Nei prossimi giorni esce al cinema Hellboy - L'uomo deforme, nuovo capitolo della saga cinematografica dedicata al personaggio a fumetti creato da Mike Mignola. Se volete, potete leggere cliccando qui la recensione che ho scritto per MYmovies.
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Sulla piattaforma MYmovies One è disponibile La mesita del comedor di Caye Casas (Matar a Dios), una black comedy sorprendente. Chi è interessato può leggere qui su MYmovies l'approfondimento che ho scritto per l'occasione.
Tra un paio di settimane esce al cinema You'll Never Find Me - Nessuna via d'uscita, un horror australiano diretto da Josiah Allen e Indianna Bell.
Chi è interesato a sapere cosa ne penso può cliccare qui e andare su MYmovies a leggere la mia recensine.
Chi vuole sapere cosa ne penso può cliccare qui e andare su MYmovies a leggere la mia recensione.
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Come capita spesso in questa serie, affrontiamo una tematica importante, in questo caso quella del razzismo: una problematica che viene in effetti affontata con una certa frequenza, ma mai abbastanza. I ragazzi protagonisti della serie si trovano di fronte a un episodio sgradevole e devono capire cosa possono fare nel loro piccolo per migliorare le cose, che poi dovrebbe essere lo scopo di tutti noi, migliorare le cose. Il tutto sempre con lo spirito di creare un po' di leggerezza e divertimento, se possibile. Buona lettura a chi leggerà la storia.
Michele Pastrello ha esordito ormai diversi anni fa con alcuni significativi cortometraggi horror - il primo è Nella mia mente - per poi addentrarsi progressivamente in un campo sempre più intimista e personale, ricco di riflessioni filosofico-sociologiche e, soprattutto, spirituali. Con il suo nuovo lavoro, 1485kHz (Se otto ore), Pastrello torna ad abbracciare pienamente il genere horror, di cui erano comunque rimaste qua e là tracce anche nei lavori più recenti. Lo fa senza comunque abdicare al ruolo che potremmo definire sociale e politico del suo cinema, sfruttando appieno una delle insopprimibili caratteristiche dell’horror, quella di essere il genere metaforico per eccellenza.
Una donna ha l’incarico di pulire e sistemare una casa in un paesino di montagna. Mentre viaggia in macchinaper arrivare al luogo di lavoro, un messaggio vocale del suo datore di lavoro - “la voce del padrone” - le ricorda bruscamente i suoi doveri con un gergo “aziendalese” protervo e minaccioso. Arrivata nella casa, la donna inizia il suo lavoro, ma si troverà ad affrontare i fantasmi di un passato che si perpetua nello sfruttamento dei lavoratori.
Ben supportato dall’intensa interpretazione di Lorena Trevisan, anche produttrice e co-sceneggiatrice, che regge praticamente da sola la scena per tutta la durata del cortometraggio, Pastrello riflette ancora sui soprusi e sull’inumanità del mondo del lavoro, come aveva già efficacemente fatto in un suo precedente lavoro, InHumane Resources, qualche anno fa. E, come aveva fatto con un mirabile e provocatorio corto come Ultracorpo, Pastrello approfitta delle possibilità intrinseche del genere per trasportare lo spettatore dalla realtà quotidiana di una lavoratrice sfruttata al trascendente spettrale e amaramente pervasivo del potere padronale che sembra potersi perpetuare anche oltre i confini terreni. Con una narrazione asciutta e precisa, Pastrello mostra ancora una volta le sue capacità di narratore per immagini che riesce senza fatica a fare spesso a meno delle parole per affidarsi al potere evocativo di ciò che ci mostra.
Di grande qualità anche la fotografia (dello stesso regista) e come sempre, nei film di Pastrello, suggestivo e notevole l’apporto della musica (di Typos e Beat Mekanik).
Il titolo fa riferimento, come spiegato da Pastrello, agli studi sulla metafonia di F.Jürgenson,
Il film è visibile da oggi 1° maggio - data scelta non a caso - in VOD su Reveel.
