martedì 21 febbraio 2017

Autopsy

Dopo il bizzarro Trollhunters, il nordico André Øvredal torna - tra qualche giorno nelle sale - con un horror di atmosfera più tradizionale, The Autopsy of Jane Doe, che nella versione italiana è stato ridotto nel titolo, che è semplicemente Autopsy.

A intepretarlo l'ottimo Brian Cox e il bravo Emile Hirsch (entrambi nella foto qui sopra), oltre alla bella Olwen Kelly nel ruolo di Jane Doe (la ragazza di cui si deve fare l'autopsia). Chi vuole leggere la recensione che ho scritto per MYmovies, come al solito non deve fare altro che cliccare qui.

Non vi anticipo quello che ho scritto nella recensione, ma il film vi consiglio di vederlo, a meno che le autopsie (anche quelle cinematografiche: quelle vere impressionerebbero di sicuro anche me) non vi impressionino.

domenica 19 febbraio 2017

Il cinema dell’eccesso vol. 2: cosa c’è dentro. Cap. 8 Eddie Romero

L’ottavo capitolo del mio libro Il cinema dell’eccesso vol. 2 - Stati Uniti e resto del mondo (Crac edizioni) è dedicato a Eddie Romero, un regista filippino che, assieme a una carriera di autore a tutto tondo nell’ambito del cinema locale, ha saputo ritagliarsi una carriera importante come regista di fim di genere per il cinema americano. Lo ha fatto, però, senza allontanarsi dalle Filippine, ma girandovi film prodotti o coprodotti dagli americani e destinati al pubblico internazionale

Molti - forse tutti - di questi film per il mercato internazionale erano produttivamente di serie B e alcuni sono stati vilipesi dalla critica per la loro pretesa inadeguatezza. In realtà, Romero ha sempre mantenuto una dignità registica inappuntabile anche quando si è trovato a lavorare con trame e contesti non eccezionali per tematiche e spessore. Sotto questo profilo è significativa la serie ambientata nella cosiddetta Isola di Sangue. Alla serie ha partecipato come coautore un altro famoso regista filippino, Gerardo De Leon, che è stato mentore di Romero, introducendolo da giovanissimo nel mondo del cinema e spingendolo dapprima a sceneggiare e poi a dirigere. Sono forse proprio i film di questa vituperata serie, peraltro, a essere rimasti di più nell’immaginario dello spettatore occidentale. Negli anni ‘80, all’epoca dei fasti delle tv private, non era difficile piombare improvvisamente negli orrori tropicali di Terrore sull’isola dell’amore, capostipite della serie, molto weird. Il secondo, Mad Doctor of Blood Island, discreto successo negli USA, è rimasto inedito da noi, mentre il terzo è La bestia di sangue, famoso anche per l’outrageous disegno che abbelliva manifesti e locandine. Quando, a metà degli anni ‘70, avevo realizzato assieme ad alcuni amici una frequentatissima serie di rassegne di film horror in un cinema della mia città, programmai, senza averlo potuto vedere prima, anche La bestia di sangue, cui feci avere la prima visione cittadina a diversi anni dall’uscita (perché, come capitava allora a molti film di genere, era circolato solo nelle sale di provincia). E in quell’occasione destò proteste in alcuni benpensanti la visione, nella strada cittadina antistante il cinema, del materiale pubblicitario con il mostro che teneva in mano la propria testa mozzata. Altri tempi. Quella che vedete qui riprodotta è una di quelle fotobusta.




Ma Romero si è cimentato con altri generi in voga in quei tempi, in particolare con il wip (women in prison) che Jack Hill (altro autore che ho trattato nel mio libro) aveva rinvigorito proprio girando nelle Filippine. E poi altri film d’azione e soprattutto, nella prima parte della sua carriera internazionale, di guerra, genere nel cui ambito ha probabilmente dato il meglio di sé (Manila Open City resta un ottimo film e anche altri gli sono vicini). Per non parlare dei film propriamente autoriali con cui ha assunto un ruolo di primo piano nel cinema filippino.

