Ieri Pamela Franklin ha compiuto sessant’anni. Difficile immaginarla anziana, dato che è scomparsa dagli schermi quando ne aveva poco più di trenta, dopo aver passato gli ultimi anni della sua carriera in partecipazioni episodiche a serie televisive. Eppure, è stata un’attrice importante e a suo modo unica, sin da bambina.
Del tutto priva della leziosità tipica degli altri attori bambini, si è sin dall’inizio specializzata in parti difficili e spesso controverse, di alto contenuto drammatico, oltre che frequentemente all’interno del genere horror. Il suo esordio avviene nella parte di Flora, una dei due bambini presumibilmente segnati dal cattivo esempio del defunto giardiniere Quint in Suspense (1961), capolavoro d’elegante ambiguità che Jack Clayton ha tratto dall’indimenticabile Giro di vite di Henry James, una particolarissima ghost story nella quale si dubita di tutto, anche della presenza dei fantasmi. Già in questo esordio, a soli undici anni, Pamela Franklin dimostra capacità recitative insolite e mature.
Successivamente, per restare ai ruoli più interessanti, è la protagonista di Il terzo segreto (1964) di Charles Crichton, uno psycho-thriller ormai dimenticato, ma piuttosto teso e riuscito. Pamela Franklin vi interpreta una ragazzina fragile e turbata, scossa dalla morte del padre, famoso psichiatra: tutti dicono che si sia suicidato, ma lei non ci crede e vuole sapere la verità. La aiuta un giornalista con diverse turbe di suo, interpretato con bravura da Stephen Boyd, al quale lo lega un rapporto che vuole essere vicario di quello del padre, ma tende - con sottintesi tipicamente britannici - al morboso. L’anno successivo, ha un significativo ruolo di supporto in Nanny la governante (1965), un altro psycho-thriller prodotto dalla Hammer e diretto da Seth Holt. Di fronte a un mostro sacro come Bette Davis, Pamela Franklin, che da bambina è diventata irrequieta adolescente, dimostra di saper variare con grande abilità i registri interpretativi. Per nulla trascurabile anche il suo apporto a Tutte le sere alle nove (1967), nel quale ritrova l’elegante regia di Jack Clayton. Curiosissimo e plumbeo film ai confini dello psycho-thriller, racconta di un gruppo di fratellini che cerca di superare la morte della mamma facendo finta che non sia avvenuta ed evitando così d’essere mandati all’orfanotrofio. Poi, di punto in bianco, arriva il padre separato, interpretato con malefica disinvoltura da Dirk Bogarde e le cose si complicano. Qui Pamela Franklin divide il proscenio con altri bravi attori giovani e giovanissimi, ma, ormai ragazza, sa dare profondità particolare al suo personaggio: la sua espressione turbata, fiera e decisa disvela con una sola improvvisa e subitanea occhiata la sottintesa morbosità dell’atteggiamento del padre durante un innocente gioco in famiglia ed è così repentina nel cambiamento espressivo e d’umore da generare - nel film - disagio persino al genitore (o presunto tale). Un singolo momento di grande bravura attoriale.
Dopo una bella prova in un film sfortunato (La notte del giorno dopo, a fianco di Marlon Brando), la carriera di Pamela Franklin sembra prendere il volo con La strana voglia di Jean (1969), commedia drammatica diretta da Ronald Neame, un notevole successo di pubblico e di critica, anche se è la brava Maggie Smith a calamitare riconoscimenti, tra cui l’Oscar come migliore attrice protagonista.
A questo punto sembra che Pamela Franklin debba diventare una star, ma le cose non vanno così. Il flop di La forca può attendere (1969) di John Huston la rimanda nelle produzioni di genere, dove però continua a fornire buone interpretazioni. Pamela Franklin diviene ancor più una sorta di icona horror, forse controvoglia. È ancora comunque molto brava in Il mostro della strada di campagna (1970) di Robert Fuest (il regista di L’abominevole dr. Phibes), dove regge da protagonista assoluta il sottile gioco che Fuest dirige con sapienza e abilità: cicloturista inglese in vacanza in Francia, è coinvolta nelle malefatte di un serial killer e si ritrova in un ambiente ostile e alieno nel quale anche la lingua si rivela una barriera alla comprensione.
Cominciano le parti televisive, negli Stati Uniti e la naturale spontaneità interpretativa viene sostituita sempre più da un professionismo capace, ma meno significativo. I ruoli cinematografici si fanno più rari e meno premianti. Il potere di Satana (1972) di Bert I. Gordon ha rilievo solo per la presenza di Orson Welles, chiaramente in vacanza alimentare. Dopo la vita (1973) è un non memorabile horror tratto da un insolitamente non memorabile romanzo di Richard Matheson: Pamela Franklin spicca però in un ruolo morboso e complesso affrontato con partecipazione.
Nell’insieme, Pamela Franklin comincia a essere meno incisiva, in ruoli più qualunque. Satan’s School for Girls (1973) è un horror televisivo di David Lowell Rich con qualche motivo di interesse, ma non superiore alla media. Ormai è solo televisione, l’anticamera dell’irrilevanza. L’ultimo ruolo per il cinema è in Il cibo degli dei (1976), ancora di Bert I. Gordon: Pamela Franklin vi appare sostanzialmente disinteressata, inerte. Il film è modesto e lei recita come un’attrice qualunque. La magia è scomparsa. Nel 1981, a soli 31 anni, decide di chiudere la carriera di attrice: una cesura netta e volontaria, senza rimpianti. Dirà che recitare era una cosa che le hanno fatto fare sin da bambina, ma non le interessava più di tanto. Si dedica alla famiglia e alleva i suoi due figli. Notizie abbastanza recenti la danno come serena e felice della sua vita familiare, nonché occasionale collaboratrice del marito - Harvey Jason, anche lui ex attore - nella sua rinomata libreria di libri antichi e rari dalle parti di Hollywood.
Nella foto sopra, Pamela Franklin in Dopo la vita. In quella sotto, Pamela Franklin (a sinistra) è assieme a Maggie Smith in La strana voglia di Jean.
Nessun commento:
Posta un commento