lunedì 28 settembre 2009
Il quiz di Rave
Come già preannunciato, anche stavolta parliamo di fumetti con un post dal taglio vintage dedicato a un’opera che ben pochi conoscono.
Nel 1998 ho scritto una miniserie su un super eroe chiamato Rave (se non sbaglio, l’idea per il nome è venuta ad Alessandro Gottardo). La miniserie era composta da sei avventure autoconclusive, ma legate da una continuity. È stata pubblicata in tre albi dalla Tornado Press. I disegnatori erano Alberto Lavoradori, Giuliano Piccininno, Alessandro Gottardo, Gianmaria Liani, Davide Corsi e Fabio Chiesa. Gli episodi erano intervallati da panel disegnati da Paolo Martinello. In appendice un fumetto umoristico scritto da Giuliano Piccininno e disegnato da Stefano Intini. Non so quanti dei succitati autori abbiano Rave nel loro curriculum, ma forse un giorno lo scopriremo.
Di Rave come fumetto magari, forse (e sottolineo forse), riparleremo in futuro: la sua caratteristica principale è che, per molti motivi, è stato il primo super eroe costretto con regolarità a fare le pulizie.
Qui mi interessa ricordare un’altra cosa. Tutti i sei titoli delle avventure di Rave erano delle citazioni. All’epoca venne lanciato su Rave un concorso con un premio per chi indovinava tutte le citazioni. Manco a dirlo, non rispose nessuno. Che sia dipeso dal fatto che il premio principale consisteva, testualmente, in “una vigorosa stretta di mano di Alessandro Gottardo”? Ci piace di più pensare che il quiz fosse troppo difficile. I titoli delle avventure erano comunque questi:
A volte ritornano
What Remains Is Bestial
Non credere a nessuno perché nessuno è mai come credi
I tried my best to love you, but I cannot play this game
Farewell, My Lovely
Tutte feriscono... l’ultima uccide
Come si può vedere, alcune citazioni sono estremamente facili da individuare. Altre un po’ meno. Un paio non mi ricordo bene neanch’io dove le ho prese. Potrebbero persino esserci delle imperfezioni, chissà.
A suo tempo, rispondere non era solo cortesia (poiché, come si sa, domandare è lecito), ma era anche un po' difficile. Oggi, ai tempi di internet, dovrebbe essere un gioco da ragazzi. Chi vuole può ancora tentare di rispondere, consapevole del fatto che non avrà in premio nemmeno la stretta di mano di Gottardo. Per tutti gli altri, prossimamente su questi schermi rivelerò probabilmente le risposte. Non trattenete il fiato nel frattempo.
La copertina che vedete sopra (opera del valoroso Alberto Lavoradori) era una delle due copertine del numero 1.
venerdì 25 settembre 2009
Topan il barbaro su Disney Big
Non penso di segnalare ogni uscita di miei fumetti, ma in qualche caso la segnalazione sembra d’obbligo. Questo è uno di quei casi, per parafrasare una tipica didascalia di Lee Falk. Disney Big n. 18 - attualmente in edicola - presenta infatti cinque mie storie, esattamente quelle che compongono il ciclo di Topan il barbaro. I più avveduti tra voi possono intuire che si tratta di una variante di Topolino in chiave barbara e, aggiungo io, leggermente demenziale, nell’accezione che si usa per definire un certo tipo di comicità.
Dovrebbero esserci tutte se non mi sbaglio e sono anche in ordine cronologico (di pubblicazione). Con questa uscita, gli innumerevoli fans di questa indimenticata serie potranno averla completa e in ordinata successione in un solo volume (ogni enfasi in questa frase è del tutto casuale, mi è venuta spontanea).
Il disegnatore del primo episodio della serie - com’era già avvenuto per I mercoledì di Pippo - è Lino Gorlero, cui sono succeduti poi Giorgio Di Vita, Giampiero Ubezio, Giampaolo Soldati e Gigi Piras: un caro saluto a tutti da parte mia.
Anche questa breve serie è nata per caso. Il primo episodio - non a caso intitolato semplicemente Topan il barbaro - doveva essere unico, poi la cosa è proseguita per un po’. Che volete che vi dica... a me piacciono, soprattutto i primi quattro. Pensate che sia parziale nel giudizio? Pensate giusto, ma se uno non valuta bene quello che ha fatto, vuol dire che avrebbe dovuto pensarci prima e farlo meglio. E con questa perla di saggezza popolare, anticipo che anche la prossima volta si parlerà di fumetti, ma di tutt’altro genere.