Di tutto questo ho cercato di dare un quadro esauriente nel mio libro. Il capitolo è corredato da un’intervista che ho avuto la fortuna di poter realizzare con Eddie Romero qualche anno prima che morisse.

lunedì 13 febbraio 2017

Gerontown

Gerontown (154 pagine in bianco e nero) è una nuova graphic novel, scritta da Massimo Salvagnini e disegnata da Gianni Salvagnini. Entrambi sono miei fratelli e con entrambi ho, nel corso degli anni, collaborato. Massimo è un valente jazzista, autore di un ormai notevole numero di cd, a partire dal primo, Very Fool (1993), e arrivando al, per ora, ultimo When Your Drummer Has Gone (2016). Con Massimo ho realizzato a cavallo tra gli anni ‘70 e gli anni ‘80 alcuni film in super8 che volevano essere divertenti e forse a tratti lo erano davvero (i titoli? Il canonico del Bufalo parla davvero con la Madonna e la vede spesso, Il budino, Il primo film a colori fu italiano). Con Gianni, ottimo disegnatore di fumetti, ho collaborato per molti anni e per svariate testate: dagli horror targati Sansoni al Messaggero dei Ragazzi, nell’arco di diverse decadi.

Ora hanno realizzato questo Gerontown, che, lasciatemelo dire, è qualcosa di davvero diverso. Già solo questo dovrebbe bastare per invogliare a leggerlo perché la diversità - che contiene spesso in sé, come in questo caso, l’originalità - è merce rara. La storia - che presenta notevoli e volute asperità e acidità anche caratteriali - parte da una premessa fulminante: esiste un luogo, in una grande città, un palazzo, nel quale una congregazione di anziani perpetua la sua esistenza al massimo della durata e al massimo del comfort creando una sorta di bolla vitale del tutto segreta e sconosciuta all’infuori della ristretta cerchia dei privilegiati che ne fanno parte. L’ingresso del new fish di turno, l’anziano Masini dal carattere impossibile, ci scorta dentro questo mondo particolare, portandoci a conoscerne via via i componenti, ciascuno dei quali con il suo piccolo frammento di mondo e le sue idiosincrasie. Non so bene perché - la situazione e la storia sono molto diverse - ma questa introduzione e questa scoperta progressiva da parte del nuovo venuto dei suoi compagni di avventura con le loro particolari personalità mi ha richiamato alla mente Solaris. In ogni modo, se la premessa e la costruzione della vicenda sono curiose e interessanti, lo svolgimento non delude e a un certo punto, come dicono gli americani, the shit hit the fan e le cose precipitano.

Ricco di spunti e di dialoghi memorabili, il fumetto è disegnato magistralmente da Gianni che ben si adatta agli umori acri della storia. Il pessimismo, va da sé, dilaga, ma non è fine a se stesso. E oltretutto in fondo non è nemmeno così totale se pensiamo che l'unico riscatto davvero possibile è per sua natura individuale. Comunque, riporto, perché è interessante, quanto scritto nel retrocopertina per presentare il libro: “Che cosa potrebbe accadere se i vecchi decidessero di resistere il più a lungo possibile? Questa è una utopia alternativa, in cui l’egoismo del vecchio non vede il senso del farsi da parte per lasciare spazio all’egoismo del giovane”.

Completa il libro una interessante introduzione di Paolo Forni e vi sono anche alcune considerazioni di Radu  Lidjenko (ben noto a chi conosce il Massimo musicista).

