lunedì 29 febbraio 2016
Recensione di Paolo Spagnuolo a Il cinema dell'eccesso vol. 2
Segnalo con grande piacere la recensione che Paolo Spagnuolo (autore dell'imperdibile libro Napoli violenta, sul classico poliziottesco di Umberto Lenzi) ha scritto sul mio Il cinema dell'eccesso volume 2 Stati Uniti e resto del mondo (Crac Edizioni).
La recensione la trovate qui sul sito Radio Cometa Rossa. C'è anche una mia intervista condotta da Paolo Spagnuolo, che ringrazio per l'attenzione che ha dedicato al libro.
domenica 28 febbraio 2016
Lost Horizons Beneath the Hollywood Sign di David Del Valle
Ho già scritto di un altro libro di David Del Valle, 6 Reels Under, rilevandone l’interesse e la particolarità. Ma questo, Lost Horizon Beneath the Hollywood Sign (del 2010, ma per nulla invecchiato) è persino migliore. Del Valle è uno storico del cinema, un critico anche, ma soprattutto è una persona che conosce profondamente ciò di cui parla. È stato amico o comunque ha conosciuto bene per motivi professionali i personaggi di cui scrive e ne traccia dei ritratti vividi e umani che riescono a dare la sensazione di poterli conoscere noi stessi attraverso di lui. E dato che i personaggi di cui si tratta sono attori, registi, personaggi del mondo dello spettacolo che abbiamo visto molte volte sullo schermo la cosa si rivela particolarmente interessante. Ma anche nel caso in cui si tratti di personaggi marginali, decisamente minori, la scrittura di Del Valle riesce a coglierne l’unicità e la peculiarità. Non a caso, uno dei capitoli più curiosi e a suo modo commoventi è quello dedicato a un signor Nessuno, Paul Marco, la cui unica, opinabile, chiamata alla fama è stata quella di aver partecipato nel ruolo minore di un poliziotto a tre film di Ed Wood. Ma la parabola umana che Del Valle traccia di Marco e della sua illusione di essere un divo cult è eccezionale, sottolineando come a volte la distanza tra realtà e abbaglio sia sottile e ingannevole, con conseguenze tragicomiche, in questo caso.
Di solito, però, gli attori e i registi di cui Del Valle traccia dei ritratti decisamente da vicino sono molto noti agli appassionati di cinema di genere: Vincent Price, Christopher Lee, Barbara Steele, Robert Quarry, John Carradine, Ferdy Mayne (Per favore non mordermi sul collo), per citarne solo alcuni. Tutti attori che Del Valle ha conosciuto bene instaurando rapporti di amicizia che gli consentono di svelarne aspetti poco noti e rilevanti sotto il profilo umano. A differenza del Kenneth Anger di Hollywood Babilonia (al cui secondo volume ha collaborato anche Del Valle, a suo tempo), Del Valle non è però interessato al pettegolezzo o al particolare “decadente”: non c’è cinismo o cattiveria nelle sue descrizioni, ma semmai condivisione e compassione umana unite a un sano senso dell’umorismo che riesce a rendere spesso divertente e non solo informativa la lettura: tra i tanti aneddoti, ce n’è uno su James Ivory e Ismail Merchant che resta nella memoria, sotto questo aspetto. E comunque di Kenneth Anger, Del Valle è stato ed è ancora amico e a lui - e al suo rivale, e parimenti suo amico, il grande regista Curtis Harrington - dedica uno dei capitoli migliori e più inquieti. Non mancano nemmeno due attori come Angelo Rossitto e Herve Villechaize, cui Del Valle dedica due ritratti intensi e significativi. Uno dei capitoli più intensi è però quelo dedicato a Joyce Jameson, attrice comica di grande valore, la cui tragica parabola umana Del Valle racconta con sentita partecipazione. Uno dei più vivaci è quello dedicato all’attore Vladek Sheybal, reso famoso da Ken Russell (e da 007 e dalla serie televisiva UFO).
Diversi tra gli attori presenti sono stati clienti di Del Valle nel periodo piuttosto breve in cui ha fatto l’agente cinematografico. Tra questi Calvin Lockhart, che ricordo soprattutto nel curioso whodunit licantropesco La notte del licantropo, ma che vanta una lunga e brillante carriera.