Dimenticavo, la copertina che vedete qui sopra è opera dell’ottimo Corrado Mastantuono: un nome, una garanzia, per usare una definizione che si usava un tempo.
venerdì 18 settembre 2009
Il cinema di Bob Dylan: cosa c'è dentro
Tornando al libro Il cinema di Bob Dylan, a parte quello che ho scritto nei post iniziali di questo blog, voglio dare un quadro più preciso del suo contenuto e della sua articolazioni in capitolo perché i potenziali interessati sappiano a cosa vanno incontro. Il libro si articola in 13 capitoli più alcune appendici e per essere schematico e chiaro, le cose vanno più o meno così:
cap. 1: The Madhouse on Castle Street, il Santo Graal della cinematografia dylaniana, il documento mancante ma sul quale si può dire molto, anche sulle ragioni della sua mancanza. Diretto da Philip Saville (autore, tra l’altro, dell’interessante Metroland) e interpretato da un giovane Dylan non ancora famoso assieme al suo alter ego - in quel “film” - David Warner, anche lui all’epoca sconosciuto.
cap. 2: Don’t Look Back, il rockumentary per eccellenza, diretto da D.A. Pennebaker e modello per i film del genere a venire. Dylan colto nel suo passaggio da icona della protesta a poeta del rock.
cap. 3: Eat the Document, girato da Pennebaker e diretto da Dylan, è un originalissimo esempio di film sperimentale in cui Dylan, all’apice della sua fama, si mostra senza rivelarsi in un gioco enigmatico e affascinante.
cap. 4: I film concerto ai loro albori: dalle testimonianze del folk festival di Newport con il momento cruciale e dirompente in cui Dylan went electric (Festival e The Other Side of the Mirror, entrambi di Murray Lerner) al Concerto per il Bangladesh, prototipo per i benefit concerts successivi.
cap. 5: Pat Garrett & Billy the Kid, l’esordio vero e proprio del Dylan attore (oltre che autore di colonne sonore), un film maledetto del più classico dei registi maledetti, Sam Peckinpah. Un viaggio attraverso le varie versioni del film e le difficoltà della sua lavorazione.
cap. 6: Renaldo & Clara, il film di Bob Dylan, da lui diretto, interpretato, scritto, montato, musicato e così via. Un film solipsistico eppure corale. Complesso, articolato, suggestivo, fortemente detestato da parte della critica. Un film da analizzare e anche da godere per le sue illuminazioni improvvise e per la musica, quella della Rolling Thunder Revue, uno dei momenti più riusciti del Dylan live.
cap. 7: L’ultimo valzer, uno dei film concerto più celebrati. Diretto da Martin Scorsese, con una folgorante apparizione di Dylan che si impadronisce della scena senza sforzo pur in un contesto spesso brillante che oltre alla Band vede la presenza di leggende del rock come Neil Young e, soprattutto, uno scatenato Van Morrison.
cap. 8: Hearts of Fire, curioso e bistrattato tentativo di recitazione di Dylan in un film segnato da un destino avverso, con Rupert Everett e una certa Fiona a fare da improbabili partner di un Dylan più che all’altezza del ruolo.
cap. 9: L’attività di Dylan come autore e/o interprete di canzoni per colonne sonore cinematografiche, oltre che attore in piccoli cameo. Vincitore di un Oscar con Thing Have Changed (dal film Wonder Boys di Curtis Hanson), Dylan ha saputo anche in questa veste prettamente musicale lasciare un’impronta decisiva ai film cui ha partecipato.
cap. 10: Masked and Anonymous, apocalittico e ironico sguardo sul disfacimento del mondo occidentale, è il ritorno al cinema di Dylan, come sceneggiatore e interprete in una sorta di parodia di se stesso. Un film curioso, interessante, ancora una volta controverso.
cap. 11: No Direction Home, la consacrazione, un documentario di Martin Scorsese con il coinvolgimento diretto di Dylan, che racconta con saggezza e ironia la prima parte della sua carriera.
cap. 12: Factory Girl, la storia abbondantemente romanzata (per non dire altro) di Edie Sedgwick, la musa di Andy Warhol destinata a una fine amara. Dylan è solo evocato, in uno spregiudicato gioco al massacro su cui c’è molto da dire.
cap. 13: Io non sono qui, il film di Todd Haynes. Anche qui Dylan non c’è, ma è comunque presente, in alcune delle sue molteplici incarnazioni e aspetti, che danno un’idea della sua multiforme attività e contribuiscono alla magia di un film per necessità imperfetto, ma affascinante.