Se vi interessa, Gerontown è acquistabile qui in cartaceo e qui in ebook. Qui invece potete vedere il book trailer.

lunedì 6 febbraio 2017

The Ring 3


In attesa dell'uscita, ormai prossima, di The Ring 3 in Italia (negli USA, con il titolo di Rings, è uscito da poco), ho scritto per MYmovies un articolo di presentazione che ripercorre la saga - quella giapponese e quella americana - mettendo un po' d'ordine, per chi non si ricordava o non sapeva come si erano sviluppate, tra sequel, remake, sequel dei remake e remake dei sequel. Insomma, un piccolo compendio per prepararsi al ritorno di Samara (cioè il nome di Sadako nella serie americana). Chi vuole leggere l'articolo deve solo cliccare qui.

Il nuovo film è diretto da F. Javier Gutierrez e nel primo weekend statunitense ha incassato circa 13 milioni di dollari. Ben al di sotto di quanto incassato dal weekend di apertura del secondo episodio, ma bisogna tenere conto che sono passati 12 anni (nientemeno). Vedremo come si svilupperà l'andamento degli incassi, ma comunque il budget è stato di 25 milioni di dollari per cui, tenuto conto anche degli incassi all'estero (già arrivati a 15 milioni di dollari), il breakeven point dovrebbe essere raggiunto.

Fuoco e fumo di Stefano Simone

Il bullismo è un fenomeno particolarmente odioso (e lo è anche il suo parente stretto, il cosiddetto nonnismo, presente in particolare nelle caserme quando c’era il servizio di leva, soprattutto: lo spirito è lo stesso, l’isolamento del singolo più debole e la sopraffazione). Me ne sono occupato anche come sceneggiatore di fumetti proprio perché penso che sia doveroso farlo. E forse anche utile.

Il nuovo film di Stefano Simone si intitola Fuoco e fumo e proprio di bullismo tratta. Il titolo viene da una frase di Benjamin Disraeli, uomo politico e scrittore dell’800, riportata all’inizio del film: “Il coraggio è fuoco, il bullismo è fumo”. Citazione che non conoscevo, ne prendo volentieri atto.


La storia è ambientata in un istituto tecnico di Manfredonia (tutto il film è girato a Manfredonia) ed esordisce all’inizio di un nuovo anno scolastico, tra presentazioni piene di buoni propositi (del preside) e conoscenze e amicizie che si allacciano. Stefano (Gianmarco Carbone) è un bravo ragazzo perfettamente inserito e mentalmente aperto e positivo. Fa amicizia con Silvana (Desiree Manzella), una ragazza che gli piace, e con il suo amico Dino (Michele Renzullo), ragazzo gay socievole e simpatico. Mentre Stefano e Silvana sono in classe insieme, però, Dino si ritrova come compagni di classe quattro bulli trucidi e volgari (Antonio Rignanese, Luca Nobile, Enzo Misuriello, Luca Ferrandino) che, assieme a una bulla (Giorgia Croce) che fa da mosca cocchiera, non perdono occasione per deriderlo e minacciarlo. Dino si fa forza con l’amicizia di Stefano e Silvana, oltre che di Giovanni (Luca Cioffreda), altro ragazzo preso di mira, e di Adriana (Melissa Salvemini), la sua compagna di banco. Nonostante tutto, però, le cose precipitano e finiscono in dramma.


I vari aspetti della questione vengono presentati con equilibrio e completezza. I genitori di Dino sono solidali e comprensivi nei suoi confronti, non hanno alcun problema con lui e lo accettano in pieno. Le istituzioni scolastiche, una volta messe a parte del problema, sono anch’esse comprensive e benintenzionate. Il guaio è che, in sostanza, tutto questo non basta e non si traduce in un impatto effettivo sulla questione, ad affrontare la quale le vittime restano in sostanza da sole. C’è di fondo, quindi, l’incapacità di governare il problema al di là delle belle parole. La reazione dei professori è comunque diversa e, se quella di una professoressa è di sostanziale indifferenza, spicca il comportamento deciso del professor Colombo (molto buona la prova di Filippo Totaro, già visto in altri film di Simone, Gli scacchi della vita e Weekend tra amici). Emerge però, come detto, soprattutto la difficoltà da parte dei ragazzi - vittime e loro amici - di venire a capo del problema per il senso di impunità che i bulli cavalcano con soddisfazione.
Il personaggio più interessante è, non a caso, quello di Dino, abbastanza sfaccettato e capace di rendere in modo efficace la persecuzione continua che si trova a subire.


