mercoledì 31 luglio 2013

La mano infernale

Il mondo dell’horror indipendente italiano è fatto (anche) di coraggiosi ed entusiasti che, con pochi mezzi, seguono la loro passione realizzando cortometraggi o addirittura lungometraggi. La mano infernale, scritto, diretto, musicato e montato da Lorenzo Boscaino è uno di questi e prende spunto da un classico della letteratura horror, il racconto La zampa di scimmia di W.W. Jacobs, già all’origine di una grande quantità di film (tra cui uno, di Brett Simmons, in uscita negli USA a ottobre), sia direttamente sia indirettamente (come nel caso di La morte dietro la porta).

1833: due giovani seppelliscono in un bosco un sacchetto con dentro qualcosa che ancora si muove. Oggi, il giovane Sebastian (Eros Bosi) è stato licenziato e, squattrinato, ha problemi con l’affitto di casa. Pure l’auto gli si ferma mentre sta facendo un giretto nel bosco con il cane Peter: il cane scappa tra gli alberi e Sebastian, cercandolo, si imbatte nel vecchio sacchetto sepolto (un po’ troppo in superficie, per la verità). Dentro c’è una mano, come scopre assieme all’amico Fux (Lorenzo Acquafredda), studente di medicina. Invece di portarla alla polizia, Sebastian si fa convincere dall’amico a tenerla in casa per una settimana, mentre l’altro ne fa esaminare un campione in laboratorio. Questo nonostante la mano si sia mossa da sola mentre la toccavano. Sebastian scoprirà che la mano possiede particolari poteri, ma che ci sono controindicazioni notevoli.


L’idea di riprendere il classico racconto di Jacobs per trarne linfa per un horror moderno non è male, ma lo svolgimento risente dei limiti di budget e da alcune, sia pure comprensibili, titubanze nelle sequenze d’azione. Il ritmo si mantiene piuttosto lento anche perché la materia narrativa si dimostra insufficiente per la durata del film (che arriva a circa un’ora), ma nella fase finale una certa concitazione ravviva gli avvenimenti. La storia non esce comunque mai dai binari della prevedibilità, sottofinale compreso.


Certe ingenuità, inoltre, potevano essere evitate (come le orecchie di Vanessa, che avrebbe funzionato come demone anche senza, con il solo comportamento) e la recitazione degli attori - di cui si può apprezzare la dedizione e anche, talvolta, la resa interpretativa - è piuttosto diseguale, non sempre in linea con le necessità di rendere credibile la storia (Eros Bosi, il protagonista, è in grado di gestire abbastanza adeguatamente le scene “normali”, ma mostra qualche difficoltà nei momenti più “drammatici”: questione di esperienza). Il modello registico sembra essere il Raimi di La casa (con i demoni, il bosco e anche la vegetazione semovente), ma se il modello è quello giusto, ne siamo ancora lontani per efficienza ed economia narrativa.


Restano da apprezzare l’impegno e la passione (realizzare un lungometraggio non è per niente facile): inoltre, il film, pur con i suoi difetti, si fa vedere e qualche discreta scena c’è. Perciò, vale la pena di insistere e di provare a migliorare.

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