Alcuni attori sono ben noti - o meglio lo erano - anche e soprattutto al pubblico italiano per la loro attività nel nostro cinema. Ad esempio Hiram Keller, protagonista di Fellini Satyricon (e de Il sorriso della jena e La morte negli occhi del gatto, per citare esempi più di genere) e poi scomparso dalla scena cinematografica: chi si sia chiesto cosa ne è stato - da lì sino alla morte nel 1997 - potrà trovare qualche risposta in questo libro. Lo stesso vale per Helmut Berger, del quale però non si sono perse le tracce ed è ancora felicemente in attività.
Ci sono anche registi classici e ingiustamente dimenticati come Robert Florey che qui scopriamo come essere umano e non solo come autore di vecchi film o - il motivo per cui di solito lo si ricorda - come mancato autore del Frankenstein poi diretto da James Whale. O come John Brahm. E registi di ben pochi film come Michael Armstrong (Il buio), che Del Valle ha ospitato per un po’ e di cui traccia un ritratto schietto e decisamente vivace.
Non solo attori e registi, comunque. C’è spazio anche per personaggi come il geniale sceneggiatore e scrittore Terry Southern, sceneggiatore di Easy Rider e autore del romanzo The Magic Christian da cui venne tratto un film con Ringo Starr (ne ho parlato con David McGillivray nell’intervista contenuta ne Il cinema dell’eccesso vol. 1). Il capitolo che Del Valle gli dedica si intitola Icon of Cool e mai definizione è stata più appropriata. E c’è anche nientemeno che Timothy Leary, il guru dell’LSD. Uno dei capitoli più significativi è poi dedicato al musicista Les Baxter, autore, tra le altre cose, delle colonne sonore di diversi dei film del ciclo da Poe di Roger Corman.
Fare un elenco di tutti quelli che hanno un loro capitolo sarebbe lungo (c’è anche Russ Meyer, comunque, e i capitoli sono ben 46), ma quello che importa è che si tratta di un libro imperdibile che si legge con piacere sia per la fluidità della scrittura sia per la freschezza e la novità dei contenuti, sempre di prima mano, testimonianze dirette. Perché, parlando di loro, Del Valle invariabilmente parla anche di sé in una sorta di autobiografia per interposte persone che risulta affascinante come un puzzle di cui non si hanno tutti i pezzi, ma di cui si coglie comunque l’immagine d’insieme.
C’è anche un ricco apparato iconografico.
Il libro è in inglese (e sarebbe da tradurre e pubblicare in italiano al più presto) e l'ho letto nella comoda ed economica edizione per Kindle.
Di solito, però, gli attori e i registi di cui Del Valle traccia dei ritratti decisamente da vicino sono molto noti agli appassionati di cinema di genere: Vincent Price, Christopher Lee, Barbara Steele, Robert Quarry, John Carradine, Ferdy Mayne (Per favore non mordermi sul collo), per citarne solo alcuni. Tutti attori che Del Valle ha conosciuto bene instaurando rapporti di amicizia che gli consentono di svelarne aspetti poco noti e rilevanti sotto il profilo umano. A differenza del Kenneth Anger di Hollywood Babilonia (al cui secondo volume ha collaborato anche Del Valle, a suo tempo), Del Valle non è però interessato al pettegolezzo o al particolare “decadente”: non c’è cinismo o cattiveria nelle sue descrizioni, ma semmai condivisione e compassione umana unite a un sano senso dell’umorismo che riesce a rendere spesso divertente e non solo informativa la lettura: tra i tanti aneddoti, ce n’è uno su James Ivory e Ismail Merchant che resta nella memoria, sotto questo aspetto. E comunque di Kenneth Anger, Del Valle è stato ed è ancora amico e a lui - e al suo rivale, e parimenti suo amico, il grande regista Curtis Harrington - dedica uno dei capitoli migliori e più inquieti. Non mancano nemmeno due attori come Angelo Rossitto e Herve Villechaize, cui Del Valle dedica due ritratti intensi e significativi. Uno dei capitoli più intensi è però quelo dedicato a Joyce Jameson, attrice comica di grande valore, la cui tragica parabola umana Del Valle racconta con sentita partecipazione. Uno dei più vivaci è quello dedicato all’attore Vladek Sheybal, reso famoso da Ken Russell (e da 007 e dalla serie televisiva UFO).