P.S. 1: Il cinema e le canzoni di Bob Dylan. Ovvero come i registi più disparati hanno usato le canzoni del repertorio di Dylan nei più svariati film.
P.S. 2: Il cinema nelle canzoni (e non solo) di Bob Dylan. Ovvero come Dylan ha usato il cinema nelle sue canzoni. L’esempio principe è quello del rapporto tra Brownsville Girl e Romantico avventuriero con Gregory Peck, ma è solo la punta di un iceberg.
Appendice: Bob Dylan e il piccolo schermo, una corposa analisi delle partecipazioni televisive di Dylan, dai piccoli interventi agli special che sono stati (Hard Rain e Unplugged) e ai loro contraltari invisibili (Clearwater e Supper Club). Un viaggio a volte sorprendente tra vette imprevedibili (il Letterman show del 1984) e tonfi quasi imbarazzanti (Live Aid), che mostrano alcune delle molte facce di un artista sempre in divenire.
Completano il libro alcuni utili indici (nomi, film, canzoni), oltre a filmografia, bibliografie e reperibilità nell’home video.
Direi che può bastare.
venerdì 11 settembre 2009
George A. Romero e il Dizionario dei film horror
Dopo Joe Dante, George A. Romero. Sempre direttamente dalla Mostra del Cinema di Venezia e sempre grazie all’intervento decisivo dell’Editore Corte del Fontego.
Agli appassionati di horror c’è bisogno di dire chi è Romero? Preferisco limitarmi a dire che è il mio regista di horror preferito. Un autore originale, inventivo, con uno stile riconoscibilissimo e del tutto personale, capace di restare fedele a se stesso e alla sua integrità artistica in un ambiente nel quale non è per niente facile. Ricordato soprattutto per i suoi film sugli zombie - “mostri” sostanzialmente inventati da lui, nella forma in cui li conosciamo oggi - è stato anche autore di pellicole del tutto diverse, spesso caratterizzate da una significativa unicità nell’approccio: nessuno ha mai fatto un film di “vampiri” come Martin e nessuno ha fatto un film di “streghe” come Jack’s Wife. Per non parlare dei film che appartengono a un genere a sé, come Knightriders.
Restando agli zombi, La notte dei morti viventi ha rappresentato uno scrimine sostanziale nel cinema horror e Romero può essere visto come il padre dell’horror moderno (senza che questo debba attribuirgli le colpe dei figli degeneri, mi raccomando). Quando l’ho visto nel 1971 in un cinemino della mia città ero molto giovane, ma quel film mi ha subito colpito per la sua diversità da qualunque cosa avessi visto sino a quel momento e per il disagio che provocava la sua visione, attraverso l'esposizione a tematiche insolite in un film di genere.
Quindi, vedere il buon vecchio George con in mano una copia del mio Dizionario è una bella soddisfazione, a livello simbolico.
Romero ha presentato a Venezia il suo nuovo film, Survival of the Dead, una nuova entrata in un ciclo - quello dei morti viventi - che negli ultimi anni ha avuto una notevole accelerata. Dopo la prima classica trilogia composta da La notte dei morti viventi, Zombi e Il giorno degli zombi, Romero ha realizzato una sorta di seconda trilogia - se non altro per la vicinanza nella produzione - comprendente La terra dei morti viventi, Diary of the Dead e quest'ultimo Survival of the Dead.
Anche questa foto è stata scattata dall’impavido Alberto Gerotto.
giovedì 10 settembre 2009
Joe Dante e il Dizionario dei film horror
Direttamente dalla Mostra del Cinema di Venezia, grazie all’editore Corte del Fontego, vi presento con grande piacere un paio di foto di Joe Dante: nella prima, Joe Dante sta autografando il Dizionario dei film horror alla voce Gremlins.
Nell'altra foto, Joe Dante è assieme all’Editore Corte del Fontego in persona (Marina Zanazzo) con il Dizionario dei film horror in bella evidenza.
Joe Dante è al Lido di Venezia per presentare fuori concorso il suo nuovo thriller-horror The Hole, oltre che per far parte della Giuria. Del film avremo sicuramente modo di parlare, esplora una delle classiche paure: il buco che conduce all’ignoto, l’ingresso per l’oscurità, una tentazione irrazionalmente irresistibile. Ed è in 3-D!
