C'è stato un periodo - un periodo durato anni e anni - in cui l'arrivo dell'estate portava sempre buone nuove per gli amanti dell'horror. Infatti, la stagione morta dell'esercizio italiano si popolava di film dell'orrore della più varia provenienza che invece generalmente faticavano a trovare posto nei mesi più lucrosi.
Generalmente si trattava di prime visioni che era possibile vedere in cinema opportunamente semivuoti: la situazione ideale per vedere un horror. La cosa mi è recentemente successa per un horror di adesso - ero il solo spettatore - ed è stato come vederlo nel salotto di casa, ma con condizioni audio/video migliori.
Il terrore viene dalla pioggia - il flano risale all'agosto 1973 - lo vidi invece in un cinema (il cinema Corso, che naturalmente non c'è più da molti anni) relativamente gremito. Il film ebbe infatti un discreto successo: capitava anche allora che ci fossero i cosiddetti sleeper, quei film su cui non si puntava, ma che per le loro qualità emergevano in qualche misura coaugulando interesse e generando discreti incassi. Lo stesso sarebbe successo, per citarne uno, per Horror Express. E cito Horror Express perché interpretato dalla stessa grande coppia di Il terrore viene dalla pioggia: Christopher Lee e Peter Cushing. Potevi star certo: se c'erano loro due (o anche uno solo di loro), valeva sempre la pena di vedere un film (anche solo per vedere loro, naturalmente).
Il terrore viene dalla pioggia - di cui parlo ovviamente nel mio Dizionario dei film horror a cui rimando per maggiori dettagli - è un film che vi consiglio assolutamente di vedere, se vi capita. E se non vi capita, cercatelo. Il regista è Freddie Francis: non sarà come Terence Fisher, ma quando azzeccava il film era un grande. E in Il terrore viene dalla pioggia non ha sbagliato quasi niente. Per cui, in segno di ammirazione, doppio flano.
domenica 28 dicembre 2014
mercoledì 10 dicembre 2014
Kurt Vonnegut, Letters
Kurt Vonnegut è il mio scrittore contemporaneo preferito (è morto nel 2007). Non dico che sia il migliore in assoluto perché non ho letto tutti gli scrittori contemporanei né (per quanto ciò possa sorprendere) intendo leggerli. È uno dei pochi autori di cui possa dire d’aver letto tutto. E non ha scritto poco. Per fortuna, aggiungo. È stato una delle tre o quattro grandi influenze su di me (e accetto battute sugli effetti pratici di questa influenza sulla mia modesta produzione: in ogni caso non è stata colpa sua).
Una delle cose che più mi piacciono dei romanzi di Vonnegut sono le digressioni personali che sconfinano dalle trame e si aprono improvvise a riflessioni solo apparentemente ultronee e comunque molto interessanti e rivelatrici. Proprio per questo ho anche molto apprezzato i suoi libri non di narrativa, che raccoglievano testi sparsi, discorsi, conferenze e cose del genere. Palm Sunday, per esempio.
Quel Vonnegut arguto, brillante e spesso amaro non solo capace di discutere su tutto ma anche desideroso di farlo è ben presente in un libro che ho scoperto per caso fosse uscito e racchiude un’ampia scelta delle molte lettere che lo scrittore americano ha scritto nella sua lunga vita. Il libro è Kurt Vonnegut - Letters, Delacorte Press, 2012, 428 pagine (per il momento solo in inglese, ma mi auguro che qualcuno ne faccia un'edizione italiana). Dan Wakefield - scrittore e soprattutto (per quel che qui importa) amico di Vonnegut - le ha raccolte e ordinate suddividendole per decadi e facendo precedere ciascuna decade da una presentazione che inquadra la vita di Vonnegut nel periodo. Inoltre, molto opportunamente, ha inserito, quando servivano, annotazioni informative a precedere le singole lettere spiegando chi fossero i destinatari o le persone o i fatti citati nelle lettere.