Diversi tra gli attori presenti sono stati clienti di Del Valle nel periodo piuttosto breve in cui ha fatto l’agente cinematografico. Tra questi Calvin Lockhart, che ricordo soprattutto nel curioso whodunit licantropesco La notte del licantropo, ma che vanta una lunga e brillante carriera.
Alcuni attori sono ben noti - o meglio lo erano - anche e soprattutto al pubblico italiano per la loro attività nel nostro cinema. Ad esempio Hiram Keller, protagonista di Fellini Satyricon (e de Il sorriso della jena e La morte negli occhi del gatto, per citare esempi più di genere) e poi scomparso dalla scena cinematografica: chi si sia chiesto cosa ne è stato - da lì sino alla morte nel 1997 - potrà trovare qualche risposta in questo libro. Lo stesso vale per Helmut Berger, del quale però non si sono perse le tracce ed è ancora felicemente in attività.
Ci sono anche registi classici e ingiustamente dimenticati come Robert Florey che qui scopriamo come essere umano e non solo come autore di vecchi film o - il motivo per cui di solito lo si ricorda - come mancato autore del Frankenstein poi diretto da James Whale. O come John Brahm. E registi di ben pochi film come Michael Armstrong (Il buio), che Del Valle ha ospitato per un po’ e di cui traccia un ritratto schietto e decisamente vivace.
Non solo attori e registi, comunque. C’è spazio anche per personaggi come il geniale sceneggiatore e scrittore Terry Southern, sceneggiatore di Easy Rider e autore del romanzo The Magic Christian da cui venne tratto un film con Ringo Starr (ne ho parlato con David McGillivray nell’intervista contenuta ne Il cinema dell’eccesso vol. 1). Il capitolo che Del Valle gli dedica si intitola Icon of Cool e mai definizione è stata più appropriata. E c’è anche nientemeno che Timothy Leary, il guru dell’LSD. Uno dei capitoli più significativi è poi dedicato al musicista Les Baxter, autore, tra le altre cose, delle colonne sonore di diversi dei film del ciclo da Poe di Roger Corman.
Fare un elenco di tutti quelli che hanno un loro capitolo sarebbe lungo (c’è anche Russ Meyer, comunque, e i capitoli sono ben 46), ma quello che importa è che si tratta di un libro imperdibile che si legge con piacere sia per la fluidità della scrittura sia per la freschezza e la novità dei contenuti, sempre di prima mano, testimonianze dirette. Perché, parlando di loro, Del Valle invariabilmente parla anche di sé in una sorta di autobiografia per interposte persone che risulta affascinante come un puzzle di cui non si hanno tutti i pezzi, ma di cui si coglie comunque l’immagine d’insieme.
C’è anche un ricco apparato iconografico.
Il libro è in inglese (e sarebbe da tradurre e pubblicare in italiano al più presto) e l'ho letto nella comoda ed economica edizione per Kindle.
domenica 14 febbraio 2016
Il cinema dell'eccesso vol. 2 - Stati Uniti e resto del mondo (Crac Edizioni): il mio nuovo libro
L'anno scorso era uscito Il cinema dell'eccesso vol. 1 - Europa (Crac Edizioni). Adesso, come da programma, esce Il cinema dell'eccesso vol. 2 - Stati Uniti e resto del mondo (Crac Edizioni). Questo secondo volume - 332 pagine 24 € - va quindi geograficamente a completare un excursus a tutto campo sui registi del cinema di exploitation che mi sono sembrati più interessanti da affrontare ed esaminare.
Naturalmente, come nel caso del primo volume, tornerò a scrivere diffusamente del contenuto di questo secondo volume in questo blog, ma per il momento mi sembra opportuno riportare quanto è scritto, a mo' di presentazione, sull'aletta del libro (che - il libro, non la sola aletta, è ordinabile anche presso il sito dell'editore, qui):
"Mostri alla clorofilla, canguri boxeur, carcerati dal pugno d’acciaio contro assassini che usano le proprie interiora per strangolare le vittime, gang di sole donne con la passione per i coltelli coinvolte in intrighi in stile shakespeariano, lottatori mascherati contro i mostri, becchini filosofi alla ricerca dell’immortalità, giovani trasformati da esperimenti proibiti in mostri scimmieschi assetati di sesso, surreali e visionarie riletture di E.A. Poe, possessioni demoniache in un raffinato delirio scenografico, samurai nichilisti alla ricerca dell’autodistruzione in un mondo governato da odio e violenza, incredibili isole dove le allucinazioni di un pazzo generano incubi teratologici, prigionieri in Vietnam alla ricerca della salvezza guidati da un visionario assistito dal Cielo...
