Le terre incolte è il nuovo film di Mattia De Pascali (McBetter, Il tuo sepolcro… la nostra alcova) e rappresenta un’interessante incursione in un terreno di mezzo tra il fantasy e il folk horror.
In un paesino del Salento, le cose si fanno cupe quando un ragazzino, Tore (Keoma Vetrano), a caccia con il nonno rinviene il cadavere scarnificato di don Oronzo, il prete del paese. Come se non bastasse, a essere poi massacrati sono proprio Tore e un suo amichetto, che si erano recati di nascosto nel luogo del ritrovamento del primo cadavere. Un’ondata di parossistica superstizione pervade la comunità e porta all’imprigionamento di una donna ritenuta strega (Donatella Reverchon) e ritenuta quindi responsabile degli efferati delitti. Improvvisamente, però, compare un sedicente santo eremita (Fabrizio Pugliese) che - accompagnato dal quello che definisce un cavaliere del Sacro Ordine, vero e proprio braccio armato del Signore - afferma d’essere in grado di liberare la zona dai demoni carnivori che evidentemente la infestano. La popolazione implora il sant’uomo di liberarla dal Male e gli porta delle offerte in cibo a corroborare e dimostrare fattivamente la propria devozione. L’eremita accetta di buon grado le offerte e si addentra nella campagna in compagnia di un paio di paesani appositamente prescelti per portare le provviste. Quando i due paesani non ritornano, Rosa (Paola Medici), sorella di uno di loro, preoccupata chiede a Selvaggia (Denise Cimino), una ragazza indipendente che vive per conto proprio, di aiutarla nella ricerca. Selvaggia accetta, ma vuole che con loro viaggi anche la cosiddetta strega, l’unica che crede capace di capire cosa realmente sta succedendo.
La parte iniziale del film, che dipinge il quadro complessivo del villaggio popolato da bigotti e dominato dalla superstizione, è un po’ laboriosa nel cercare di esporre tematica e personaggi e a tratti è forzatamente sbrigativa e confusa per la necessità di descrivere in poco tempo troppe situazioni narrative e troppi personaggi, lasciati spesso a un bozzettismo schematico non aiutato da interpreti spesso più volenterosi che efficaci. Con l’arrivo, però, dell’eremita e del suo aiutante, il film cambia passo e migliora nettamente la sua esposizione concentrandosi su un aspetto interessante e traendone in pieno gli umori sarcastici, dando spazio a una salutare ambiguità che prelude a uno sviluppo coerente e conseguente che fustiga in modo efficace la comoda credulità e anche la facilità con cui si tende a delegare ad altri la propria salvezza. Oltre a ricordarci che i lupi arrivano spesso vestiti come agnelli e che a volte Satana viene come uomo di pace.
Da lì in poi, dopo aver giocato per un po’ con le attese e con le aspettative, il film assume una interessante deriva fantasy e, con i toni della favola macabra, si concentra su pochi personaggi, azzeccati, lungo un percorso narrativo lineare e coeso, ben sostenuto dalla raffinatezza delle immagini e dalle musiche suggestive e appropriate di Francesco De Donatis. Il terzetto di improbabili “eroine”, ciascuna con una propria motivazione, che si mette all’inseguimento del duo malefico finendo con l’arrivare nelle misteriose e temute “terre incolte” è tratteggiato in modo originale ed efficace. Denise Cimino impersona con vivacità e atletismo una outsider che vive volontariamente al di fuori di una comunità della quale non apprezza evidentemente modi e convinzioni. Paola Medici delinea con simpatia la figura di una sorella pronta a tutto pur di recuperare il fratellone pavido. Donatella Reverchon è particolarmente espressiva nel ruolo della reietta, ma una notevole figura la fanno anche Fabrizio Pugliese come eremita astuto e doppio e Fabrizio La Monica (regista in proprio di film interessanti come Dio non ti odia), che dà la giusta fisicità al suo forzuto assistente.
La parte conclusiva, in cui entriamo nelle terre incolte e vediamo cosa contengono, si chiude su una nota adeguatamente enigmatica e simbolica dopo aver recuperato per qualche momento inclinazioni puramente orrorifiche.
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