Sul n° 18 del Giornalino - in edicola questa settimana - c’è una nuova avventura di Rosco e Sonny, scritta, com’è consuetudine di questi ultimi vent’anni, da me e disegnata da Rodolfo Torti. Il titolo è I pirati della piattaforma e, seguendo i principi di onestà che caratterizzano spesso il mio lavoro, posso assicurare che ci sono sia i pirati sia la piattaforma.
Nel prossimo numero del Giornalino ci sarà un’altra storia di Rosco e Sonny: sarà una storia un po’ particolare e mi ci soffermerò un po’ più del solito, quando sarà il momento.
sabato 28 aprile 2012
giovedì 26 aprile 2012
Il Dizionario dei film horror e Ghost Story
Tra i film del passato recuperati e inseriti nella seconda edizione del mio Dizionario dei film horror (Corte del Fontego) - dell’argomento ho parlato qui - vorrei soffermarmi un momento su uno dei più elusivi, diretto da un regista la cui carriera è tutto fuorché lineare o prolifica.
Ghost Story, inedito in Italia, è uscito nel 1974, in un’epoca in cui l’horror britannico, cui appartiene produttivamente pur essendo stato girato in India (che funge da Inghilterra), era in fase calante, diretto verso una dissoluzione che presto sarebbe stata pressoché totale. Il regista è Stephen Weeks, all’epoca giovane e promettente (è del 1948): aveva esordito pochi anni prima con La vera storia del dottor Jekyll (anch’esso naturalmente compreso nel Dizionario, già dalla prima edizione), ennesima trasposizione cinematografica del romanzo breve di Stevenson. Un film non privo di pregi (e impreziosito da una grande interpretazione di Christopher Lee nel ruolo principale, oltre che da un sempre ottimo Peter Cushing in un ruolo di supporto), ma sostanzialmente irrisolto a causa degli insanabili contrasti tra Weeks e la produzione (la Amicus, la casa famosa per gli horror a episodi).
Autore assolutamente ostile all’omologazione, Weeks non ha avuto vita facile. Si era fatto notare soprattutto con il cortometraggio 1917 (1970), per il quale aveva avuto il supporto del mitico Tony Tenser (di Tenser ho parlato qui), ma dopo le vicissitudine di La vera storia del dottor Jekyll e quelle, non inferiori, di Gawain and the Green Knight (1973), aveva puntato tutto su Ghost Story, un horror del tutto atipico, appartenente a una tipologia sostanzialmente inesistente. Del film - che recupera in modo singolare la tradizione britannica delle storie di fantasmi - ho già scritto sul Dizionario, a cui rimando. Segnalo però la presenza di Marianne Faithfull - allora appena uscita dalla fase di icona rock e in un periodo assai problematico della sua vita.
È comunque da sottolineare che, dopo essere vissuto nel limbo per decenni, il film è da un paio d’ani disponibile, per il mercato inglese, in una ricca versione in doppio dvd (Nucleus Films) con parecchi extra interessanti: commento audio con Stephen Weeks, un documentario sul film di ben 72’, sequenze alternative e sette cortometraggi di Weeks tra cui, appunto, il celebrato 1917. Da non perdere.
Successivamente, Weeks ha diretto solo un altro film - Sword of the Valiant con Sean Connery, una sorta di remake di Gawain and the Green Knight - per poi dedicarsi ad altro che non aveva niente a che fare con il cinema, com’è avvenuto a un altro grande dell’horror inglese, Pete Walker.
Ghost Story, inedito in Italia, è uscito nel 1974, in un’epoca in cui l’horror britannico, cui appartiene produttivamente pur essendo stato girato in India (che funge da Inghilterra), era in fase calante, diretto verso una dissoluzione che presto sarebbe stata pressoché totale. Il regista è Stephen Weeks, all’epoca giovane e promettente (è del 1948): aveva esordito pochi anni prima con La vera storia del dottor Jekyll (anch’esso naturalmente compreso nel Dizionario, già dalla prima edizione), ennesima trasposizione cinematografica del romanzo breve di Stevenson. Un film non privo di pregi (e impreziosito da una grande interpretazione di Christopher Lee nel ruolo principale, oltre che da un sempre ottimo Peter Cushing in un ruolo di supporto), ma sostanzialmente irrisolto a causa degli insanabili contrasti tra Weeks e la produzione (la Amicus, la casa famosa per gli horror a episodi).