Di questo e altro sono fatti i film di exploitation, un genere trasversale che attraversa tutti i generi - dall’horror alla fantascienza, dal thriller all’action, dal noir all’erotico - e fa del profitto la sua stessa ragione di vita. Però, usando una materia così “vile” come mezzo di espressione, un drappello di spavaldi registi ha avuto la libertà di realizzare anche opere profonde, complesse e artisticamente uniche.
Dopo il primo volume riservato ai registi europei, questo secondo volume - dedicato ai registi appartenenti alle più diverse cinematografie mondiali - prosegue l’affascinante viaggio tra centinaia di film autenticamente originali, ripercorrendo con rispetto e rigore critico la carriera di alcuni dei maggiori autori di questo “super genere”.
Negli Stati Uniti: Jack Hill (Spider Baby), incontestato maestro di azione e rivoluzione; Michael e Roberta Findlay (Snuff), la strana coppia dell’exploitation più estrema; Doris Wishman (Let Me Die a Woman), una donna nel regno degli uomini.
Nel resto del mondo: Teruo Ishii (Horrors of Malformed Men), straordinario autore di film bizzarri e trasgressivi; Nam Nai Choi (Story of Ricky), sottovalutato realizzatore di pura follia targata Hong Kong; René Cardona (Korang, la terrificante bestia umana), compassato regista di film improbabili spesso con l’ineffabile lottatore Santo come protagonista; Juan López Moctezuma (Alucarda), la faccia intellettuale dell’exploitation messicana; Eddie Romero (Terrore sull’isola dell’amore), il filippino che conquistò Hollywood senza andarci, José Mojica Marins (Questa notte mi incarnerò nel tuo cadavere), il creatore di Zé do Caixao, icona dell’horror brasiliano.
Con interviste a Jack Hill, Eddie Romero e C. Davis Smith, direttore della fotografia di molti film di Doris Wishman".
Naturalmente, come nel caso del primo volume, tornerò a scrivere diffusamente del contenuto di questo secondo volume in questo blog, ma per il momento mi sembra opportuno riportare quanto è scritto, a mo' di presentazione, sull'aletta del libro (che - il libro, non la sola aletta, è ordinabile anche presso il sito dell'editore, qui):
"Mostri alla clorofilla, canguri boxeur, carcerati dal pugno d’acciaio contro assassini che usano le proprie interiora per strangolare le vittime, gang di sole donne con la passione per i coltelli coinvolte in intrighi in stile shakespeariano, lottatori mascherati contro i mostri, becchini filosofi alla ricerca dell’immortalità, giovani trasformati da esperimenti proibiti in mostri scimmieschi assetati di sesso, surreali e visionarie riletture di E.A. Poe, possessioni demoniache in un raffinato delirio scenografico, samurai nichilisti alla ricerca dell’autodistruzione in un mondo governato da odio e violenza, incredibili isole dove le allucinazioni di un pazzo generano incubi teratologici, prigionieri in Vietnam alla ricerca della salvezza guidati da un visionario assistito dal Cielo...
Di questo e altro sono fatti i film di exploitation, un genere trasversale che attraversa tutti i generi - dall’horror alla fantascienza, dal thriller all’action, dal noir all’erotico - e fa del profitto la sua stessa ragione di vita. Però, usando una materia così “vile” come mezzo di espressione, un drappello di spavaldi registi ha avuto la libertà di realizzare anche opere profonde, complesse e artisticamente uniche.
Dopo il primo volume riservato ai registi europei, questo secondo volume - dedicato ai registi appartenenti alle più diverse cinematografie mondiali - prosegue l’affascinante viaggio tra centinaia di film autenticamente originali, ripercorrendo con rispetto e rigore critico la carriera di alcuni dei maggiori autori di questo “super genere”.
Negli Stati Uniti: Jack Hill (Spider Baby), incontestato maestro di azione e rivoluzione; Michael e Roberta Findlay (Snuff), la strana coppia dell’exploitation più estrema; Doris Wishman (Let Me Die a Woman), una donna nel regno degli uomini.
