Sono stato via una settimana senza connessione internet e quindi ho appreso da poche ore la triste notizia della scomparsa di Rodolfo Cimino.
Di persona lo conoscevo poco. L’ho visto solo a diverse Convention Disney e ci ho scambiato poche parole: ieratico, ma appassionato, era circondato da un’aura suprema da “vecchio” - ma ancora attivissimo - saggio che lo proiettava automaticamente in una dimensione superiore, facendone un’icona vivente della disneyanità italiana. Poche parole, dicevo, ma sufficienti a cogliere la passione e la serietà con cui affrontava la sua professione.
Aveva uno stile personalissimo, il che è forse il massimo cui un autore possa aspirare. Le sue storie erano riconoscibilissime, dalla prima vignetta. La loro struttura consentiva variazioni infinite caratterizzate da un linguaggio che forse era la caratteristica più peculiare dello stile ciminiano. L’uso di termini insieme ricercati e fantasiosi lo rendeva unico, non solo in ambito disneyano. Nel corso di decenni e decenni di storie, moltissimi bambini hanno apprezzato le sfumature e l’ingegnosità del linguaggio ciminiano, cogliendone spesso spunto per un utile arricchimento lessicale.
Gli avevo reso omaggio una dozzina di anni fa con la storia Zio Paperone e le ciminiere narrative, nella quale avevo usato appositamente una struttura analoga a quella delle sue storie, richiamando tale collegamento nel titolo.
Se n’è andato un maestro della sceneggiatura, ma, come per tutti i maestri, le sue storie restano e le frequenti ristampe permetteranno alle nuove generazioni di venirne utilmente in contatto perpetuandone la lezione e la memoria.
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