Si dispiega così nel corso degli anni un ritratto composito di un artista che ha vissuto di stenti per lungo tempo prima che, quasi improvvisamente, il suo talento venisse riconosciuto con il successo di Mattatoio 5, quando ormai Vonnegut era quasi cinquantenne. Con la necessità di mantenere una famiglia numerosa (composta anche dai tre figli della sorella morta giovane) di cui era l’unico sostentamento, Kurt Vonnegut ha fatto di tutto per sopravvivere, anche il venditore di Saab, con esiti fallimentari peraltro, in quel caso (da qui la gag in epoca tarda: Vonnegut sosteneva di non aver vinto il Nobel perché gli svedesi ancora ce l’avevano con lui per il suo fallimento con la Saab). È struggente vedere nelle lettere del periodo come, pur pervaso dal suo tipico pessimismo cosmico, non si sia mai arreso.
Ma anche nei decenni successivi, quando il successo arriva impetuoso e duraturo, non mancano problemi e amarezze, anche per questioni familiari. Soprattutto la vecchiaia che arriva inesorabile sembra un prezzo da pagare troppo alto, con il corollario di un’avvertita perdita di brillantezza creativa e la sensazione di aver fatto tutto quello che era nelle sue forze fare. Un po’, ricorda più volte, come i marinai di Mellville che in Moby Dick non dicono più niente perché hanno già speso nelle loro vite tutte le parole che avevano da dire. Emblematico è il caso del suo ultimo romanzo, Timequake, in lavorazione per anni (di fronte alla relativa rapidità degli altri esiti), con la sensazione di non avere la costanza e la capacità di rendere giustizia a un’idea che lui stesso riteneva molto brillante. E su tutto la sensazione di aver diritto a ritenere terminato il proprio compito. In una delle sue lettere degli anni '90, a proposito di un résumé della sua lunga carriera, dice che la sua sensazione era: “Per favore, adesso posso tornare a casa?”.
Ciononostante emerge anche il lato combattivo e orgoglioso di Vonnegut nelle sue lettere per rivendicare il proprio ruolo e il valore delle sue opere, soprattutto quando scrive a chi le aveva bandite dalle proprie scuole ritenendole diseducative. Così come emergono anche le sue convinzioni politiche e sociali che del resto non passano inosservate neanche nei suoi libri. Ma c'è un po' di tutto: dai consigli di scrittura alle riflessioni sul cinema e sui film tratti dai suoi libri (compresa una lettera a Jack Nicholson). Il libro è una miniera per ogni appassionato di Vonnegut e chi non è appassionato di Vonnegut dovrebbe diventarlo, ovviamente.
Una considerazione finale si impone, comunque. Questo è un tipo di libro che andrà sempre più scomparendo e purtroppo non sarà un bene, dato che ci consente di vedere un altro lato, più privato ma comunque creativo, di un autore. Però, in questi tempi di twit, sms e verba che volant, chi scrive più lettere?
Una delle cose che più mi piacciono dei romanzi di Vonnegut sono le digressioni personali che sconfinano dalle trame e si aprono improvvise a riflessioni solo apparentemente ultronee e comunque molto interessanti e rivelatrici. Proprio per questo ho anche molto apprezzato i suoi libri non di narrativa, che raccoglievano testi sparsi, discorsi, conferenze e cose del genere. Palm Sunday, per esempio.
Quel Vonnegut arguto, brillante e spesso amaro non solo capace di discutere su tutto ma anche desideroso di farlo è ben presente in un libro che ho scoperto per caso fosse uscito e racchiude un’ampia scelta delle molte lettere che lo scrittore americano ha scritto nella sua lunga vita. Il libro è Kurt Vonnegut - Letters, Delacorte Press, 2012, 428 pagine (per il momento solo in inglese, ma mi auguro che qualcuno ne faccia un'edizione italiana). Dan Wakefield - scrittore e soprattutto (per quel che qui importa) amico di Vonnegut - le ha raccolte e ordinate suddividendole per decadi e facendo precedere ciascuna decade da una presentazione che inquadra la vita di Vonnegut nel periodo. Inoltre, molto opportunamente, ha inserito, quando servivano, annotazioni informative a precedere le singole lettere spiegando chi fossero i destinatari o le persone o i fatti citati nelle lettere.
Si dispiega così nel corso degli anni un ritratto composito di un artista che ha vissuto di stenti per lungo tempo prima che, quasi improvvisamente, il suo talento venisse riconosciuto con il successo di Mattatoio 5, quando ormai Vonnegut era quasi cinquantenne. Con la necessità di mantenere una famiglia numerosa (composta anche dai tre figli della sorella morta giovane) di cui era l’unico sostentamento, Kurt Vonnegut ha fatto di tutto per sopravvivere, anche il venditore di Saab, con esiti fallimentari peraltro, in quel caso (da qui la gag in epoca tarda: Vonnegut sosteneva di non aver vinto il Nobel perché gli svedesi ancora ce l’avevano con lui per il suo fallimento con la Saab). È struggente vedere nelle lettere del periodo come, pur pervaso dal suo tipico pessimismo cosmico, non si sia mai arreso.