Autore assolutamente ostile all’omologazione, Weeks non ha avuto vita facile. Si era fatto notare soprattutto con il cortometraggio 1917 (1970), per il quale aveva avuto il supporto del mitico Tony Tenser (di Tenser ho parlato qui), ma dopo le vicissitudine di La vera storia del dottor Jekyll e quelle, non inferiori, di Gawain and the Green Knight (1973), aveva puntato tutto su Ghost Story, un horror del tutto atipico, appartenente a una tipologia sostanzialmente inesistente. Del film - che recupera in modo singolare la tradizione britannica delle storie di fantasmi - ho già scritto sul Dizionario, a cui rimando. Segnalo però la presenza di Marianne Faithfull - allora appena uscita dalla fase di icona rock e in un periodo assai problematico della sua vita.
È comunque da sottolineare che, dopo essere vissuto nel limbo per decenni, il film è da un paio d’ani disponibile, per il mercato inglese, in una ricca versione in doppio dvd (Nucleus Films) con parecchi extra interessanti: commento audio con Stephen Weeks, un documentario sul film di ben 72’, sequenze alternative e sette cortometraggi di Weeks tra cui, appunto, il celebrato 1917. Da non perdere.
Successivamente, Weeks ha diretto solo un altro film - Sword of the Valiant con Sean Connery, una sorta di remake di Gawain and the Green Knight - per poi dedicarsi ad altro che non aveva niente a che fare con il cinema, com’è avvenuto a un altro grande dell’horror inglese, Pete Walker.
giovedì 19 aprile 2012
Unrank di Alberto Lavoradori
A parte i Cheap Trick, una grande passione culturale di Alberto Lavoradori - sommo disegnatore disneyano e non - è sempre stata la fantascienza. Ho avuto il piacere di collaborare con lui diverse volte scrivendogli appositamente delle storie di fantascienza per Topolino. Me lo aveva chiesto lui perché voleva avere la possibilità di disegnare astronavi, lo spazio esterno e se capitava anche qualche mostro. I risultati sono stati Paperino e la nube cosmica, Zio Paperone e il planetoide misterioso e Paperino e il pianeta impossibile. Erano i primi anni ‘90. Poi, sempre in ambito fantascientifico, abbiamo collaborato alla miniserie dedicata a Rave (1998), il super eroe che faceva le pulizie (e non solo). Alberto si era dedicato con impegno e fantasia alla creazione degli alieni mostruosi che erano la nemesi dell’eroe e conservo ancora innumerevoli schizzi e bozzetti realizzati per l’occasione. Ma, oltre che disegnatore, Alberto ha, soprattutto da un certo momento in poi, manifestato quella che oggi verrebbe definita un’urgenza espressiva totalizzante, che si è manifestata, sempre in ambito fantascientifico, con Gommo, un inventivo fumetto cibernetico in cd-rom realizzato interamente da lui. Dopo altri progetti e realizzazioni sempre contrassegnate dal suo stile unico e innovativo, Lavoradori è arrivato infine a coronare la sua ascesi di narratore con un romanzo, Unrank (Edizioni Montag. 136 pagine, € 18).
La storia parte da una premessa al tempo stesso classica e interessante. Mike Summerford e Lisa Keller sono due cadetti dell’accademia aerospaziale che, al termine del biennio di addestramento, si ritrovano, a sorpresa, a essere esclusi dalla promozione completa. Sarebbero destinati a ben poco ambiziosi compiti a terra e dovrebbero rinunciare a quello per cui hanno lottato - e cioè pilotare razzi spaziali - se non accettassero una sorta di esame di riparazione che consiste nel sottoscrivere un misterioso contratto Unrank. La loro missione è recuperare tre tecnici da un laboratorio su un satellite di Urano, al quale arriveranno dopo un viaggio interminabile. Circostanza aggravante: i due non si sopportano e sono caratterialmente antitetici. Circostanza ulteriormente aggravante: la missione presenta numerosi lati oscuri. Ci sarebbero tutte le condizioni per un’epica avventura in cui un uomo e una donna riscoprono se stessi e si accorgono di provare attrazione l’uno per l’altra, ma nulla è ciò che sembra e l’imprevedibilità è una costante.
