domenica 13 dicembre 2020

Flesh Contagium


Nel 2029, una pandemia ha provocato migliaia di morti portando presto al collasso le strutture sanitarie nei vari stati del mondo. Le grandi case farmaceutiche hanno sprintato per produrre un vaccino che battesse il virus, ma, come si dice in Veneto, el tacon xe sta peso del sbrego. Prodotto in fretta, infatti, il vaccino ha causato effetti collaterali consistenti in orribili mutazioni negli esseri umani. I morti da migliaia sono divenuti milioni e per i sopravvissuti le cose sono state comunque terribili. L’economia ha collassato e sono fioriti regimi militari che hanno istituito gruppi armati denominati “esecutori”, incaricati di eliminare i mutanti. In preda alla fame e alla disperazione, la gente ha cercato rifugio e cibo nelle campagne, ma squadracce di esecutori battono anche quelle alla ricerca di esseri umani da eliminare. Poiché si tratta di un horror indipendente a basso budget, tutto questo ci viene raccontato in dense didascalie per poi concentrarsi sulla fuga di una coppia composta dal cinico Helmut (Lorenzo Lepori) e dall’esile e impaurita Ornella (Shiri Binder), incinta. Cercando rifugio in un casolare che sembrava abbandonato, i due sono vittima di una coppia di coniugi su cui gli effetti delle mutazioni virali si sono già fatti sentire pesantemente. Vera (Simona Vannelli) è diventata una demente cannibale: uccide Helmut e se ne ciba. Suo marito Udolfo (Pio Bisanti) invece cattura Ornella e, mentre le racconta come stanno le cose, la stupra un paio di volte. Udolfo ha una strana escrescenza sulla schiena: in sostanza, è una sorta di esserino dentuto e famelico generato in qualche modo con la moglie. L’esserino si ciba di sangue e l’idea di Udolfo è quella di dargli il sangue di Ornella che, dopo qualche iniziale e comprensibile esitazione, si dichiara disponibile. Ma le cose sono destinate a complicarsi.

Dopo Catacomba e Notte nuda, Lorenzo Lepori scrive (con gli esperti Antonio Tentori e Alex Visani), produce (con Visani e Luca Di Silverio), dirige e interpreta (in un ruolo di supporto) un nuovo horror piccolo, ma sincero. Lo spirito resta quello dei fumettacci horror erotici degli anni ’70 e ’80 cui Lepori aveva già reso omaggio più esplicitamente in Catacomba, uniti alla rivisitazione, forse più che dell’horror, del post-atomico italiano dei medesimi anni con qualche rimando naturalmente anche al romeriano La città verrà distrutta all’alba. Ne consegue una notevole insistenza su gore e frattaglie, sul nudo e sul politicamente scorretto, categoria quest’ultima che in quegli anni non esisteva nemmeno.

La storia è esile, ma con qualche svolta interessante. Il ritmo, pur con qualche cedimento nella fase centrale, è sostenuto. L’ultimo terzo del film vira decisamente verso il delirio, il che, dato il contesto e le finalità, può essere considerato un pregio. La creaturina, direi quasi henenlotteriana, è una mutazione simpatica e introduce un elemento disturbante nel già strano ménage a trois che si instaura tra Udolfo (nome che rimanda a una maestra del gotico d’epoca come Ann Radcliffe), la fragile Ornella e la delirante e affamata virago che è diventata Vera, la moglie di Udolfo. Lo scenario pandemico e apocalittico - piuttosto attuale, direi - è il pretesto per mettere in scena questo rapporto malato e seguirne gli sviluppi, con le complicazioni causate dall’intervento dei cosiddetti esecutori e anche dal sanguinoso distacco della creatura dal suo alveo. Alcune sequenze allucinate sono ben realizzate e l’apprezzabile fotografia di Visani aiuta molto la creazione di atmosfere macabre e suggestive soprattutto nelle scene in interni, con una buona scelta dei colori.

Pio Bisanti e Simona Vannelli, fedelissimi del regista, offrono buone prove, un po’ sopra le righe, ma tutto il film, intenzionalmente, lo è. Shiri Binder ha qualche momento di incertezza, ma il suo ruolo non era facile e lo svolge con impegno e discreti risultati. Il film conferma la vivacità e la personalità dell’approccio di Lepori al genere: forse talvolta eccede in entusiasmo e non sempre riesce a mantenersi focalizzato sul racconto, ma nel complesso ottiene il risultato di rivisitare e riproporre in modo efficace un cinema che era estinto.

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