Ma anche nei decenni successivi, quando il successo arriva impetuoso e duraturo, non mancano problemi e amarezze, anche per questioni familiari. Soprattutto la vecchiaia che arriva inesorabile sembra un prezzo da pagare troppo alto, con il corollario di un’avvertita perdita di brillantezza creativa e la sensazione di aver fatto tutto quello che era nelle sue forze fare. Un po’, ricorda più volte, come i marinai di Mellville che in Moby Dick non dicono più niente perché hanno già speso nelle loro vite tutte le parole che avevano da dire. Emblematico è il caso del suo ultimo romanzo, Timequake, in lavorazione per anni (di fronte alla relativa rapidità degli altri esiti), con la sensazione di non avere la costanza e la capacità di rendere giustizia a un’idea che lui stesso riteneva molto brillante. E su tutto la sensazione di aver diritto a ritenere terminato il proprio compito. In una delle sue lettere degli anni '90, a proposito di un résumé della sua lunga carriera, dice che la sua sensazione era: “Per favore, adesso posso tornare a casa?”.
Ciononostante emerge anche il lato combattivo e orgoglioso di Vonnegut nelle sue lettere per rivendicare il proprio ruolo e il valore delle sue opere, soprattutto quando scrive a chi le aveva bandite dalle proprie scuole ritenendole diseducative. Così come emergono anche le sue convinzioni politiche e sociali che del resto non passano inosservate neanche nei suoi libri. Ma c'è un po' di tutto: dai consigli di scrittura alle riflessioni sul cinema e sui film tratti dai suoi libri (compresa una lettera a Jack Nicholson). Il libro è una miniera per ogni appassionato di Vonnegut e chi non è appassionato di Vonnegut dovrebbe diventarlo, ovviamente.
Una considerazione finale si impone, comunque. Questo è un tipo di libro che andrà sempre più scomparendo e purtroppo non sarà un bene, dato che ci consente di vedere un altro lato, più privato ma comunque creativo, di un autore. Però, in questi tempi di twit, sms e verba che volant, chi scrive più lettere?
giovedì 4 dicembre 2014
Corte del Fontego su Wikipedia
Navigando qua e là ho visto che Corte del Fontego, l'editore del mio Dizionario dei film horror, è approdato su Wikipedia, la colossale e meritoria enciclopedia libera online, con una pagina dedicata.
Mi sembra quindi giusto e opportuno segnalarvi la pagina dell'editore sull'enciclopedia: la potrete leggere cliccando qui. In questo modo potrete avere una visione d'insieme delle attività editoriali del marchio e magari trovare più di qualcosa di vostro interesse. Naturalmente, una piccola parte della storia dell'editore è costituita dalle due edizioni del Dizionario, ma proprio perché il Dizionario è una piccola parte di un tutto, il tutto è, ça va sans dire, assai più ampio e da scoprire.
Mi sembra quindi giusto e opportuno segnalarvi la pagina dell'editore sull'enciclopedia: la potrete leggere cliccando qui. In questo modo potrete avere una visione d'insieme delle attività editoriali del marchio e magari trovare più di qualcosa di vostro interesse. Naturalmente, una piccola parte della storia dell'editore è costituita dalle due edizioni del Dizionario, ma proprio perché il Dizionario è una piccola parte di un tutto, il tutto è, ça va sans dire, assai più ampio e da scoprire.
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The Perfect Husband
Come si sa, la situazione dell'horror italiano non è delle migliori ed è lontana da periodi passati più o meno gloriosi, ma certamente, in linea di massima, più gloriosi dell'attuale. Perciò è sempre da segnalare l'uscita di nuovi film, in questo caso quella di The Perfect Husband di Lucas Pavetto che esce oggi nelle sale.
Chi vuole leggere la mia recensione, deve solo cliccare qui e fiondarsi sul sito di MYmovies.