Nel resto del mondo: Teruo Ishii (Horrors of Malformed Men), straordinario autore di film bizzarri e trasgressivi; Nam Nai Choi (Story of Ricky), sottovalutato realizzatore di pura follia targata Hong Kong; René Cardona (Korang, la terrificante bestia umana), compassato regista di film improbabili spesso con l’ineffabile lottatore Santo come protagonista; Juan López Moctezuma (Alucarda), la faccia intellettuale dell’exploitation messicana; Eddie Romero (Terrore sull’isola dell’amore), il filippino che conquistò Hollywood senza andarci, José Mojica Marins (Questa notte mi incarnerò nel tuo cadavere), il creatore di Zé do Caixao, icona dell’horror brasiliano.
Con interviste a Jack Hill, Eddie Romero e C. Davis Smith, direttore della fotografia di molti film di Doris Wishman".
Davide Perconti a Piove di Sacco
Ieri si è inaugurata a Piove di Sacco, presso il Centro Piovese di Arte e Cultura in via Garibaldi 40 (in pieno centro), una mostra dedicata al disegnatore Davide Perconti. La mostra si incentra, come da sottotitolo (“La fantascienza nei fumetti di Sergio Bonelli Editore”), sulla produzione fantascientifica di Perconti per Bonelli e quindi ci sono tavole originali di Legs Weaver, Nathan Never, Agenzia Alfa e anche delle tavole di un episodio di Gregory Hunter rimasto incompiuto e inedito a causa della fine della serie.
Ho avuto il piacere di collaborare più volte con Davide Perconti e quindi ho avuto la possibilità di apprezzarne de facto la bravura e la professionalità. Visitando la mostra - io ci sono stato ieri, all’affollatissima inaugurazione - ci si può rendere conto dell’alto livello del disegno di Perconti, con punte di notevole spettacolarità (in particolare, consiglio di soffermarsi sulle pagine di Nathan Never del 2012, in bella mostra). Per chi è interessato a valutare gli aspetti più propriamente tecnici dell’arte fumettistica, ci sono anche un paio di esempi di matite a confronto con le chine che ne sono seguite.
A chi è in zona o a chi ha voglia di fare un viaggetto, consiglio di visitare la mostra: ci sono in esposizione cinquanta tavole, un must per ogni appassionato di fumetti bonelliani o tout court di fumetti.
Qui sopra la copertina del bel catalogo edito appositamente per la mostra in sole 200 copie numerate. La mostra resterà aperta sino al 28 febbraio: da martedì a venerdì ore 17.00 - 19.00, sabato e domenica ore 10.00 - 12.00 e 16.00 - 19.00.
Ho avuto il piacere di collaborare più volte con Davide Perconti e quindi ho avuto la possibilità di apprezzarne de facto la bravura e la professionalità. Visitando la mostra - io ci sono stato ieri, all’affollatissima inaugurazione - ci si può rendere conto dell’alto livello del disegno di Perconti, con punte di notevole spettacolarità (in particolare, consiglio di soffermarsi sulle pagine di Nathan Never del 2012, in bella mostra). Per chi è interessato a valutare gli aspetti più propriamente tecnici dell’arte fumettistica, ci sono anche un paio di esempi di matite a confronto con le chine che ne sono seguite.
A chi è in zona o a chi ha voglia di fare un viaggetto, consiglio di visitare la mostra: ci sono in esposizione cinquanta tavole, un must per ogni appassionato di fumetti bonelliani o tout court di fumetti.
Qui sopra la copertina del bel catalogo edito appositamente per la mostra in sole 200 copie numerate. La mostra resterà aperta sino al 28 febbraio: da martedì a venerdì ore 17.00 - 19.00, sabato e domenica ore 10.00 - 12.00 e 16.00 - 19.00.
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venerdì 5 febbraio 2016
Dylan Dog 353 - Il generale inquisitore
Mi è stato segnalato e io a mia volta, dopo averlo letto, lo segnalo qui. Il numero 353 di Dylan Dog attualmente in edicola contiene una storia, Il generale inquisitore, piuttosto particolare, che può interessare gli appassionati del cinema horror. Infatti, la storia riguarda l’indagine sulle vere cause della morte del regista Michael Reeves e Dylan Dog è incaricato di svolgerla dall’attore Ian Ogilvy, vecchio amico di Reeves. Nientemeno. Per chi non lo sa, Michael Reeves è morto nel 1969 a soli 25 anni dopo aver diretto appena tre lungometraggi (“il regista bruciato verde” titolava, più o meno, un articolo commemorativo su Horror, in quel periodo), mentre Ogilvy ha proseguito e prosegue tuttora una buona carriera nel cinema e nella televisione (per citare solo un titolo dei tanti, ha un’ottima parte in La bottega che vendeva la morte con Peter Cushing).
