venerdì 8 ottobre 2021

Blind Willie McTell in Springtime in New York


Springtime in New York, sedicesimo volume della Bootleg Series, è uscito da poco e testimonia per l’ennesima volta la grandezza di ciò che Bob Dylan lasciava da parte a volte con noncuranza. Nei cinque cd della versione completa si trova molto materiale interessante, spesso notevolissimo. Ad esempio un’altra versione di Angelina, magnifica ed enigmatica canzone rimasta fuori da Shot of Love (1981) e già pubblicata, in altra versione, in un precedente volume della Bootleg Series.

Ma soprattutto c’è finalmente l’esordio ufficiale della cosiddetta versione elettrica (o full band, se si preferisce) di Blind Willie McTell, uno degli indiscussi capolavori di Dylan, che però lo lasciò inspiegabilmente fuori da Infidels (1983). Blind Willie McTell era già emerso una ventina d’anni fa nei primi volumi della Bootleg Series, ma per l’occasione era stata scelta una versione acustica, suggestiva, ma non potente quanto l’elettrica. Naturalmente, gli appassionati dylaniani erano a conoscenza della versione elettrica grazie ai benamati bootleg. Io l’avevo sentita per la prima volta in un bootleg del 1984 che avevo comperato chissà dove e conteneva oltre a Blind Willie McTell, anche un altro grande inedito come Foot of Pride (poi coverizzato da Lou Reed nella Bobfest del ’92) e una versione alternativa di Jokerman contenente il verso “stranger at home” che mi rimase particolarmente impresso. Versione alternativa compresa anch’essa in Springtime in New York

Quando sentii Blind Willie McTell mi sembrò subito struggente e meravigliosa: in quel momento non sapevo chi mai fosse questo Blind Willie McTell né che cosa significasse precisamente la canzone, ma la sua progressione trascinante, il sentimento che traspariva dall’interpretazione, la grandiosità dell’arrangiamento e lo stridente e insinuante suono dell’armonica me la resero un cult istantaneo, per usare un modo di dire un po’ abusato. Al punto che nell’ottobre del 1984 nell’anteprima del mio kolossal indipendente (oltre 45’ di durata, nientemeno) presentato a un folto gruppo di invitati lo usai quale ultimo brano introduttivo per creare l’atmosfera giusta per il mio film (Confessions of a Smith Eater). Naturalmente, il film non era all’altezza di tanta atmosfera, ma questa è un’altra storia. La gente apprezzò comunque (c'era il rinfresco).

Blind Willie McTell sarebbe stata poi riscoperta dallo stesso Dylan e interpretata centinaia di volte in concerto, sottoposta a rielaborazioni e riscritture talvolta geniali e spesso interessanti, comparendo anche in Masked and Anonymous, perfettamente in linea con il tono apocalittico e politico del film. Ma questa versione, quella che si può sentire in Springtime in New York (magicamente depurata del colpo di tosse presente nella versione dei vecchi bootleg), resta uno dei vertici dylaniani di sempre. Una canzone che in pochi versi riesce ad affrontare tematiche profonde e complesse, fornendo alcune risposte non facili e svolgendo considerazioni senza tempo e anche senza speranza. E tra l’altro spiegando in modo molto efficace perché nessuno può cantare il blues come Blind Willie McTell.

Qui sopra una foto del vero Blind Willie McTell: vi consiglio di ascoltare anche lui, naturalmente, perché ne vale davvero la pena.

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