domenica 10 maggio 2015

In All Sincerity, Peter Cushing by Christopher Gullo

Ci sono attori e attrici la cui presenza in un film è già motivo sufficiente per vederlo. Sono quelli che caratterizzano i film in cui recitano e hanno una personalità tale da catalizzare da soli l’interesse degli spettatori. È una cosa che va al di là della singola interpretazione e riguarda tutta l’opera di quel determinato attore o attrice. Ciascuno ha i suoi. Humphrey Bogart, per esempio, lo vedrei (e l’ho visto) in qualsiasi film. Anche perché generalmente, proprio per il tipo di ruoli che sceglieva e i film che sceglieva di fare, faceva comunque film che mi interessavano. Ma se dovessi scegliere un attore per me significativo sotto questo profilo, quell’attore sarebbe Peter Cushing, che per questo penso di poter definire come il mio attore preferito. Molti anni fa, quando ancora i suoi film uscivano al cinema, già sapevo, vedendo il suo nome nel cast, che avrei visto quel film volentieri. Scoprire un po’ alla volta nel corso degli anni che non era solo un grande attore, ma anche una persona squisita al punto da essere denominato il Gentle Man dell’horror è stato un piacere ulteriore: non ho fatto purtroppo avuto il piacere di conoscerlo persona perché, ignaro dei fatti (e cioè che era molto disponibile e gentile con gli ammiratori) in un’epoca in cui internet e le sue informazioni non esistevano, non sono andato a trovarlo nella piccola cittadina di Whitstable dove viveva (ci sono andato pochi anni dopo la sua morte e ho visto la famosa Cushing’s View, ma ormai era troppo tardi).

Ci sono libri e libri sulla Hammer, sull’horror britannico e su Peter Cushing in particolare. Posso citare a questo riguardo almeno l’ottimo The Peter Cushing Companion di David Miller e, restando in campo italiano, il prezioso Peter & Chris - I dioscuri della notte di Franco Pezzini e Angelica Tintori che si occupa della collaborazione tra Cushing e il suo fratello d’arte Christopher Lee. E ci sono naturalmente i due libri autobiografici dello stesso Cushing, una lettura che consiglio a chiunque conosca l’inglese (purtroppo nessuno ha ancora pensato di pubblicarli nel nostro paese, cosa che del resto si può dire anche dell’altrettanto interessante autobiografia di Christopher Lee).

In All Sincerity, Peter Cushing di Christopher Gullo (il titolo del libro riprende la frase con cui Cushing amava chiudere le sue lettere) si inserisce (anzi, si è inserito da tempo risalendo, come prima pubblicazione, al 2004) in un contesto non certo privo di titoli. Ma un  elemento che rende comunque questo libro di grande interesse e per certi versi unico è la presenza di interviste e dichiarazioni di un elevato numero di attori e artisti che hanno avuto il piacere e l’onore di conoscere e collaborare con Cushing. Il ritratto che emerge dai loro ricordi conferma l’impressione di una persona retta, appassionata del proprio lavoro, scevra dai personalismi ed egoismi spesso tipici delle persone di spettacolo, un artista a tutto tondo (la sua abilità nel disegno e in altri campi dell’arte viene sottolineata) che non ha preso come una condanna l’essere in qualche misura relegato per diversi anni nel recinto del cinema horror, ma ne ha tratto la possibilità di esprimere le proprie qualità senza fare differenze se si trattava di recitare Shakespeare o un copione di Jimmy Sangster.

Basterebbe questo per rendere il libro una lettura indispensabile per chiunque apprezzi il cinema e Cushing, ma il libro è anche una disamina  scorrevole e completa della carriera dell’attore dalle prime esperienze teatrali al famoso salto a Hollywood (con la partecipazione tra l’altro a Noi siamo le colonne con Laurel & Hardy, una collaborazione di cui Cushing è sempre stato orgoglioso e che ha sempre ricordato con grande affetto e stima per i due comici), dalla popolarità ottenuta con la televisione britannica (con un memorabile ruolo da protagonista nel per allora sconvolgente adattamento dell’orwelliano 1984) ai fasti della Hammer e via via tutto il resto, Guerre stellari compreso sino a terminare con il suo ultimo lavoro, il commento, assieme al grande amico Christopher Lee, per il documentario sulla Hammer Flesh and Blood - The Hammer Heritage of Horror, pochi giorni prima di morire. Le parole del regista di quel documentario, Ted Newsom, riportate nel libro, danno il senso dell’operazione e la giusta soddisfazione che ha provato nell’essere riuscito a dare ai due amici l’opportunità di rivedersi, di passare delle ore felici insieme e di collaborare l’ultima volta, al di là di qualunque riserva si possa avere sulla qualità effettiva del documentario stesso (comunque molto interessante, a mio parere, e da vedere).

A livello strettamente di critica cinematografica il libro non è molto approfondito, ma non era questo lo scopo dell’autore. Quello che conta è il ritratto di Cushing e questo emerge potente e interessante, anche nella scelta, criticata da qualcuno, di non operare eccessivi tagli alle dichiarazioni dei vari intervistati con le ripetizioni (nei ricordi) che inevitabilmente ne sono derivate (molti hanno ricordato i famosi guanti bianchi antinicotina o il suo amore per la moglie Helen). Non l’ho trovato un difetto, ma semmai il rafforzamento di un’impressione.

Questo è stato anche, lo dico a margine, il primo libro che ho letto su un e-reader. L’esperienza è stata positiva, anche tenuto conto del prezzo molto basso del libro con questo formato.


Ancora a margine, mi pare opportuno precisare che il libro è in inglese.

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