domenica 28 giugno 2015
Bob Dylan a San Daniele del Friuli, 27 giugno 2015
Nella mia esperienza di concerti dylaniani all’aperto mi è capitato raramente di potervi assistere senza subire, direttamente o nelle conseguenze, le inclemenze atmosferiche. La mia è naturalmente un’esperienza limitata e non può assurgere ad alcun carattere di scientificità, ma per quanto mi riguarda è molto significativa. In sostanza mi sono rassegnato all’inevitabilità del meteo avverso, ma ogni volta mi stupisco. Modena ‘87 e Ferrara ‘96 sono stati esempi del tutto positivi, ma già Verona ‘84, Correggio ‘92, Sonoria ‘94, Passariano '96, Udine '01 (con il concerto addirittura annullato: caso credo unico nella storia dylaniana, a parte l'influenza di Praga), Strà 2004 (grandine, nientemeno) e via dicendo mi hanno segnato. Questa volta il meteo - almeno quello che ho consultato io - faceva prevedere buone cose e invece mi sono fatto tutto il viaggio sotto un nubifragio e quando sono arrivato a San Daniele del Friuli non sono stato accolto solo da un eccezionale arcobaleno, ma anche da una plurichilometrica coda che non faceva presagire nulla di buono. E quasi nulla di buono c’è stato, infatti, perché la pioggia ha prodotto conseguenze notevoli a livello organizzativo, con molti parcheggi chiusi. Per farla breve, dopo indicazioni contraddittorie e una botta di fortuna, sono riuscito ad arrivare al concerto quando questo era già iniziato da tempo. Da un lato mi è dispiaciuto, dall’altro non potevo credere di esserci comunque arrivato dopo tutto quello che avevo dovuto passare. E tenete presente che, come mia consuetudine, mi ero mosso con largo anticipo e che non sono stato certo il solo ad arrivare però tardi al concerto per difficoltà sopravvenute.
Il concerto però è stato ottimo, confermando la positiva impressione avuta in quelli degli ultimi anni e, anzi, aumentandola. La voce di Bob è in ottima forma. Questa volta ha cantato con toni bassi, in modo molto chiaro e ricco di nuances e suggestioni. Il fatto che il concerto fosse all’aperto non ha compromesso la qualità del suono che, a mio avviso e dalla mia postazione, è stata ottima, anche è soprattutto a livello di missaggio, con la voce in bella evidenza. La formazione è quella solita e ha dato ottima prova di sé.
Il mio concerto, purtroppo, è cominciato con le ultime note di Duquesne Whistle (versione più che accettabile, per quel che ho sentito) e quindi mi sono perso le prime canzoni, vale a dire Things Have Chjanged, She Belongs to Me, Beyond Here Lies Nothin’ e Workingman’s Blues #2 (vera disdetta, soprattutto quest’ultima, che ci avrei tenuto parecchio a sentire). Il concerto è poi proseguito con questa scaletta.
Waiting For You: il buon vecchio valzerone scritto per la colonna sonora di I sublimi segreti delle Ya-Ya Sisters continua a essere una canzona dalla discreta resa in concerto, ma senza il fascino rétro che riusciva a sviluppare nella versione su disco, grazie anche alle morbide variazioni musicali. Gradevole, ma non molto di più.
Pay in Blood: ottimo pezzo da Tempest, mantiene sempre la sua ruvidezza e la sua cattiveria. La band asseconda il cantato feroce di Dylan con un’orchestrazione “sporca” e molto concentrata. Una canzone che rimane di ottima presa a ricordarci la continua pregnanze dell’ultimo Dylan.
Tangles Up in Blue: quando pensi di esserti stancato di sentire per l’ennesima volta questa pur bellissima canzone, ti devi spesso, come stavolta, ricredere. Una versione ottima, fresca, arricchita dall’armonica e da un cantato preciso e suadente. Uno dei punti alti della serata.
Full Moon and Empty Arms: istintivamente, quando l’ho sentita ho guardato in alto, ma no, la luna non era piena. Comunque il pezzo, così notturno e soffuso, era perfettamente in linea con il momento, buio e nuvoloso (anche se, per fortuna, non ha più piovuto). Tratta dal recente album che omaggia Frank Sinatra, è una canzone che Dylan interpreta con perizia e umiltà. Un grande pezzo d’atmosfera.
Dopo l’intervallo il concerto è ripreso con questi pezzi.
