Si tratta della stessa persona, naturalmente. Jacinto Molina è il suo vero nome, usato per firmare sceneggiature e regie, mentre Paul Naschy è lo pseudonimo utilizzato per il suo mestiere di attore. Chi conosce Paul Naschy, generalmente lo ricorda come il licantropo Waldemar Daninsky, reincarnazione - con enfasi sul melodramma - del personaggio di Larry Talbot portato al successo da Lon Chaney jr ne L’uomo lupo, il prototipo dei film sui lupi mannari. E difatti quando Jacinto Molina propose la sua idea di fare un film sui licantropi nella Spagna degli anni ‘60 la sua speranza era di convincere Chaney a esserne il protagonista. Età e salute malferma impedirono alla vecchia gloria hollywoodiana di essere della partita e allora Molina assunse il nome di Naschy e interpretò lui stesso la parte, cambiando per sempre la sua vita.
Melodramma, si diceva. Ma soprattutto exploitation, perché i film di Naschy come attore sono quasi sempre horror ad alto tasso di sesso e violenza (tra i titoli usciti anche in Italia si possono ricordare Le messe nere della contessa Dracula, I diabolici amori di Nosferatu, Il licantropo e lo yeti, Gli occhi azzurri della bambola rotta, Il mostro dell’obitorio, L’orgia dei morti e via discorrendo). Considerato da molti come una pallida imitazione sottocosto dei suoi idoli d’oltre oceano, Naschy ha percorso con notevole dignità - e anche con alcuni evidenti limiti - un tragitto non facile attraverso svariati decenni di cinema di genere. Pur non trascurando di contestualizzare la sua attività di attore, nel libro mi concentro soprattutto sulla sua attività come regista. Come Jacinto Molina, quindi.
Curiosamente, nessuna delle sue regie risulta edita in Italia ed è un peccato perché si tratta spesso di film interessanti, più di talvolta molto diversi, pur restando in un ambito di horror exploitativo, da quelli che Molina era solito interpretare. Passarli in rassegna e cogliere la sua parabola autoriale è perciò un viaggio significativo nella sua personalità e nelle sue predisposizioni e capacità. Tra i titoli più interessanti posso ricordare - ma chi leggerà il libro avrà modo di avere un quadro d’insieme molto dettagliato - Inquisición con Daniela Giordano (indimenticabile diva dell'exploitation italiana) in notevole evidenza, il cupissimo thriller d’epoca El huerto del Francés, la commedia satirica Madrid al desnudo, l’horror demoniaco-filosofico El caminante o il bronsoniano La noche del ejecutor. Per non parlare del curioso peplum Los cantabros. Ma sono tutti - quelli citati qui sopra e gli altri per i cui titoli rimando al libro - film diversi tra loro, spesso originali, testimonianze di un’irrequietezza creativa che non ci si sarebbe aspettati da un divo dell’horror minore.
Rispetto all'articolo della serie Kings of Exploitation uscito su Segnocinema nell'ormai lontano 2006, il capitolo si occupa anche di film che all'epoca non era stato possibile reperire (come il citato Los cantabros o l'incredibile Mi amigo el vagabundo e altri ancora) o che non erano ancora usciti come l'inaspettata ultima regia di Molina, Empusa, un horror che riprende e rielabora sue vecchie tematiche in un compendio crepuscolare ma per nulla depresso o deprimente.
Oltre al mio libro, mi sento anche di consigliare, per chi voglia approfondire la conoscenza della persona, la lettura dell’autobiografia di Paul Naschy, Memoirs of a Wolfman.
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