Dante ha una filmografia varia e molto interessante, al cui interno si trovano alcuni gioielli horror di assoluto rilievo. Tra tutti, mi piace ricordare L’ululato con cui molti anni fa, quasi a sorpresa, ha rivitalizzato (precedendo di poco Un lupo mannaro americano a Londra) un sottogenere - quello dei film sui licantropi - all’epoca piuttosto dimenticato e sfiatato. Assieme agli horror, Dante ha diretto film di vario genere, tutti caratterizzati da una brillantezza di regia, da un’ironia intelligente e da uno smisurato amore per il cinema che insieme compongono la sua distintiva cifra stilistica. Prima di darsi al cinema in prima persona nella Factory cormaniana, Dante è stato anche critico cinematografico e le sue recensioni - recentemente ripubblicate nella rivista specializzata Video Watchdog - sono impagabili.
Le foto sono state scattate dall’intrepido e inarrestabile Alberto Gerotto.
Sull’argomento, more to follow.
domenica 6 settembre 2009
Teruo Ishii su Segnocinema
È uscito il numero 159 (settembre-ottobre 2009) di Segnocinema che, come di consueto, comprende l’imperdibile speciale Tutti i film dell’anno, con la rassegna di tutto quanto è uscito nella stagione cinematografica appena terminata, un compendio completo, brillante e un appuntamento di cui la consuetudine non può diminuire l’importanza.
Ma, come di consueto, c’è anche il nuovo articolo della serie Kings of Exploitation che ormai da tempo scrivo per Segnocinema, una serie dedicata a registi che hanno dedicato la parte predominante della loro attività a quel genere trasversale ormai noto anche in Italia con il nome di exploitation (dall’inglese to exploit, sfruttare), il cinema più spiccatamente commerciale, che spesso però cela capolavori piccoli e grandi e autori di forte personalità.
La puntata di questa volta è dedicata a Teruo Ishii, illustre maestro giapponese la cui apparizione al Far East Film Festival di qualche anno fa è stata assolutamente folgorante. Morto nel 2005 a 81 anni, Ishii ha fatto fortunatamente in tempo a vedere la sua rivalutazione critica e penso (spero) che la cosa - anche se un certo ironico disincanto era una delle sue caratteristiche - gli abbia fatto piacere. Come altri autori di exploitation, Ishii ha anche avuto la brillantezza e l’inventiva per tornare al lavoro in tarda età sfornando ancora film molto interessanti, superando i confini del tempo cui sembrava destinata la sua opera e dimostrando di poter essere ancora al passo con l’epoca in cui viveva.
Super eroi alieni, noir urbani, torture e sevizie, samurai stoici, mostri deformi, belle e disinvolte spadaccine, bikers ribelli, antieroi esistenziali, sette pseudoreligiose da mandare all’inferno, bestie cieche e nani assassini: Teruo Ishii - scrivo su Segnocinema nella presentazione dell’articolo - non si è fatto (e non ci ha fatto) mancare niente, riuscendo a unificare generi tanto diversi con la sua personalità di autore indiscutibile. Un tratto unificante è il pessimismo di fondo nel mostrare come la sopraffazione e l’ingiustizia siano così profondamente radicati nella natura umana da lasciare poco spazio al riscatto. I suoi (anti)eroi devono difendersi dalla società oppure ne sono disgustati. È in genere la società criminale a essere raffigurata come governata da ingiustizia e regole spietate, ma poiché non v’è altra società nell’orizzonte, è chiaro che si tratta di una metafora della società in generale, governata dai potenti contro i deboli. C’è spesso compiacimento - un componente tipico dell’exploitation - nella raffigurazione di tale ferocia, ma l’atmosfera amara e cupa che accompagna le vicende conforta il punto di vista per nulla accondiscendente di Ishii, un autore che ha lasciato una mole imponente di film, molti dei quali ancora da riscoprire.
