sabato 28 maggio 2011
Nero Avati - Visioni dal set
Pupi Avati è un regista che mi ha sempre interessato, non solo per i suoi film horror, ma certamente anche per quelli. Ne ho già parlato qui in occasione della pubblicazione della sua autobiografia e l’occasione per riparlarne è un nuovo libro che gli è stato dedicato. Nero Avati - Visioni dal set (Le Mani, 184 pagg- + 64 pagg. di illustrazioni fuori testo, € 20) è stato scritto da Ruggero Adamovit, Claudio Bartolini e Luca Servini.
La particolarità del volume è quella di soffermarsi sulla lavorazione di alcuni dei film di Avati del primo periodo inscrivibili nel suo “gotico padano”. Per farlo, gli autori hanno meticolosamente raccolto e organizzato le testimonianze di chi su quei set c’è stato. In primo luogo Pupi Avati stesso - autore anche di una divertita prefazione al volume - e poi altri tra i fondamentali artefici di quella che è stata (e ancora è, sia pure su basi in parte diverse) la fucina avatiana: Cesare Bastelli (assistente insostituibile nonché regista in proprio), Lino Capolicchio (tra gli attori più rappresentativi del cinema di Avati, oltre che attore di grande versatilità e bravura per molti altri registi), Steno Tonelli (valido collaboratore di Pupi e figlio di Bob Tonelli, attore avatiano tra i più caratteristici), Giulio Pizzirani (anche lui attore significativo nei film del regista emiliano) e Gianni Minervini (produttore che con i fratelli Avati ha stretto per un lungo periodo un sodalizio produttivo di notevole fertilità). L’impressione del lettore è quindi quella di ritrovarsi sul set di film diventati - per usare una parola abusata ma in questo caso appropriata - dei cult e anche di film che invece sono stati improvvidamente dimenticati a causa della loro ormai quasi totale invisibilità. I titoli dei film esaminati richiamano alla memoria l’Avati più surreale ed eccentrico: Balsamus l’uomo di Satana (esordio incredibile e straordinariamente criptico, ma di grande personalità), Thomas... gli indemoniati (altro esperimento nel surreale più arcano), La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone (con cui Avati, grazie alla presenza di Tognazzi, dà una svolta alla propria carriera), Bordella (feroce satira ingiustamente penalizzata dalla censura dell’epoca), La casa dalle finestre che ridono (febbrile ricreazione padana dell’horror, colma di intuizioni e di originalità), Tutti defunti... tranne i morti (commedia horror dai toni demenziali), Le strelle nel fosso (film inclassificabile, ricco di fascino) e Zeder (il mio preferito: alcune invenzioni sono di valore assoluto). Assieme alla rievocazione vivace e ricca di aneddoti simpatici e rivelatori raccontati dai protagonisti, gli autori compiono una lucida analisi critica dei film realizzando un compendio avatiano di sicuro interesse, imprescindibile per chi ama la sua opera o per chi voglia avvicinarla partendo dai film più sconosciuti e particolari.
Un plus di grandissimo interesse è quello rappresentato dall’apparato iconografico che è davvero ricchissimo. Moltissime foto scattate sul set si accompagnano a riproduzioni di locandine cinematografiche e persino a riproduzioni di pagine di sceneggiature: una cornucopia che permette al lettore di immergersi nel fascino di un’epoca ormai perduta, ma, per parafrasare Terence Davies, sempre presente.
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