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sabato 17 giugno 2017

Help! Il cinema di Richard Lester

C’è stato un periodo in cui sembrava davvero impossibile che Richard Lester potesse sbagliare un film. È stato un periodo breve, ma intenso, nel pieno di una decade decisamente intensa, gli anni ‘60. Lester non sbagliava un colpo, proponendosi come una figura imprescindibile nel cinema di quegli anni. Il suo sguardo era intelligente, curioso, intellettualmente stimolante. Il suo stile vivace, anticonvenzionale, innovativo, pur se inserito sulla scia di una tradizione (quella della commedia inglese, che lui, americano, aveva assimilato alla perfezione) solida e importante. I film di quegli anni sono tutti brillanti, quasi tutti anche dei successi commerciali. I film dei Beatles, Non tutti ce l’hanno, Come ho vinto la guerra, Dolci vizi al foro, Petulia: tutti film significativi e imperdibili. Per non parlare di Mani sulla luna che rielabora e prosegue l’esilarante situazione iniziata con Il ruggito del topo, diretto da un altro americano in momentaneo esilio (dal suo apese e dai suoi temi preferiti) come Jack Arnold. Lo stile (in)imitabile di Lester ne aveva fatto il divulgatore, per così dire, della nouvelle vague godardiana per il grande pubblico, ma con un’impronta personalissima che lo affrancava da ogni possibile accusa di derivatività.

Poi a un certo punto le cose sono cambiate. Il contatto con il pubblico è andato svanendo e alcune scelte sono risultate poco vincenti sia sotto il profilo del successo commerciale sia sotto quello più propriamente artistico. Ma Lester ha sempre mantenuto la voglia di stupire e di proporre la sua visione, anche quando si è trovato al timone di filmoni supereroistici. La sua parabola mi ha ricordato in parte quella di Hal Ashby, regista dal tocco magico sino a un certo punto e poi reietto in quella Hollywood che l’aveva portato in palmo di mano. La differenza, sostanziale, è che Lester è ancora tra noi, in perfetta forma, e se si è ritirato l’ha fatto volontariamente per motivi che non avevano a che vedere con la mancanza di proposte.

Help! Il cinema di Richard Lester (Edizioni Il Foglio, 162 pagg., € 15) a cura di Roberto Lasagna, Anton Giulio Macino e Fabio Zanello, colma una lacuna editoriale proponendo un esame dettagliato e pressoché esaustivo della carriera cinematografica di Lester. Il volume è articolato in una serie di saggi. Io ne ho scritto uno. Gli altri sono Danilo Arona, Teresa Avolio, Francesca Brignoli, Mario Gerosa, Roberto Lasagna, Alberto Libera, Federico Magni, Anton Giulio Mancino, Giovanni Memola, Michele Raga, Barbara Rossi, Chiara Rioci e Fabio Zanello. La prefazione è di Mario Molinari.

Il mio pezzo riguarda Dolci vizi al foro ed è stato un piacere scriverlo anche perché mi ha “costretto” a rivedere un film che ricordavo solo da una visione avvenuta nella metà degli anni ‘70. Tra gli altri saggi segnalo in particolare quello di Danilo Arona (è stato simpatico dividere di nuovo qualche pagina con lui dopo più di trent’anni - o addirittura quaranta - dai tempi di Aliens e, ancora prima, di Kronos) che si è occupato di Mutazioni, in un modo singolare e stimolante. Ma tutti i saggi sono interessanti e compongono, nell’insieme, un quadro articolato e sfaccettato di un autore ingiustamente dimenticato, dando anche contezza delle traversie produttive che si è trovato ad affrontare soprattutto nell’ultima parte della sua carriera.
 

mercoledì 5 settembre 2012

Storia del cinema horror italiano vol. 3 di Gordiano Lupi

Prosegue speditamente l’opera di sistematico riordino dell’horror italiano scritta da Gordiano Lupi: è difatti da poco uscito il terzo volume (Storia del cinema horror italiano - Da Mario Bava a Stefano Simone, Vol. 3 - Joe D'Amato, Pupi Avati, Ruggero Deodato, Umberto Lenzi e il cannibal movie, pagg. 234, Edizioni Il Foglio, 15 €), che mantiene intatto l’approccio prettamente divulgativo e si conferma perciò utile a chi voglia un quadro veloce ma sufficientemente completo del panorama orrorifico del nostro paese.

In questo volume, i protagonisti sono quattro registi assai diversi tra loro, ma tutti di rilievo: Joe D’Amato, il re dell’horror porno-erotico; Pupi Avati, noto per tutt’altro genere di film ma capace, con solo poche opere, di caratterizzare in modo indelebile l’horror italiano; Ruggero Deodato, regista di grande abilità passato alla storia dell’horror soprattutto con i suoi horror cannibalistici (Cannibal Holocaust, per quanto di sicuramente opinabile ci sia in alcune immagini di violenza sugli animali, resta un film di soprendente qualità); Umberto Lenzi, antesignano dei cannibal movies e capace di spaziare con immutata qualità nei più svariati generi (da Sandokan ai film bellici).

Le caratteristiche editoriali, pregevoli e azzeccate, restano le stesse dei volumi precedenti. La prefazione è stavolta di Roger A. Fratter, esponente di spicco della scena indie italiana.