Siamo quindi nel campo della storia di finzione interpretata in parte da personaggi “veri”, addirittura, in questo caso, in parte viventi. Pur essendo cosa inconsueta, non è una novità: l’esempio più classico e al tempo certamente innovativo è Triste, solitario y final di Osvaldo Soriano, nel quale, tra l’altro, Philip Marlowe (personaggio inventato, ma non da Soriano) riceve da Stan Laurel l’incarico di indagare sul perché lui e Oliver Hardy erano stati messi al bando da Hollywood. Ma ce ne sono stati altri: persino Bram Stoker, per citare solo un esempio bizzarro tra i film, fa da protagonista, in modo del tutto incongruo, nel simpatico Creature del male (oppure, per tornare ai romanzi, c’è Tutto quel nero di Cristiana Astori, consigliato). Il rischio in questi casi è di un uso strumentale e fuorviante di queste persone reali piegandole al di là del lecito alle esigenze narrative.
In questo caso ci sono delle licenze poetiche. Per dire: Michael Reeves era già fuori dal progetto de La rossa maschera del terrore quando è morto; il finale de Il grande inquisitore - di incomparabile cupezza - è del tutto in linea con il resto del film, che non è certo adulatorio nei confronti del personaggio interpretato da Vincent Price (anzi, se vogliamo, è proprio il finale che in qualche modo avvicina vittima e carnefice); non vi è molto di misterioso nella morte di Reeves nel senso di possibili interferenze esterne: il dubbio, poi fugato, era che potesse essersi trattato di suicidio. Ma questo è ciò che penso io e potrebbe essere facilmente confutato: Michael Reeves comunque si occupò brevemente di La rossa maschera del terrore; un finale diverso talvolta può davvero cambiare il senso complessivo di un film; ci furono comunque controversie sulla morte di Reeves. E del resto anche Triste, solitario y final era basato su un presupposto romantico e affascinante, ma abbastanza privo di fondamento. Non c’era mistero nella fase finale della carriera di Laurel & Hardy: basta leggere un libro come Laurel & Hardy - From the Forties Forward di Scott MacGillivray per rendersene conto. Ciò rende Triste, solitario y final meno bello? Non direi. Il libro ha vita autonoma e tratta il duo comico, comunque, con il dovuto affetto.
In ogni caso sono, come si vede, licenze poetiche del tutto marginali e lecite e soprattutto prese da qualcuno che ben conosce l’argomento di cui scrive. Tra l’altro viene anche ricordato il famoso diverbio tra Reeves e Vincent Price sul set de Il grande inquisitore (anni dopo Price ammetterà che aveva ragione Reeves: grazie al giovane regista, l’attore diede in quel film una delle sue migliori interpretazioni). E viene ricordata la passione che Reeves aveva per i film di Don Siegel (il richiamo a Contratto per uccidere è particolarmente funzionale ed efficiente). Lode quindi a Fabrizio Accatino per aver non solo scritto una storia valida, ma anche per aver riacceso i riflettori su un autore che merita di non essere dimenticato. Non sottoscriverei che si tratta di un regista i cui tre film sono capolavori del cinema inglese perché La sorella di Satana, meglio noto come Il lago di Satana (coproduzione anglo-italiana con partecipazione jugoslava, girato in Italia), è tutto fuorché un capolavoro (e lo sapeva bene anche Michael Reeves), ma è certo che Il killer di Satana è un ottimo film e Il grande inquisitore è senz’altro un capolavoro. Pur essendo sicuramente interessati all’horror non è detto che tutti i lettori di Dylan Dog conoscano questi film: è quindi auspicabile che dopo aver letto questa storia vogliano vederli. Unico consiglio, Il lago di Satana tenetelo per ultimo.
Detto questo, la storia è ben condotta e si sviluppa in modo semplice, ma non banale, con frequenti flashback su Michael Reeves, adottando quindi una struttura narrativa composita, ma non faticosa (grazie anche ad adeguati accorgimenti grafici). I disegni di Luca Casalanguida sono più che buoni e “servono” la storia in modo funzionale. Perciò, buona lettura e poi, se già non l’avete fatto, buona visione.