Per la cronaca elenco gli autori cui ho dedicato i capitoli precedenti della serie:
Jesus Franco (Segnocinema 104/2000)
Jean Rollin (Segnocinema 111/2001)
Pete Walker (Segnocinema 117/2002)
Jack Hill (Segnocinema 123 e 124/2003)
Doris Wishman (Segnocinema 129/2004)
Eddie Romero (Segnocinema 135/2005)
Paul Naschy (Segnocinema 141/2006)
René Cardona e Juan Lopez Moctezuma (Segnocinema 147/2007)
Michael e Roberta Findlay (Segnocinema 153/2008)
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giovedì 3 settembre 2009
Il Dizionario dei film horror a Hollywood Party
Con grande piacere vi segnalo che ieri sera si è parlato del Dizionario dei film horror nella storica e sempre brillante trasmissione di cinema di Radio Tre, Hollywood Party, in trasferta a Venezia per la Mostra del cinema. Steve Della Casa e Alberto Crespi mi hanno intervistato: questo è il link alla pagina dove potete trovare (e scaricare) il podcast della trasmissione. La mia intervista la trovate alla fine, ma vi consiglio di ascoltare tutto il programma, come al solito molto interessante: per gli appassionati di horror basti dire che erano ospiti Jaume Balaguerò e Paco Plaza, al Lido per per presentare il loro nuovo film, Rec 2.
A margine, è curioso notare come siano alla Mostra proprio i seguiti (o comunque episodi successivi) di due film - Rec, appunto, e Diary of the Dead di Romero - che due anni fa avevano contemporaneamente affrontato in chiave zombesca o giù di lì la tematica dell’informazione (e della sua manipolazione), adottando lo stesso approccio stilistico di “finto” cinéma vérité. Tenuto conto anche del di poco successivo Cloverfield, un vero minifilone con ascendenti illustri (Cannibal Holocaust).
L'illustrazione di stavolta, per andare controcorrente, è il retrocopertina del Dizionario, che di solito non si vede mai e invece non è niente male.
martedì 1 settembre 2009
Dizionario dei film horror
2404 schede in 832 pagine: questi i numeri del Dizionario dei film horror che ho scritto. Pubblicato nel 2007 e ristampato nel 2008 dall’editore Corte del Fontego, specializzato in libri - che vi consiglio di leggere - caratterizzati da un’estrema cura editoriale. L’accoglienza del Dizionario è stata molto buona e questo mi ha sicuramente rallegrato e confortato, visto l’impegno non indifferente profuso per la sua creazione da me e dall’editore.
Mi sono sempre interessato di film horror sin da quando sono stato a sorpresa esposto a Fluido mortale che mi procurò una notevole tremarella, mai più provata da allora (avevo otto anni). Dell’epoca mi ricordo anche il fantascientifico Il pianeta dove l’inferno è verde, visto al medesimo cinema parrocchiale: vespe giganti con una improvvisa sequenza a colori che irrompeva nel bianco e nero accompagnando (mi pare) un’eruzione vulcanica. Appena ho potuto, ho cominciato a scrivere di cinema horror in un periodo in cui non molti lo ritenevano degno di una trattazione critica. Dapprima ho scritto sulle fanzine e poi sulle riviste professionali. Tra le fanzine, The Time Machine del Club Fantascienza Padova, con cui ho anche collaborato per la prima edizione di una rassegna di film horror in un cinema padovano (con grande successo di pubblico), Il Re in Giallo, per cui ho scritto - nel 1976, mi pare (non è che voglia per forza essere vago, ma ho controllato sulla fanzine e non c’è la data!) - un articolo su Gordon Hessler (che allora sembrava una nuova possibile star registica dell’horror), la prozine Kronos di Piero Giorgi pubblicata sontuosamente in stampa (allora imperava il ciclostile) per cui ho scritto un lungo articolo sugli animali nel cinema fantastico, il cui secondo capitolo è stato pubblicato su WOW, la rivista di Luigi Bona. Tra le riviste professionali come dimenticare Robot, caposaldo della fantascienza della seconda metà degli anni ‘70? Per Robot ho scritto un lungo articolo in due parti sulla carriera di Terence Fisher e uno su Brian De Palma. Poi Aliens e altre ancora. Magari di tutto questo riparleremo, gli aneddoti non mancano. Quello che mi preme di più sottolineare adesso è come il mio Dizionario dei film horror venga da lontano, da un interesse radicato e specifico, per nulla improvvisato. Sul Dizionario avremo sicuramente modo di soffermarci ancora. Per il momento, mi fa piacere segnalare un paio di belle interviste che mi sono state gentilmente richieste specificamente per il Dizionario e che sono ancora sul web.
Una è questa che mi ha fatto Paolo Spagnuolo, la prima se non mi sbaglio, su splattercontainer.com.
Un’altra è questa, a cura del sito filmhorror.com
Chi è interessato lì può trovare diverse utili notizie e informazioni nonché, com'è inevitabile, opinioni.
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