La conseguenza del bullismo, come detto, nella vicenda raccontata dal film è tragica. Ma è interessante che nemmeno la tragedia provochi una resipiscenza da parte dei bulli che anzi sembrano trarne spunto per un salto di qualità nelle loro azioni. 


La soluzione finale pare denotare una profonda sfiducia nella possibilità delle istituzioni e della società di venire a capo del problema. In sostanza sembra ridurre la questione alla necessità, o inevitabilità, di uno scontro fisico, di una reazione giustizialista del singolo o dei singoli. E' vero che tale assunto è temperato da un parziale recupero della giustizia istituzionale, ma qualche piccola perplessità resta anche perché nella realtà pare improbabile che lo scontro fisico possa concludersi come quello del film. In ogni modo è chiaro che lo scopo del film è quello di denunciare il bullismo e il risultato è di certo raggiunto.


Qualche didascalismo di troppo tradisce le “necessità” del messaggio e, a mio avviso, alcuni dialoghi difettano di magniloquenza: in particolare, i dialoghi dei ragazzi “buoni” sono un po’ troppo ingessati (soprattutto quelli del protagonista) e poco spontanei, troppo letterari e forbiti, lontani dalla normale parlata giovanile. E la cosa mette un po’ in difficoltà i giovani attori che non sempre riescono a reggerli con disinvoltura, pur non difettando certo di impegno e di buona volontà. Paradossalmente - o forse no, in fondo la storia del cinema è piena di villain che risultano più briosi degli “eroi” - sono più vivaci, brillanti e appropriati i dialoghi dei bulli. Senza voler fare graduatorie di merito che potrebbero fare torto a interpreti che ce l’hanno messa tutta, si può segnalare comunque, tra i ragazzi, la buona prova di Michele Renzullo in un ruolo certo non facile.


In alcuni momenti Simone - che cura anche fotografia e montaggio - ritrova lo stile del thriller, come quando inscena con buona gestione della tensione il tentativo di aggressione ad Adriana da parte del gruppo dei bulli. Lì montaggio, riprese a mano e azione sono ben gestiti, quasi un momento di libertà creativa rispetto agli obblighi dell’impegno sociale dipendente dal tema affrontato. Anche il brano in cui, stile Arancia meccanica, i bulli si danno da fare con le maschere sul volto è più rappresentativo dello stile figurativo di Simone.


La storia segue un percorso logico e prevedibile, ma qualche svolta inconsueta la mantiene comunque interessante, anche se alcune lungaggini - come la festa a casa di Giovanni, insistita - e il generale tono didattico non aiutano a farla scorrere in modo fluido. Visualmente, certe ambientazioni nel degrado urbano forniscono uno scenario adeguato al degrado morale.

mercoledì 1 febbraio 2017

Incarnate


I film che hanno a che fare con demoni ed esorcismi non finiscono mai e non è detto che sia necessariamente un male. Nei prossimi giorni uscirà anche in Italia un nuovo esempio di questo frequentato sottogenere. Il titolo di questo nuovo film è Incarnate ed è diretto da Brad Peyton, ovvero colui che ci portò il catastrofico (nel senso di genere di appartenenza) San Andreas, di cui ho accennato brevemente nella seconda parte del mio articolo sul cinema catastrofico per Segnocinema.

Se volete leggere la mia recensione di Incarnate, scritta per MYmovies, non avete che da cliccare qui ed essere catapultati sul sito suddetto. Non anticipo nulla se non che l'esorcista in questione è un po' diverso dalla norma.