Qui sopra l’ottima copertina del grande Angelo Stano.
Siamo quindi nel campo della storia di finzione interpretata in parte da personaggi “veri”, addirittura, in questo caso, in parte viventi. Pur essendo cosa inconsueta, non è una novità: l’esempio più classico e al tempo certamente innovativo è Triste, solitario y final di Osvaldo Soriano, nel quale, tra l’altro, Philip Marlowe (personaggio inventato, ma non da Soriano) riceve da Stan Laurel l’incarico di indagare sul perché lui e Oliver Hardy erano stati messi al bando da Hollywood. Ma ce ne sono stati altri: persino Bram Stoker, per citare solo un esempio bizzarro tra i film, fa da protagonista, in modo del tutto incongruo, nel simpatico Creature del male (oppure, per tornare ai romanzi, c’è Tutto quel nero di Cristiana Astori, consigliato). Il rischio in questi casi è di un uso strumentale e fuorviante di queste persone reali piegandole al di là del lecito alle esigenze narrative.
In questo caso ci sono delle licenze poetiche. Per dire: Michael Reeves era già fuori dal progetto de La rossa maschera del terrore quando è morto; il finale de Il grande inquisitore - di incomparabile cupezza - è del tutto in linea con il resto del film, che non è certo adulatorio nei confronti del personaggio interpretato da Vincent Price (anzi, se vogliamo, è proprio il finale che in qualche modo avvicina vittima e carnefice); non vi è molto di misterioso nella morte di Reeves nel senso di possibili interferenze esterne: il dubbio, poi fugato, era che potesse essersi trattato di suicidio. Ma questo è ciò che penso io e potrebbe essere facilmente confutato: Michael Reeves comunque si occupò brevemente di La rossa maschera del terrore; un finale diverso talvolta può davvero cambiare il senso complessivo di un film; ci furono comunque controversie sulla morte di Reeves. E del resto anche Triste, solitario y final era basato su un presupposto romantico e affascinante, ma abbastanza privo di fondamento. Non c’era mistero nella fase finale della carriera di Laurel & Hardy: basta leggere un libro come Laurel & Hardy - From the Forties Forward di Scott MacGillivray per rendersene conto. Ciò rende Triste, solitario y final meno bello? Non direi. Il libro ha vita autonoma e tratta il duo comico, comunque, con il dovuto affetto.
In ogni caso sono, come si vede, licenze poetiche del tutto marginali e lecite e soprattutto prese da qualcuno che ben conosce l’argomento di cui scrive. Tra l’altro viene anche ricordato il famoso diverbio tra Reeves e Vincent Price sul set de Il grande inquisitore (anni dopo Price ammetterà che aveva ragione Reeves: grazie al giovane regista, l’attore diede in quel film una delle sue migliori interpretazioni). E viene ricordata la passione che Reeves aveva per i film di Don Siegel (il richiamo a Contratto per uccidere è particolarmente funzionale ed efficiente). Lode quindi a Fabrizio Accatino per aver non solo scritto una storia valida, ma anche per aver riacceso i riflettori su un autore che merita di non essere dimenticato. Non sottoscriverei che si tratta di un regista i cui tre film sono capolavori del cinema inglese perché La sorella di Satana, meglio noto come Il lago di Satana (coproduzione anglo-italiana con partecipazione jugoslava, girato in Italia), è tutto fuorché un capolavoro (e lo sapeva bene anche Michael Reeves), ma è certo che Il killer di Satana è un ottimo film e Il grande inquisitore è senz’altro un capolavoro. Pur essendo sicuramente interessati all’horror non è detto che tutti i lettori di Dylan Dog conoscano questi film: è quindi auspicabile che dopo aver letto questa storia vogliano vederli. Unico consiglio, Il lago di Satana tenetelo per ultimo.
Detto questo, la storia è ben condotta e si sviluppa in modo semplice, ma non banale, con frequenti flashback su Michael Reeves, adottando quindi una struttura narrativa composita, ma non faticosa (grazie anche ad adeguati accorgimenti grafici). I disegni di Luca Casalanguida sono più che buoni e “servono” la storia in modo funzionale. Perciò, buona lettura e poi, se già non l’avete fatto, buona visione.
Qui sopra l’ottima copertina del grande Angelo Stano.
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