli che la separazione è l’unica cosa ormai possibile. I due vanno quindi dall’avvocato Rocchi (Tonino Pesante), che come prima cosa li richiama a soffermarsi sulla scelta per verificarne la bontà e soprattutto l’ineluttabilità. Marta è decisa, mentre Stefano ha più dubbi e dice d’essere stato costretto da lei ad andare via di casa. Lui è senza lavoro e non ha i soldi per pagarle l’affitto perciò ha deciso, anche per il bene della bambina, d’essere lui quello che se ne va (dai genitori). L’avvocato, saggio e comprensivo, nonché figlio di genitori separati e perciò capace di comprendere la situazione, invita i coniugi a soppesare bene le cose, le reciproche ragioni e la situazione della figlia. Anche Alessia (Gabriella Spagnuolo), la segretaria dell’avvocato, nelle lunghe pause che, per un motivo o per l’altro, interrompono la seduta dall’avvocato, cerca di dare buoni consigli ai due coniugi, essendo anche lei passata per l’esperienza della separazione.

Il film prosegue il percorso intrapreso negli ultimi tempi da Simone verso un cinema impegnato in problematiche sociali (Fuoco e fumo), teso ad affrontare aspetti del vivere comune. Più ancora degli ultimi film questo sembra voler affrontare in modo diretto l’argomento - la separazione tra i coniugi e la bigenitorialità - senza affidarsi a una storia esemplificativa da cui trarre una morale o un significato, ma raccontando in modo semplice e senza fronzoli proprio una separazione tra due coniugi davanti a un avvocato, seguendone le varie fasi e interlacciandole con altre esperienze analoghe che servono, raccontate da alcuni dei personaggi, a titolo di confronto. Inoltre, a rimarcare il tono quasi documentaristico, vi è anche spazio per testimonianze di vita,
staccate dal racconto.

Il film cerca di presentare la situazione in tutte le sue sfaccettature e ciò è commendevole, però lo fa in modo piuttosto statico, non drammatico, situazionale, lasciato in massima ai dialoghi, scontando in ciò una certa lentezza e didascalicità. Pur se, va detto a merito, si avverte l’intenzione di presentare in modo onesto le ragioni di entrambi, sottolineando la possibilità di affrontare in modo civile un momento di crisi così significativo nella vita di una famiglia. Un cinema di servizio, quindi, che si appiattisce un po' sulla propria tematica, ma che sicuramente, comunque, riesce nel suo scopo di rendere un servizio. Sotto il profilo del cinema didattico, infatti, questo film potrà di certo svolgere la sua funzione. E si capisce che questo era l’intento. Dal punto di vista dello spettatore non particolarmente interessato alla problematica, invece, si avverte una certa carenza di costruzione narrativa. In sostanza, c’è molta esposizione e poco racconto.

Il cast, alle prese con una grande quantità di dialoghi, mostra qualche incertezza, ma anche una sostanziale buona volontà che sopperisce a qualche lacuna interpretativa dovuta all’inesperienza. Tonino Pesante, attore ricorrente nei film di Simone, è il più sicuro e uniforme nella sua prova, pienamente in grado di abitare la sua parte. Si avverte anche la verve a tratti messa in mostra da Gabriella Spagnuolo nel ruolo della segretaria dell’avvocato. Più diseguale la prova dei due protagonisti - Daniele Baldassarre e Natalie La Torre - che comunque trovano buoni momenti.

lunedì 7 gennaio 2019

Il diavolo e i morti

Stimolato da un post di Tim Lucas (il maggior esperto mondiale, direi, su Mario Bava), ho riesumato un ritaglio di giornale che avevo messo da parte molti anni fa. La data del ritaglio che ho riportato nell'album dove l'ho conservato è semplicemente "dicembre 1973", senza una precisazione sul giorno (ero un po' approssimativo, lo so). Non ho neanche scritto di quale quotidiano si trattava, ma guardando l'impaginazione direi che si trattava del Corriere d'Informazione, retaggio di tempi in cui alcuni quotidiani uscivano nel pomeriggio (ne ricordo in particolare due: il Corriere d'Informazione, appunto, e La Notte).

Già all'epoca l'horror mi interessava parecchio e da anni. Mario
Bava mi interessava di conseguenza parecchio anche lui perciò ritagliato quell'articolo in attesa di poter vedere il film. Quello che non sapevo era che l'attesa sarebbe durata decenni. Infatti di quel film, con quel titolo, Il diavolo e i morti, si persero subito le tracce. Gli orrori del castello di Norimberga, il film immediatamente precedente, non mi era piaciuto molto, ma Bava era sempre Bava perciò - anche lusingato dagli articoli che gli erano stati dedicati sulla influente rivista Horror qualche anno prima - lo volevo assolutamente vedere. Avevo recuperato altri suoi film al cineclub cittadino (Cinema1), Operazione paura in particolare, e quindi sapevo di cosa era capace. Ma Il diavolo e i morti non usciva mai né sarebbe mai uscito. Rimaneggiato e pesantemente modificato con scene aggiunte, sarebbe stato trasformato in La casa dell'esorcismo per cercare, qualche tempo dopo, di lucrare un po' sul successo de L'esorcista. Poi, ma solo con l'avvento del dvd, sarebbe uscito, prima all'estero e infine anche in Italia, nella versione originariamente pensata da Mario Bava con il titolo Lisa e il divaolo.

Questo breve articolo è perciò significativo di un'epoca che stava terminando. Di particolare interesse è la dichiarazione di Mario Bava stesso riportata alla fine, nella quale l'autore spiegava un po', brevemente, quello che aveva cercato di conseguire. Lisa e il diavolo è uno dei film più strani di Bava: un miracolo di estetica e di atmosfera per una trama molto complessa e articolata, quasi ermetica. Se non l'avete visto, guardatelo.