Come potete leggere meglio nella recensione, il film nasce da un mediometraggio (38') di qualche anno fa diretto dallo stesso Pavetto. Anche La madre aveva avuto una genesi simile, ma in quel caso all'origine c'era un fulminante cortometraggio di pochi minuti, mentre in questo caso il mediometraggio è di più ampio respiro e costituisce già in sé una riuscita articolata ed efficace (non che il corto generatore di La madre non fosse bello, ma non complichiamoci la vita con i sofismi). Comunque, detto questo, sorge il problema di cosa sia meglio fare per approcciarsi a una situazione del genere: vedere prima il medio e poi il lungo? Vedere prima il lungo e poi il medio? Vedere solo il medio? Vedere solo il lungo? Non vederne neanche uno? La cosa che sconsiglio assolutamente di fare è di vederli entrambi contemporaneamente, sarebbe una discreta confusione.
A parte gli scherzi, da un punto di vista critico si tratta di una situazione interessante e vi dico cosa ho fatto io: ho adottato un criterio cronologico e ho visto prima il medio e poi il lungo. Anche perché in questo modo mi è risultato più chiaro - ed è stato interessante - il lavoro di adattamento della struttura narrativa per adattare e ampliare la storia alla maggiore durata. Il consiglio per una sana visione di puro intrattenimento, però, è quello di vedere il lungometraggio in modo che le varie sorprese della storia siano libere di presentarsi senza i condizionamenti che potrebbero sorgere in chi avesse già visto il mediometraggio. Poi, chi è interessato ad andare alla ricerca delle radici del film può approfondire con la versione primigenia.
Chi vuole leggere la mia recensione, deve solo cliccare qui e fiondarsi sul sito di MYmovies.
Come potete leggere meglio nella recensione, il film nasce da un mediometraggio (38') di qualche anno fa diretto dallo stesso Pavetto. Anche La madre aveva avuto una genesi simile, ma in quel caso all'origine c'era un fulminante cortometraggio di pochi minuti, mentre in questo caso il mediometraggio è di più ampio respiro e costituisce già in sé una riuscita articolata ed efficace (non che il corto generatore di La madre non fosse bello, ma non complichiamoci la vita con i sofismi). Comunque, detto questo, sorge il problema di cosa sia meglio fare per approcciarsi a una situazione del genere: vedere prima il medio e poi il lungo? Vedere prima il lungo e poi il medio? Vedere solo il medio? Vedere solo il lungo? Non vederne neanche uno? La cosa che sconsiglio assolutamente di fare è di vederli entrambi contemporaneamente, sarebbe una discreta confusione.
A parte gli scherzi, da un punto di vista critico si tratta di una situazione interessante e vi dico cosa ho fatto io: ho adottato un criterio cronologico e ho visto prima il medio e poi il lungo. Anche perché in questo modo mi è risultato più chiaro - ed è stato interessante - il lavoro di adattamento della struttura narrativa per adattare e ampliare la storia alla maggiore durata. Il consiglio per una sana visione di puro intrattenimento, però, è quello di vedere il lungometraggio in modo che le varie sorprese della storia siano libere di presentarsi senza i condizionamenti che potrebbero sorgere in chi avesse già visto il mediometraggio. Poi, chi è interessato ad andare alla ricerca delle radici del film può approfondire con la versione primigenia.
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martedì 2 dicembre 2014
Nurse 3-D
Ogni tanto li fanno ancora i film di exploitation in forma di horror, con erotismo e gore in evidenza, e ogni tanto, ben più raramente, raggiungono le sale, magari in forma sporadica. Questo è il caso di Nurse 3-D, un film di Douglas Aarniokoski di recente uscita che vede la bella Paz de la Huerta al centro di una vicenda ospedaliera, per modo di dire, nel ruolo di un'infermiera non proprio "giusta". Come si sa, l'horror ospedaliero è quasi un sottogenere, se si considera quanti film sono stati prodotti con una tale ambientazione e, in quest'ambito, non sono mancati quelli che si sono concentrati su una professione così utile e meritoria. Questo si aggiunge al canone mantenendosi fermamente nell'alveo della dark comedy.
Chi vuole conoscere nei dettagli la mia opinione, però, deve trasferirsi qui, su MYmovies, e leggere la mia recensione.
Chi vuole conoscere nei dettagli la mia opinione, però, deve trasferirsi qui, su MYmovies, e leggere la mia recensione.
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