domenica 28 febbraio 2016

Lost Horizons Beneath the Hollywood Sign di David Del Valle

Ho già scritto di un altro libro di David Del Valle, 6 Reels Under, rilevandone l’interesse e la particolarità. Ma questo, Lost Horizon Beneath the Hollywood Sign (del 2010, ma per nulla invecchiato) è persino migliore. Del Valle è uno storico del cinema, un critico anche, ma soprattutto è una persona che conosce profondamente ciò di cui parla. È stato amico o comunque ha conosciuto bene per motivi professionali i personaggi di cui scrive e ne traccia dei ritratti vividi e umani che riescono a dare la sensazione di poterli conoscere noi stessi attraverso di lui. E dato che i personaggi di cui si tratta sono attori, registi, personaggi del mondo dello spettacolo che abbiamo visto molte volte sullo schermo la cosa si rivela particolarmente interessante. Ma anche nel caso in cui si tratti di personaggi marginali, decisamente minori, la scrittura di Del Valle riesce a coglierne l’unicità e la peculiarità. Non a caso, uno dei capitoli più curiosi e a suo modo commoventi è quello dedicato a un signor Nessuno, Paul Marco, la cui unica, opinabile, chiamata alla fama è stata quella di aver partecipato nel ruolo minore di un poliziotto a tre film di Ed Wood. Ma la parabola umana che Del Valle traccia di Marco e della sua illusione di essere un divo cult è eccezionale, sottolineando come a volte la distanza tra realtà e abbaglio sia sottile e ingannevole, con conseguenze tragicomiche, in questo caso.

Di solito, però, gli attori e i registi di cui Del Valle traccia dei ritratti decisamente da vicino sono molto noti agli appassionati di cinema di genere: Vincent Price, Christopher Lee, Barbara Steele, Robert Quarry, John Carradine, Ferdy Mayne (Per favore non mordermi sul collo), per citarne solo alcuni. Tutti attori che Del Valle ha conosciuto bene instaurando rapporti di amicizia che gli consentono di svelarne aspetti poco noti e rilevanti sotto il profilo umano. A differenza del Kenneth Anger di Hollywood Babilonia (al cui secondo volume ha collaborato anche Del Valle, a suo tempo), Del Valle non è però interessato al pettegolezzo o al particolare “decadente”: non c’è cinismo o cattiveria nelle sue descrizioni, ma semmai condivisione e compassione umana unite a un sano senso dell’umorismo che riesce a rendere spesso divertente e non solo informativa la lettura: tra i tanti aneddoti, ce n’è uno su James Ivory e Ismail Merchant che resta nella memoria, sotto questo aspetto. E comunque di Kenneth Anger, Del Valle è stato ed è ancora amico e a lui - e al suo rivale, e parimenti suo amico, il grande regista Curtis Harrington - dedica uno dei capitoli migliori e più inquieti. Non mancano nemmeno due attori come Angelo Rossitto e Herve Villechaize, cui Del Valle dedica due ritratti intensi e significativi. Uno dei capitoli più intensi è però quelo dedicato a Joyce Jameson, attrice comica di grande valore, la cui tragica parabola umana Del Valle racconta con sentita partecipazione. Uno dei più vivaci è quello dedicato all’attore Vladek Sheybal, reso famoso da Ken Russell (e da 007 e dalla serie televisiva UFO).

Diversi tra gli attori presenti sono stati clienti di Del Valle nel periodo piuttosto breve in cui ha fatto l’agente cinematografico. Tra questi Calvin Lockhart, che ricordo soprattutto nel curioso whodunit licantropesco La notte del licantropo, ma che vanta una lunga e brillante carriera.

Alcuni attori sono ben noti - o meglio lo erano - anche e soprattutto al pubblico italiano per la loro attività nel nostro cinema. Ad esempio Hiram Keller, protagonista di Fellini Satyricon (e de Il sorriso della jena e La morte negli occhi del gatto, per citare esempi più di genere) e poi scomparso dalla scena cinematografica: chi si sia chiesto cosa ne è stato - da lì sino alla morte nel 1997 - potrà trovare qualche risposta in questo libro. Lo stesso vale per Helmut Berger, del quale però non si sono perse le tracce ed è ancora felicemente in attività.

Ci sono anche registi classici e ingiustamente dimenticati come Robert Florey che qui scopriamo come essere umano e non solo come autore di vecchi film o - il motivo per cui di solito lo si ricorda - come mancato autore del Frankenstein poi diretto da James Whale. O come John Brahm. E registi di ben pochi film come Michael Armstrong (Il buio), che Del Valle ha ospitato per un po’ e di cui traccia un ritratto schietto e decisamente vivace.

Non solo attori e registi, comunque. C’è spazio anche per personaggi come il geniale sceneggiatore e scrittore Terry Southern, sceneggiatore di Easy Rider e autore del romanzo The Magic Christian da cui venne tratto un film con Ringo Starr (ne ho parlato con David McGillivray nell’intervista contenuta ne Il cinema dell’eccesso vol. 1). Il capitolo che Del Valle gli dedica si intitola Icon of Cool e mai definizione è stata più appropriata. E c’è anche nientemeno che Timothy Leary, il guru dell’LSD. Uno dei capitoli più significativi è poi dedicato al musicista Les Baxter, autore, tra le altre cose, delle colonne sonore di diversi dei film del ciclo da Poe di Roger Corman.

Fare un elenco di tutti quelli che hanno un loro capitolo sarebbe lungo (c’è anche Russ Meyer, comunque, e i capitoli sono ben 46), ma quello che importa è che si tratta di un libro imperdibile che si legge con piacere sia per la fluidità della scrittura sia per la freschezza e la novità dei contenuti, sempre di prima mano, testimonianze dirette. Perché, parlando di loro, Del Valle invariabilmente parla anche di sé in una sorta di autobiografia per interposte persone che risulta affascinante come un puzzle di cui non si hanno tutti i pezzi, ma di cui si coglie comunque l’immagine d’insieme.

C’è anche un ricco apparato iconografico.


Il libro è in inglese (e sarebbe da tradurre e pubblicare in italiano al più presto) e l'ho letto nella comoda ed economica edizione per Kindle.

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