martedì 8 dicembre 2009

Paul Naschy (6 settembre 1934 - 30 novembre 2009)


Qualche giorno fa, Paul Naschy - all’anagrafe, come si dice in questi casi, Jacinto Molina - se n’è andato. Campione di sollevamento pesi, poi attore, sceneggiatore e regista specializzato in horror, ha combattuto per portare avanti la propria visione cinematografica contro ogni probabilità riuscendo nel ritagliarsi uno spazio importante nella storia del genere.

Ricordo che quando, molti anni fa, andavo a vedere i suoi film quando uscivano al cinema qui in Italia, mi sembravano invariabilmente delle povere imitazioni dei film di genere angloamericani. La mia impressione era in genere condivisa dalla critica generalista che, anzi, era ancora più feroce nelle stroncature, quando si prendeva la briga di andare a vedere i film. Per una volta, la critica specializzata non era più favorevole.

Eppure, con l’andar del tempo, ho visto i suoi film sotto un’altra luce. Non che mi siano sembrati dei capolavori, ma non era possibile non scorgere la ferma determinazione di fare il massimo possibile che sottendeva a essi. Le necessità commerciali exploitative spesso giocavano contro la qualità, ma li spingevano fortemente verso i lidi del so bad it’s good. Nell’insieme, però, erano film che necessitavano una complessiva rivalutazione, cioè di un riesame.

Limitandomi ai film che Naschy - che come regista non a caso si firmava col suo vero nome - ha diretto, gli ho dedicato una puntata della mia serie sull’exploitation pubblicata su Segnocinema: Paul Naschy: il licantropo che volle farsi re (Segnocinema 141/2006). Dove il regno di cui aveva voluto diventare re era quello dell’horror spagnolo, un regno sostanzialmente da inventare e di cui lui aveva favorito in modo decisivo la creazione.

Guardando i film in cui Naschy/Molina era stato anche regista è facile cogliere l’assoluta non banalità delle tematiche e del modo di rappresentarle. Sono forse questi i film con i quali è meglio ricordarlo. Film spesso molto riusciti ed estremamente vari: l’horror filosofico di El caminante, quello storico di Inquisicion, il cupo thriller in costume El huerto del francés, l’entrata horror-fantasy nel ciclo del licantropo La bestia y la espada magica, la commedia sociale di Madrid al desnudo, l’incrocio tra generi di El carnaval de las bestias e molti altri ancora. Un corpus autoriale non trascurabile e che rivela una forte e interessante personalità.

Ma Naschy è stato anche e forse soprattutto un’icona, quella di un horror iberico un po’ cheap e però spavaldo. Ha interpretato una congrua serie di mostri, forse più di qualunque altro attore, ma resterà sempre - un po’ come Lon Chaney jr, la sua ispirazione - il licantropo interpretato in una lunga serie di film, a partire da Le notti di Satana.

Ultimamente, aveva conosciuto un certo ritorno di interesse e aveva partecipato come attore, tra gli altri, a diversi horror spagnoli, tra cui si possono ricordare almeno il simpatico Mucha sangre, lo slasher School Killer e l’interessante Rojo sangre. Aveva quindi potuto vedere la rinascita di quell’horror spagnolo che sembrava defunto per sempre e che, invece, era tornato a vivere, sebbene del tutto diverso da quello dei “suoi” anni ‘70.

Una lettura consigliata è l’autobiografia di Naschy. L’edizione inglese è intitolata Memoirs of a Wolfman. Si legge volentieri, è ricca di aneddoti interessanti e getta una luce di comprensione sull’uomo Jacinto Molina. Leggerla, oltre che vedere i suoi film, è il modo migliore per ricordarlo.

Nella foto qui sopra, Naschy nella parte del suo personaggio simbolo, il licantropo Waldemar Daninsky, nel film La bestia y la espada magica.

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