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mercoledì 19 novembre 2014

Il Batman cinematografico parte seconda

Come è quasi ineluttabile per qualcosa che si qualifica come parte prima, ecco la parte seconda del mio articolone sul Batman cinematografico. Però posso subito dire a scanso di equivoci che non c'è una parte terza, che pure numericamente sarebbe stata possibile, se non fosse che con la seconda siamo arrivati alla contemporaneità.

Nella prima parte infatti l'argomento è stato il Batman dei serial in bianco e nero, quello della serie televisiva pop e del film che ne è scaturito con Adam West e Burt Ward in grande spolvero, nonché il Batman burtoniano.

Nella seconda si comincia con il dittico di Schumacher - compreso il Batman per il quale George Clooney non perde occasione per scusarsi d'averlo fatto (ma in fondo lui non era male come Bruce Wayne) - per arrivare alla trilogia di Nolan e per il momento ci si ferma qui.

Il luogo è sempre il rinomato sito fumettistico Lo Spazio Bianco - che vi invito di nuovo a visitare a fondo - e per leggere l'articolo basta che clicchiate qui.

Un commento che faccio qui in esclusiva, comunque, è che il film che mi sono divertito di più a vedere da puro spettatore - e che peraltro avevo visto con grande piacere anche al cinema all'epoca della sua uscita in sala - è stato il delirante e surreale Batman di Leslie Martinson, quello con la coppia West-Ward.

Qui sopra invece Uma Thurman come Poison Ivy in Batman & Robin.


domenica 11 aprile 2010

Tim Burton al MoMA


La mostra principale attualmente in corso al Museum of Modern Art di New York è dedicata a Tim Burton e, in attuazione degli standard di qualità che ci si può aspettare da un’istituzione così prestigiosa, è assolutamente fantastica e imperdibile. Non mi voglio dilungare, però è il caso di dire che sono rappresentati, con elaborati, documenti e opere, tutti i vari periodi del percorso artistico di Burton, dai primi tentativi ai film della consacrazione e oltre. Tra le curiosità esposte, lo scambio di lettere con la responsabile di una casa editrice (non occorre dire quale, ma è molto famosa) cui l’ancora liceale Burton aveva inviato una sua opera (anch’essa esposta: una sorta di fiaba illustrata) ottenendone un garbato rifiuto molto acutamente motivato e, comunque, molto supportivo. Proprio come succede in Italia, dove le lettere di rifiuto - se riescono a materializzarsi - sono una sorta di modulo prestampato e del tutto impersonale. Che sia per questo che negli Usa ogni tanto il talento viene ancora premiato e riesce a emergere?

Come in ogni mostra che si rispetti, c’è anche un catalogo, la cui copertina è riprodotta qui sopra. Anche il catalogo è imperdibile. Dopo una dichiarazione di Tim Burton e la presentazione di Glenn D. Lowry, ci sono due interessante saggi, il primo di Ron Magliozzi (che inizia con questa significativa frase: “For Tim Burton, drawing is exercize for a restless mind”) e il secondo di Jenny He (An Auteur for All Ages). Ma soprattutto ci sono le riproduzioni di decine e decine di disegni di Burton, a testimonianza di uno stile e di una versatilità notevoli. Al di là del valore dei suoi singoli film - comunque generalmente elevatissimo - Burton è uno dei pochissimi autori cinematografici di questi anni ad avere una personalità così forte e caratteristica da rendere immediatamente identificabile, anche dopo pochi fotogrammi, ogni sua pellicola. Non è poco, in questo mondo così omologato e appiattito. Questa mostra e questo catalogo celebrano la sua diversità e la sua grandezza.