Con uno stile piano, diretto ed efficace, Lavoradori costruisce una storia avvincente giocando con accortezza le notevoli carte della vicenda. Cedendo uno strato dopo l’altro, il mistero si disvela suscitando una quieta tensione senza mai tradire lo spirito dei personaggi e la loro interazione. Come nei classici della fantascienza tremendista e sociologica, la verità giunge inaspettata, ma quasi ineluttabile, rivelando i contorni amari della finitezza umana. Il racconto è serrato: anche quando sembra che ci sia spazio per un traccheggio determinato dalla presunta ripetitività del viaggio, ci si accorge che tutto è calibrato perfettamente allo scopo di far procedere la trama. Il linguaggio è ricco di quei tecnicismi fantasiosamente scientifici che rendono la fantascienza (certa fantascienza) così credibile e astratta al tempo stesso. La conclusione presenta, come accennato, notevoli sorprese, ma, terminata la lettura, non ci si può che rendere conto che non poteva esserci fine più giusta. Ogni azione, ogni intuizione, ogni sbaglio compiuto dai protagonisti rivela la loro natura e le loro debolezze e non può che trasformarsi, narrativamente, che in qualcosa di conseguente. Un libro che consiglio di leggere: teso, schietto, inventivo, brillante e, soprattutto, sincero e a tratti anche struggente. Un esordio molto promettente.
Etichette:
Alberto Lavoradori,
Edizioni Montag,
fantascienza,
Paperino e la nube cosmica,
Rave,
Unrank
domenica 8 aprile 2012
Rodolfo Cimino (16 ottobre 1927-31 marzo 2012)
Sono stato via una settimana senza connessione internet e quindi ho appreso da poche ore la triste notizia della scomparsa di Rodolfo Cimino.
Di persona lo conoscevo poco. L’ho visto solo a diverse Convention Disney e ci ho scambiato poche parole: ieratico, ma appassionato, era circondato da un’aura suprema da “vecchio” - ma ancora attivissimo - saggio che lo proiettava automaticamente in una dimensione superiore, facendone un’icona vivente della disneyanità italiana. Poche parole, dicevo, ma sufficienti a cogliere la passione e la serietà con cui affrontava la sua professione.
Aveva uno stile personalissimo, il che è forse il massimo cui un autore possa aspirare. Le sue storie erano riconoscibilissime, dalla prima vignetta. La loro struttura consentiva variazioni infinite caratterizzate da un linguaggio che forse era la caratteristica più peculiare dello stile ciminiano. L’uso di termini insieme ricercati e fantasiosi lo rendeva unico, non solo in ambito disneyano. Nel corso di decenni e decenni di storie, moltissimi bambini hanno apprezzato le sfumature e l’ingegnosità del linguaggio ciminiano, cogliendone spesso spunto per un utile arricchimento lessicale.
Gli avevo reso omaggio una dozzina di anni fa con la storia Zio Paperone e le ciminiere narrative, nella quale avevo usato appositamente una struttura analoga a quella delle sue storie, richiamando tale collegamento nel titolo.
Se n’è andato un maestro della sceneggiatura, ma, come per tutti i maestri, le sue storie restano e le frequenti ristampe permetteranno alle nuove generazioni di venirne utilmente in contatto perpetuandone la lezione e la memoria.
Di persona lo conoscevo poco. L’ho visto solo a diverse Convention Disney e ci ho scambiato poche parole: ieratico, ma appassionato, era circondato da un’aura suprema da “vecchio” - ma ancora attivissimo - saggio che lo proiettava automaticamente in una dimensione superiore, facendone un’icona vivente della disneyanità italiana. Poche parole, dicevo, ma sufficienti a cogliere la passione e la serietà con cui affrontava la sua professione.
Aveva uno stile personalissimo, il che è forse il massimo cui un autore possa aspirare. Le sue storie erano riconoscibilissime, dalla prima vignetta. La loro struttura consentiva variazioni infinite caratterizzate da un linguaggio che forse era la caratteristica più peculiare dello stile ciminiano. L’uso di termini insieme ricercati e fantasiosi lo rendeva unico, non solo in ambito disneyano. Nel corso di decenni e decenni di storie, moltissimi bambini hanno apprezzato le sfumature e l’ingegnosità del linguaggio ciminiano, cogliendone spesso spunto per un utile arricchimento lessicale.
Gli avevo reso omaggio una dozzina di anni fa con la storia Zio Paperone e le ciminiere narrative, nella quale avevo usato appositamente una struttura analoga a quella delle sue storie, richiamando tale collegamento nel titolo.
Se n’è andato un maestro della sceneggiatura, ma, come per tutti i maestri, le sue storie restano e le frequenti ristampe permetteranno alle nuove generazioni di venirne utilmente in contatto perpetuandone la lezione e la memoria.
Iscriviti a:
Post (Atom)