Sul n. 3621, attualmente in edicola, di Topolino c’è una mia nuova storia, che appartiene al ciclo dei Mercoledì di Pippo. Il titolo è I mercoledì di Pippo: Missione pianeta gemello e si occupa proprio di quello, di un pianeta gemello sul quale l’avventuriero emerito Pippo e il suo assistente Topolino si precipitano alla ricerca di nuove avventure. Trovandole, com'è ovvio. I disegni, come sempre ottimi, sono di Graziano Barbaro, un disegnatore con cui ho collaborato più di qualche volta e che ha sempre valorizzato le storie in modo eccezionale. Tra le nostre collaborazioni mi fa piacere ricordare in particolare Topolino e il vortice imperiale, una delle mie storie a cui sono più legato. I colori, sempre appropriati, sono di Putra Shah Bin Bin Abd Jalil. Ho visto che qualcuno - legittimamente da parte sua - ha creduto di vedere in questa storia qualche riferimento a un ciclo di storie recentemente pubblicato su Topolino. Non è questo il caso. Ho consegnato la sceneggiatura di questo Mercoledì il 27 marzo 2023, quindi, parafrasando quello che si scrive nei titoli di coda dei film, ogni riferimento a storie recentemente pubblicate è da ritenersi del tutto casuale. In realtà, questo Mercoledì viene da molto lontano, da quando un film che non avevo peraltro all’epoca nemmeno visto (Doppia immagine nello spazio, che poi però ho visto e vi consiglio) mi ispirò a scrivere una storia che però non era un Mercoledì di Pippo. Ci ho provato per anni, con varie versioni (qualcosa è stato incorporato in Zio Paperone e la proposta dell'alter ego), ma non è mai andata. Poi lo spunto è diventato la base per questo Mercoledì di Pippo che, come sempre, spero possa essere una lettura divertente.
Billy Wilder è senza alcun dubbio uno dei più grandi registi della storia del cinema ed è anche uno dei miei registi preferiti, da sempre. Molto è stato scritto su di lui e sui suoi film, ma, quando un autore è così grande, anche il molto non è mai abbastanza e ogni nuovo contributo è benvenuto. Rosanero - Il cinema di Billy Wilder (Falsopiano, 160 pagine, € 20) di Giorgio Penzo ripercorre la carriera di Wilder esaminando tutti i suoi film in modo rapido, ma ficcante. Scorrendo in una cavalcata avvincente film dopo film risulta subito evidente e quasi sorprendente come ben di rado Wilder abbia sbagliato film e anzi come la sua percentuale in fatto di veri e propri capolavori abbia ben pochi eguali. Da un classico del noir come La fiamma del peccato a una commedia pressoché perfetta come A qualcuno piace caldo, i capolavori non si contano. Faccio solo qualche titolo tra i più imprescindibili: L’asso nella manica con un indimenticabile Kirk Douglas, L’appartamento, commedia amara come poche altre, l’irresistibile Non per soldi ma per denaro con l’accoppiata perfetta Lemmon-Matthau. Ma, come detto, i film riusciti non si contano e il tocco di Wilder è inconfondibile: se questo volume che lo celebra porterà qualcuno a vedere o rivedere i suoi film avrà compiuto senz’altro una meritoria missione. Completa il volume un breve ma puntuale saggio di Antonio Canzoniere.
1485kHz (Se otto ore) è il nuovo cortometraaggio di Michele Pastrello, autore sempre molto interessante, che con questo film torna al genere horror che aveva caratterizzato i suoi eosrdi. Il film uscirà in VOD il 1° maggio e ne scriverò più diffusamente al momento dell'uscita. Per intanto, però, questo è il link al trailer, già disponibile per la visione. E quindi, buona visione del trailer e poi, dal 1° maggio, del film.
Qui sopra un'immagine del protagonista, John Malkovich.
Al cinema in questi giorni c'è Prophecy, di Jacopo Rondinelli, un'avventura urbana tratta da un manga. Se vi interessa conosscere la mia opinione potete cliccare qui e leggere la recensione che ho scritto per MYmovies.