High Water: per me una delle tre migliori della serata (le altre due sono Forgetful Heart e Long and Wasted Years, con Tangled Up in Blue subito dopo). Dopo anni in cui l’arrangiamento, pur mantenendosi gradevole, le aveva fatto perdere un po’ di mordente, la canzone è tornata a essere pienamente coesa, forte, che va dritta sul punto. Dylan l’ha interpretata in modo magistrale, riuscendo a rendere evidente e coinvolgente il suo sarcasmo apocalittico. Visto il momento meteo, poi, era particolarmente appropriata.
Simple Twist of Fate: come Tangled Up in Blue, anche questa è stata rivitalizzata in modo molto efficace grazie a un arrangiamento soft e molto gradevole. Una grande canzone che non tradisce mai.
Early Roman Kings: canzone che ho sempre considerato tra le più deboli, relativamente, di Tempest (grande album), soprattutto per il suo riff musicale derivativo che però accompagna un testo di raro mistero e fascino. Dal vivo, comunque è una canzone che anno dopo anno continua a crescere e stavolta mi ha davvero convinto: una versione più riflessiva, intensa, in cui anche il riff blues è camuffato, ammorbidito.
Forgetful Heart: ogni volta che la sento, mi colpisce per il tono disarmante e indifeso con cui Dylan la canta, caricandola di significati che vanno ben al di là di un testo intenso ma non eccezionale. Il segreto e il mistero sono nell'interpretazione, intensa e strabocchevole di suggestioni con assoli di armonica assolutamente strazianti. Un must assoluto del Dylan live di questi anni.
Spirit on the Water: ancora acqua. Forse è la canzone che ha coinvolto di più gli spettatori che si sono lasciati trascinare da una melodia, appunto, trascinante. Un pezzo che mi piace, senza che mi convinca del tutto, reso in modo molto professionale e sentito.
Scarlet Town: oscuro e minaccioso, da Tempest, è un brano di notevole bellezza che Dylan rende sempre molto bene anche in concerto. Questa versione l’ho trovata in linea con le precedenti, di ottima fattura, capace di portare l’ascoltatore in un mondo cupo e ristretto dal quale sembra impossibile poter evadere. Se qualcuno trova affinità con il mondo reale, be’, non credo si sbagli.
Soon After Midnight: altra canzone perfetta per il momento. Melodia accattivante, cantato suadente: una canzone d’amore tra le migliori del Dylan degli ultimi decenni in una versione perfetta e coinvolgente.
Long and Wasted Years: che dire? Meravigliosa. Cattiva e puntuta. Credevo che fosse così perfetta da non essere modificabile e invece questa versione presenta delle novità, soprattutto nello smussamento dell’inevitabilità del riff, con un effetto in minima parte spiazzante e in ogni caso molto efficace: uno dei capolavori del Dylan degli ultimi decenni.
Autumn Leaves: altra canzone da Shadows in the Night in un’esecuzione perfetta che dovrebbe togliere ogni dubbio a chi pensa che Dylan non abbia più voce. Intensa e profondamente sentita, la versione di Dylan ha creato un’atmosfera magica assolutamente in tono con il momento.
Gli encores sono stati la consueta, vivace e per me molto riuscita, versione di Blowin’ in the Wind che la rende una sorta di inno alla positività e un’ottima resa di Love Sick, altra canzone che dal vivo ha sempre funzionato e che in questa versione è particolarmente efficace.
Alla fine, il concerto, come prevedibile, con la sua qualità, ha ridotto il disappunto per quanto era successo prima e per l’irreparabile perdita delle prime canzoni. Tant’è. La mia speranza, come sempre, è di poter vedere concerti al chiuso e non all’aperto perché sarà pur vero che l’Italia è il paese del sole, ma, quando si tratta di concerti dylaniani, ciò non si direbbe.
Un ultimo appunto per la mia classica domanda: perché mai un sacco di gente paga il biglietto per venire a vedere un concerto per poi non fare altro che schiamazzare con amici e vicini?
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1 commento:
Mi riconosco in larga parte nella recensione proposta da Rudy. Anche a me il concerto è piaciuto molto, con la differenza che per me è il primo (dylanista dell'ultima ora).
Concordo in particolare con l'ultima osservazione su un certo genere di spettatori: io mi sono trovato vicino ad un tale che si sentiva in dovere di commentare a voce alta ogni brano durante l'esecuzione, sfoggiando perle di dottrina (?); in qualche caso ci ha deliziati schiamazzando in anticipo il verso di qualche brano: un vero tormento.
Che dire poi di quelli che si sono annoiati? Un po' come andare ad una mostra di Picasso pensando di trovarci dei fumetti.
Stefano
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