venerdì 18 settembre 2009
Il cinema di Bob Dylan: cosa c'è dentro
Tornando al libro Il cinema di Bob Dylan, a parte quello che ho scritto nei post iniziali di questo blog, voglio dare un quadro più preciso del suo contenuto e della sua articolazioni in capitolo perché i potenziali interessati sappiano a cosa vanno incontro. Il libro si articola in 13 capitoli più alcune appendici e per essere schematico e chiaro, le cose vanno più o meno così:
cap. 1: The Madhouse on Castle Street, il Santo Graal della cinematografia dylaniana, il documento mancante ma sul quale si può dire molto, anche sulle ragioni della sua mancanza. Diretto da Philip Saville (autore, tra l’altro, dell’interessante Metroland) e interpretato da un giovane Dylan non ancora famoso assieme al suo alter ego - in quel “film” - David Warner, anche lui all’epoca sconosciuto.
cap. 2: Don’t Look Back, il rockumentary per eccellenza, diretto da D.A. Pennebaker e modello per i film del genere a venire. Dylan colto nel suo passaggio da icona della protesta a poeta del rock.
cap. 3: Eat the Document, girato da Pennebaker e diretto da Dylan, è un originalissimo esempio di film sperimentale in cui Dylan, all’apice della sua fama, si mostra senza rivelarsi in un gioco enigmatico e affascinante.
cap. 4: I film concerto ai loro albori: dalle testimonianze del folk festival di Newport con il momento cruciale e dirompente in cui Dylan went electric (Festival e The Other Side of the Mirror, entrambi di Murray Lerner) al Concerto per il Bangladesh, prototipo per i benefit concerts successivi.
cap. 5: Pat Garrett & Billy the Kid, l’esordio vero e proprio del Dylan attore (oltre che autore di colonne sonore), un film maledetto del più classico dei registi maledetti, Sam Peckinpah. Un viaggio attraverso le varie versioni del film e le difficoltà della sua lavorazione.
cap. 6: Renaldo & Clara, il film di Bob Dylan, da lui diretto, interpretato, scritto, montato, musicato e così via. Un film solipsistico eppure corale. Complesso, articolato, suggestivo, fortemente detestato da parte della critica. Un film da analizzare e anche da godere per le sue illuminazioni improvvise e per la musica, quella della Rolling Thunder Revue, uno dei momenti più riusciti del Dylan live.
cap. 7: L’ultimo valzer, uno dei film concerto più celebrati. Diretto da Martin Scorsese, con una folgorante apparizione di Dylan che si impadronisce della scena senza sforzo pur in un contesto spesso brillante che oltre alla Band vede la presenza di leggende del rock come Neil Young e, soprattutto, uno scatenato Van Morrison.
cap. 8: Hearts of Fire, curioso e bistrattato tentativo di recitazione di Dylan in un film segnato da un destino avverso, con Rupert Everett e una certa Fiona a fare da improbabili partner di un Dylan più che all’altezza del ruolo.
cap. 9: L’attività di Dylan come autore e/o interprete di canzoni per colonne sonore cinematografiche, oltre che attore in piccoli cameo. Vincitore di un Oscar con Thing Have Changed (dal film Wonder Boys di Curtis Hanson), Dylan ha saputo anche in questa veste prettamente musicale lasciare un’impronta decisiva ai film cui ha partecipato.
cap. 10: Masked and Anonymous, apocalittico e ironico sguardo sul disfacimento del mondo occidentale, è il ritorno al cinema di Dylan, come sceneggiatore e interprete in una sorta di parodia di se stesso. Un film curioso, interessante, ancora una volta controverso.
cap. 11: No Direction Home, la consacrazione, un documentario di Martin Scorsese con il coinvolgimento diretto di Dylan, che racconta con saggezza e ironia la prima parte della sua carriera.
cap. 12: Factory Girl, la storia abbondantemente romanzata (per non dire altro) di Edie Sedgwick, la musa di Andy Warhol destinata a una fine amara. Dylan è solo evocato, in uno spregiudicato gioco al massacro su cui c’è molto da dire.
cap. 13: Io non sono qui, il film di Todd Haynes. Anche qui Dylan non c’è, ma è comunque presente, in alcune delle sue molteplici incarnazioni e aspetti, che danno un’idea della sua multiforme attività e contribuiscono alla magia di un film per necessità imperfetto, ma affascinante.
P.S. 1: Il cinema e le canzoni di Bob Dylan. Ovvero come i registi più disparati hanno usato le canzoni del repertorio di Dylan nei più svariati film.
P.S. 2: Il cinema nelle canzoni (e non solo) di Bob Dylan. Ovvero come Dylan ha usato il cinema nelle sue canzoni. L’esempio principe è quello del rapporto tra Brownsville Girl e Romantico avventuriero con Gregory Peck, ma è solo la punta di un iceberg.
Appendice: Bob Dylan e il piccolo schermo, una corposa analisi delle partecipazioni televisive di Dylan, dai piccoli interventi agli special che sono stati (Hard Rain e Unplugged) e ai loro contraltari invisibili (Clearwater e Supper Club). Un viaggio a volte sorprendente tra vette imprevedibili (il Letterman show del 1984) e tonfi quasi imbarazzanti (Live Aid), che mostrano alcune delle molte facce di un artista sempre in divenire.
Completano il libro alcuni utili indici (nomi, film, canzoni), oltre a filmografia, bibliografie e reperibilità nell’home video.
Direi che può bastare.
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