Sul Topolino attualmente in edicola (il n. 3616) c'è una storia che ho scritto io. Si tratta di un nuovo episodio della serie I mercoledì di Pippo dal titolo completo (e lunghetto) I mercoledì di Pippo: La minacciosa minaccia dallo spazio esterno. Ai disegni torna l'ottimo Marco Mazzarello (al suo terzo mercoledì), mentre i colori, sempre molto appropriati, sono di Irene Fornari. Per gli amanti delle statistiche posso dire che si tratta del trentottesimo mercoledì in ordine di scrittura (trentanovesimo se consideriamo anche il prototipo Pippo e il giallo a premi). Sono tanti, lo so. Spero però non troppi. In questa storia, come si può facilmente intuire, Pippo torna a occuparsi di fantascienza e come sempre lo fa a modo suo (e anche mio, naturalmente). Mi auguro che qualcuno possa divertirsi leggendola.
Dopodomani esce al cinema L'orto americano, il nuovo film di Pupi Avati, un thriller esistenziale che ogni tanto flirta con l'horror e ci dà il piacere di rivedere una garnde attrice come Rita Tushingham.
Chi vuole può leggere l'approfondimento sul film che ho scritto per MYmovies, cliccando qui.
In questi giorni è in edicola il nuovo numero dei Classici Disney, il n. 35 per l’esattezza. È dedicato alle Pippoparodie, come da titolo esplicativo, e quella che vedete qui sopra è la spettacolare copertina di Stefano Zanchi (con gli azzeccatissimi colori di Mario Perrotta). La selezione delle storie e la sceneggiatura della frame story (vale a dire la storia di raccordo tra i vari episodi) sono opera mia, mentre i disegni sono dell’ottima Giulia Lomurno, molto abile, in particolare, a rendere l’espressività dei personaggi. Non conoscevo bene le Pippoparodie e mi è molto piaciuto il loro spirito ribaldo e ironico per cui vi consiglio sentitamente la lettura: non credo che rimarrete delusi. In sostanza, se cercate divertimento, lo troverete di sicuro, con un Pippo multiforme sempre all’altezza delle varie situazioni e delle varie epoche in cui sono ambientate le storie. Quanto alla storia di raccordo, come sempre ho fatto del mio meglio per entrare in sintonia con Pippo e la serena e soave leggerezza, da non confondersi assolutamente con la superficialità, con cui affronta la vita. Spero che i lettori, divertendosi con le Pippoparodie, troveranno divertente anche l’episodio di raccordo, pur nella sua brevità. Per chi se lo dovesse chiedere, "poverty row" era il termine con cui venivano indicate le piccole case di produzione a basso (o bassissimo) budget che agivano nella Hollywood dell'epoca d'oro all'ombra delle majors. Case come la PRC o la Monogram, per intenderci, che ogni appassionato di horror (e non solo) ben conosce.
Claudia (Lilly Englert) è una giovane che desidera fare l’attrice, ma convive con problemi caratteriali che vuole superare per riuscire a migliorare e a realizzare i suoi obiettivi. Per questo motivo, su ispirazione del suo mentore e fidanzato Ludovico, ha accettato di partecipare a una sorta di corso di sopravvivenza che dovrebbe fortificarla. Ha affittato perciò un appartamento in una grande casa isolata nei pressi di una cittadina e sulle prime la sua affittuaria, una cordiale donna anziana, Letizia (Lucia Vasini), le ispira simpatia. Claudia perciò si apre con lei e le confida le sue preoccupazioni, ricevendone consigli e suggerimenti. Le cose prendono una piega strana quando Letizia mostra a Claudia un particolare apparecchio radio modificato per amplificare certe frequenze e, in sostanza, parlare con i morti. È la metafonia, le spiega Letizia. Claudia si interessa e prova anche lei a parlare con i defunti ricevendone apparenti risposte. Letizia approfondisce parlandole del geniale professor Servadio, che inventò quella radio, ma le parole di Letizia, che sottolinea come quando le voci ordinano bisogna eseguire, turbano la ragazza, che, stanca, va a dormire. Ma il sonno genera incubi. Incubi di un tipo che non scompare al risveglio.
