Kurt Vonnegut è il mio scrittore contemporaneo preferito (è morto nel 2007). Non dico che sia il migliore in assoluto perché non ho letto tutti gli scrittori contemporanei né (per quanto ciò possa sorprendere) intendo leggerli. È uno dei pochi autori di cui possa dire d’aver letto tutto. E non ha scritto poco. Per fortuna, aggiungo. È stato una delle tre o quattro grandi influenze su di me (e accetto battute sugli effetti pratici di questa influenza sulla mia modesta produzione: in ogni caso non è stata colpa sua).
Una delle cose che più mi piacciono dei romanzi di Vonnegut sono le digressioni personali che sconfinano dalle trame e si aprono improvvise a riflessioni solo apparentemente ultronee e comunque molto interessanti e rivelatrici. Proprio per questo ho anche molto apprezzato i suoi libri non di narrativa, che raccoglievano testi sparsi, discorsi, conferenze e cose del genere. Palm Sunday, per esempio.
Quel Vonnegut arguto, brillante e spesso amaro non solo capace di discutere su tutto ma anche desideroso di farlo è ben presente in un libro che ho scoperto per caso fosse uscito e racchiude un’ampia scelta delle molte lettere che lo scrittore americano ha scritto nella sua lunga vita. Il libro è Kurt Vonnegut - Letters, Delacorte Press, 2012, 428 pagine (per il momento solo in inglese, ma mi auguro che qualcuno ne faccia un'edizione italiana). Dan Wakefield - scrittore e soprattutto (per quel che qui importa) amico di Vonnegut - le ha raccolte e ordinate suddividendole per decadi e facendo precedere ciascuna decade da una presentazione che inquadra la vita di Vonnegut nel periodo. Inoltre, molto opportunamente, ha inserito, quando servivano, annotazioni informative a precedere le singole lettere spiegando chi fossero i destinatari o le persone o i fatti citati nelle lettere.
Si dispiega così nel corso degli anni un ritratto composito di un artista che ha vissuto di stenti per lungo tempo prima che, quasi improvvisamente, il suo talento venisse riconosciuto con il successo di Mattatoio 5, quando ormai Vonnegut era quasi cinquantenne. Con la necessità di mantenere una famiglia numerosa (composta anche dai tre figli della sorella morta giovane) di cui era l’unico sostentamento, Kurt Vonnegut ha fatto di tutto per sopravvivere, anche il venditore di Saab, con esiti fallimentari peraltro, in quel caso (da qui la gag in epoca tarda: Vonnegut sosteneva di non aver vinto il Nobel perché gli svedesi ancora ce l’avevano con lui per il suo fallimento con la Saab). È struggente vedere nelle lettere del periodo come, pur pervaso dal suo tipico pessimismo cosmico, non si sia mai arreso.
Ma anche nei decenni successivi, quando il successo arriva impetuoso e duraturo, non mancano problemi e amarezze, anche per questioni familiari. Soprattutto la vecchiaia che arriva inesorabile sembra un prezzo da pagare troppo alto, con il corollario di un’avvertita perdita di brillantezza creativa e la sensazione di aver fatto tutto quello che era nelle sue forze fare. Un po’, ricorda più volte, come i marinai di Mellville che in Moby Dick non dicono più niente perché hanno già speso nelle loro vite tutte le parole che avevano da dire. Emblematico è il caso del suo ultimo romanzo, Timequake, in lavorazione per anni (di fronte alla relativa rapidità degli altri esiti), con la sensazione di non avere la costanza e la capacità di rendere giustizia a un’idea che lui stesso riteneva molto brillante. E su tutto la sensazione di aver diritto a ritenere terminato il proprio compito. In una delle sue lettere degli anni '90, a proposito di un résumé della sua lunga carriera, dice che la sua sensazione era: “Per favore, adesso posso tornare a casa?”.
Ciononostante emerge anche il lato combattivo e orgoglioso di Vonnegut nelle sue lettere per rivendicare il proprio ruolo e il valore delle sue opere, soprattutto quando scrive a chi le aveva bandite dalle proprie scuole ritenendole diseducative. Così come emergono anche le sue convinzioni politiche e sociali che del resto non passano inosservate neanche nei suoi libri. Ma c'è un po' di tutto: dai consigli di scrittura alle riflessioni sul cinema e sui film tratti dai suoi libri (compresa una lettera a Jack Nicholson). Il libro è una miniera per ogni appassionato di Vonnegut e chi non è appassionato di Vonnegut dovrebbe diventarlo, ovviamente.
Una considerazione finale si impone, comunque. Questo è un tipo di libro che andrà sempre più scomparendo e purtroppo non sarà un bene, dato che ci consente di vedere un altro lato, più privato ma comunque creativo, di un autore. Però, in questi tempi di twit, sms e verba che volant, chi scrive più lettere?
mercoledì 10 dicembre 2014
Kurt Vonnegut, Letters
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