Mi è stato segnalato e io a mia volta, dopo averlo letto, lo segnalo qui. Il numero 353 di Dylan Dog attualmente in edicola contiene una storia, Il generale inquisitore, piuttosto particolare, che può interessare gli appassionati del cinema horror. Infatti, la storia riguarda l’indagine sulle vere cause della morte del regista Michael Reeves e Dylan Dog è incaricato di svolgerla dall’attore Ian Ogilvy, vecchio amico di Reeves. Nientemeno. Per chi non lo sa, Michael Reeves è morto nel 1969 a soli 25 anni dopo aver diretto appena tre lungometraggi (“il regista bruciato verde” titolava, più o meno, un articolo commemorativo su Horror, in quel periodo), mentre Ogilvy ha proseguito e prosegue tuttora una buona carriera nel cinema e nella televisione (per citare solo un titolo dei tanti, ha un’ottima parte in La bottega che vendeva la morte con Peter Cushing).
Siamo quindi nel campo della storia di finzione interpretata in parte da personaggi “veri”, addirittura, in questo caso, in parte viventi. Pur essendo cosa inconsueta, non è una novità: l’esempio più classico e al tempo certamente innovativo è Triste, solitario y final di Osvaldo Soriano, nel quale, tra l’altro, Philip Marlowe (personaggio inventato, ma non da Soriano) riceve da Stan Laurel l’incarico di indagare sul perché lui e Oliver Hardy erano stati messi al bando da Hollywood. Ma ce ne sono stati altri: persino Bram Stoker, per citare solo un esempio bizzarro tra i film, fa da protagonista, in modo del tutto incongruo, nel simpatico Creature del male (oppure, per tornare ai romanzi, c’è Tutto quel nero di Cristiana Astori, consigliato). Il rischio in questi casi è di un uso strumentale e fuorviante di queste persone reali piegandole al di là del lecito alle esigenze narrative.
In questo caso ci sono delle licenze poetiche. Per dire: Michael Reeves era già fuori dal progetto de La rossa maschera del terrore quando è morto; il finale de Il grande inquisitore - di incomparabile cupezza - è del tutto in linea con il resto del film, che non è certo adulatorio nei confronti del personaggio interpretato da Vincent Price (anzi, se vogliamo, è proprio il finale che in qualche modo avvicina vittima e carnefice); non vi è molto di misterioso nella morte di Reeves nel senso di possibili interferenze esterne: il dubbio, poi fugato, era che potesse essersi trattato di suicidio. Ma questo è ciò che penso io e potrebbe essere facilmente confutato: Michael Reeves comunque si occupò brevemente di La rossa maschera del terrore; un finale diverso talvolta può davvero cambiare il senso complessivo di un film; ci furono comunque controversie sulla morte di Reeves. E del resto anche Triste, solitario y final era basato su un presupposto romantico e affascinante, ma abbastanza privo di fondamento. Non c’era mistero nella fase finale della carriera di Laurel & Hardy: basta leggere un libro come Laurel & Hardy - From the Forties Forward di Scott MacGillivray per rendersene conto. Ciò rende Triste, solitario y final meno bello? Non direi. Il libro ha vita autonoma e tratta il duo comico, comunque, con il dovuto affetto.
In ogni caso sono, come si vede, licenze poetiche del tutto marginali e lecite e soprattutto prese da qualcuno che ben conosce l’argomento di cui scrive. Tra l’altro viene anche ricordato il famoso diverbio tra Reeves e Vincent Price sul set de Il grande inquisitore (anni dopo Price ammetterà che aveva ragione Reeves: grazie al giovane regista, l’attore diede in quel film una delle sue migliori interpretazioni). E viene ricordata la passione che Reeves aveva per i film di Don Siegel (il richiamo a Contratto per uccidere è particolarmente funzionale ed efficiente). Lode quindi a Fabrizio Accatino per aver non solo scritto una storia valida, ma anche per aver riacceso i riflettori su un autore che merita di non essere dimenticato. Non sottoscriverei che si tratta di un regista i cui tre film sono capolavori del cinema inglese perché La sorella di Satana, meglio noto come Il lago di Satana (coproduzione anglo-italiana con partecipazione jugoslava, girato in Italia), è tutto fuorché un capolavoro (e lo sapeva bene anche Michael Reeves), ma è certo che Il killer di Satana è un ottimo film e Il grande inquisitore è senz’altro un capolavoro. Pur essendo sicuramente interessati all’horror non è detto che tutti i lettori di Dylan Dog conoscano questi film: è quindi auspicabile che dopo aver letto questa storia vogliano vederli. Unico consiglio, Il lago di Satana tenetelo per ultimo.
Detto questo, la storia è ben condotta e si sviluppa in modo semplice, ma non banale, con frequenti flashback su Michael Reeves, adottando quindi una struttura narrativa composita, ma non faticosa (grazie anche ad adeguati accorgimenti grafici). I disegni di Luca Casalanguida sono più che buoni e “servono” la storia in modo funzionale. Perciò, buona lettura e poi, se già non l’avete fatto, buona visione.
Qui sopra l’ottima copertina del grande Angelo Stano.
venerdì 5 febbraio 2016
Dylan Dog 353 - Il generale inquisitore
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