Davide Montecchi aveva favorevolmente impressionato all’esordio qualche anno fa con In a Lonely Place e impressiona ancor più adesso con questo nuovo film che mantiene il grado di complessità, originalità e fascino visuale del precedente e si presenta più accessibile e avvincente sotto il profilo più strettamente narrativo. Sin dall’inizio, con l’uscita da una stazione che sembra immersa in una tenebra senza tempo e la camminata notturna di Claudia per le vie deserte e ricche di fascino arcano, si capisce che l’atmosfera è quella giusta per assecondare e valorizzare una storia misteriosa e significativa. Il personaggio di Claudia, nella sua innocenza e determinazione, è delineato con precisione e sensibilità, mostrandone le fragilità e il desiderio di trovare autonomamente una propria strada, stretta tra le oppressioni della famiglia e le esigenze di un fidanzato tutore non meno autoritario. L’incontro con Letizia è un momento di grande abilità registico-narrativa, per come i dialoghi apparentemente improntati a una banale cordialità si tramutano via via in qualcosa di bizzarro, dapprima, e larvatamente minaccioso poi, pur restando sempre nell’alveo dell’urbanità e delle buone maniere. L’introduzione dell’enigmatica figura del professor Servadio, che avrà poi un ruolo chiave negli sviluppi del racconto, è un’altra mirabile mossa spiazzante che ricorda, per il suo ruolo di arcano deus ex machina, sfuggente e ambiguo, certi personaggi dell’horror avatiano.
Il clima da misterioso si fa via via più angoscioso con il palpabile senso di minaccia a incombere sulla protagonista che vede le sue insicurezze farsi sempre più palpabili e lotta per una via d’uscita contro qualcosa che le riesce difficile comprendere. Le allucinazioni oniriche occupano sempre più spazio dando respiro figurativo a un film che entra così con ispirata suggestione in un territorio visionario che prelude a un finale di lucido delirio con riflessi anche argentiani - la figura della figlia di Letizia - ma sempre profondamente autonomi e di notevole efficacia non solo per l’impatto drammatico, ma anche per la capacità di condurre il racconto a una compiuta conclusione con il completamento dell’arco psicologico della protagonista. Indubbiamente uno dei migliori horror italiani degli ultimi anni per fascino, suggestione e coerenza narrativa.
Nel segnalare l’ottima fotografia di Fabrizio Pasqualetto e nel sottolineare la sicura regia di Davide Montecchi, da non considerare più una semplice promessa, è anche sicuramente il caso di elogiare l’ottima prova del cast: Lilly Englert è perfetta nel dare credibilità al suo ruolo, Lucia Vasini è ottima nel dare la necessaria e temibile ambiguità a Letizia e Pier Sandro Freglio riesce, in poche sequenze, a dare profondità al suo ineffabile professor Servadio.
Francesca De Gregorio (Simona Vannelli) è un’insegnante e una studiosa: si è stabilita in una cittadina nelle vicinanze del monte Vello per svolgere delle ricerche sulle antiche fortificazioni militari per una tesi di studio. È molto interessata anche al fatto che, tra gli anni ’60 e gli anni ’80 in quella zona ci sono stati molti avvistamenti ufologici e a questo scopo si mette alla ricerca di Paolo Levelli (Antonio Tentori), un giornalista che all’epoca se n’era occupato. Inoltre, nel 1977, quattro fricchettoni erano scomparsi misteriosamente nella zona senza essere poi più ritrovati. Francesca cerca di andare a fondo nelle sue ricerche, ma la materia è sfuggente e fatti inquietanti e minacciosi cominciano ad accaderle.
Umori fantascientifici declinati in chiave horror caratterizzano Cose nere, lungometraggio di Francesco Tassara che immerge la sua protagonista in un clima cospirazionista dove è difficile fidarsi di qualcuno e dove la verità sembra sempre dietro l’angolo, ma continua a sfuggire. Il film punta molto sulla creazione di un’atmosfera di mistero e sulle suggestive ambientazioni montane e boschive, ma procede con una certa lentezza e tende a dilungarsi forse troppo, pur riuscendo più volte a inserire genuini elementi di inquietudine. C’è però, almeno per come viene articolata, una sostanza narrativa un po' esile che tende a soffrire nella dilatazione dei tempi del racconto, pur mantenendosi nel complesso interessante. Nella parte conclusiva, il film alza il ritmo e riesce a sviluppare una buona tensione anche per un azzeccato utilizzo di flashback e scansioni temporali, arrivando a un finale che si mantiene opportunamente enigmatico ed è in grado di generare un buon impatto drammatico. La protagonista, interpretata dalla sempre affidabile Simona Vannelli, ormai presenza frequente e di qualità nella scena dell’horror indipendente italiano, è sufficientemente approfondita a livello caratteriale, mentre gli altri personaggi rimangono meramente funzionali. Tassara dirige con attenzione e senso del mistero, riuscendo a trasmettere la sinistra aura di una natura che si palesa, nel suo solo apparentemente innocente rigoglio, ostile e aliena (in molti sensi). Nel cast - in cui si possono segnalare le buone prove di Ilaria Monfardini e Gabriel Dorigo Badea - spiccano nomi di rilievo in ruoli di supporto o cameo, come la gloriosa Erika Blanc, che si ritaglia una partecipazione colorita e vivace, la brava Silvia Collatina, già attrice per Fulci (e non solo), il regista Fulvio Wetzl e lo sceneggiatore Antonio Tentori, nel ruolo del giornalista che la sa lunga, ma preferirebbe probabilmente saperne molto meno.
Atanomia di un massacro di Michelangelo Bertocchi è un film che presenta diversi motivi di interesse nel suo modo di affrontare una tematica spigolosa come quella della scuola, del suo ruolo, del suo significato, della sua incapacità di intercettare il mondo giovanile, dell’inesorabile e sempre maggiore distacco tra professori perlopiù vecchi e sfiduciati e studenti perlopiù poco interessati a quanto la scuola stessa può offrire. Il tutto poi si concretizza nell’impossibilità/incapacità di prevenire/evitare un massacro che risulta opaco nelle motivazioni - se non per il vuoto nichilista che si è palesato in precedenza - e perciò apparentemente inevitabile. Nella sua contenuta durata da mediometraggio cospicuo o se vogliamo da vecchio B-movie (un’oretta), il film rifugge da una narrazione lineare e preferisce abbozzare quadretti e situazioni che rendono l’idea, grazie anche a una particolare scelta stilistica, quella di raggelare talvolta in fotogrammi fissi l’immagine, che dà un tono originale e inquietante a quanto accade. L’uso quasi esclusivo del bianco e nero aiuta inoltre a dare un approccio quasi documentaristico e crudo a quanto si vede. Ogni tanto il film si apre quasi improvvisamente alla narrazione e abbiamo allora dei siparietti significativi, con lo studente che viene incaricato dal preside di girare un video sulla scuola per un concorso, o con l’altro studente che ha probabilmente una relazione con una insegnante problematica, o ancora con il professore sull’orlo della sospirata pensione che cerca un incontro o meglio uno scontro con uno studente oppositivo, mentre tenta nel contempo di educare gli altri ben conscio dell’inutilità dello sforzo. Alcuni studenti filosofeggiano, altri fanno i bulli, altri ancora entrambe le cose. Certi dialoghi sono forse improbabili in ambito studentesco (“Come stai?” “Come la casa degli Usher di Allan Poe”), ma rendono anch'essi l’idea. L’insieme è un quadro desolante e desolato del degrado dell’istituzione educativa che diventa il brodo di coltura del sopruso e della violenza. Che il massacro, pur evidente, resti in sostanza fuori dal campo visivo è una soluzione interessante che ne sottolinea ancor più la natura sfuggente.
Consistente è l’uso di canzoni più o meno famose nella colonna sonora. Talvolta si ottiene una sorta di effetto juke-box, o se vogliamo da video-clip, con le immagini che si riducono a fare da sfondo alle canzoni più che viceversa. La scelta è però molto varia: si va dai Beatles a Friend of the Devil dei Grateful Dead (canzone ben nota anche nell’intensa versione live di Bob Dylan), passando per il Van Morrison accattivante di Brown-Eyed Girl.
Tra i professori si vede anche, in un simpatico cameo, il regista Antonio Bido (Solamente nero)