mercoledì 24 luglio 2013

Ancora sul mio racconto in e-book Pactum sceleris

Mi sono reso conto con sorpresa (e raccapriccio) che il mio e-book Pactum sceleris (ne ho parlato qui) non è ancora balzato in vetta alle vendite dei download. Data l’indiscutibile qualità (lo dico io, perciò non si discute) del testo e l’assoluta mia rinomanza, il problema deve certamente risiedere nella poca pubblicità. Quindi, per dare a chiunque (e chicchessia) l’opportunità di capire di cosa si tratta, ho pensato di postare qui l’incipit del racconto, così magari chi lo legge è interessato a capire come si sviluppa e soprattutto come finisce. Perché, lo garantisco, finisce.

Lo so, direte voi (e se non lo dite lo dico io giusto per amor di discussione), questa potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio, perché potrebbe esserci anche qualcuno che, tentato di acquistare l’e-book, si renda conto, leggendo l’incipit (che poi, per quelli che non hanno fatto latino a scuola o se lo sono dimenticato, è l’inizio), che non gli piace proprio per niente e soprassieda (come dicevano Ciccio e Franco) all’acquisto. Ma correrò il rischio, per cui quel che segue è l’inizio di Pactum sceleris: tenete conto che il seguito è meglio, soprattutto perché conduce alla fine e poi non se ne parla più.

Chi vuole, può acquistarlo qui o qui o anche altrove.


Questo, dunque, è l'inizio.


Esistono al mondo cose peggiori di chiamarsi Arnoldo, ma Arnoldo ancora si chiedeva come mai i suoi genitori l’avessero chiamato così. Ed erano passati più di quarant’anni da allora.

Esistono anche cose peggiori di avere una moglie che si odia profondamente. Una di queste cose peggiori è avere una moglie che si odia profondamente, senza avere un’amante. Ma esistono cose ancora peggiori di questa combinazione sfortunata.

Arnoldo pensava a queste cose, come gli capitava spesso, mentre faceva le scale per entrare a casa, dopo una giornata di lavoro che definire dura sarebbe stato un inutile encomio a un’attività che tutto era fuorché dura. Noiosa, avvilente, questo sì. Dura, no.

Era quasi stupito di non sentire il profumo del minestrone. Era martedì. Toccava. E invece, niente. Non sapeva se essere sollevato o preoccupato. Era vero che era in leggero anticipo sulla tabella di marcia della sua consuetudine. I suoi tempi erano abbastanza prevedibili, ma restava sempre l’incognita del traffico, a volte intenso e a volte molto intenso. Stavolta, era stato intenso.

Entrò in casa aspettandosi le consuete frasi di accoglienza tipo “Ah, sei qui?”, “Ah, già qui?”, “Ah, ma non dovevi fare straordinari?”. Il contenuto aveva infinite varianti, ma iniziava sempre con un “Ah” che denotava lo scarso interesse suscitato dal suo arrivo.

Ma come è possibile chiamare Arnoldo un bambino? Forse i suoi genitori avevano preso il nome da quell’editore, pensò. Strano, però, ripensò, perché non leggevano mai.

I genitori non si rendono conto del peso che infliggono ai poveri bambini quando scelgono loro il nome, pensò ancora. Non capiscono che il desiderio dei bambini è solo quello di perdersi in mezzo agli altri, senza la minima connotazione speciale. Non si è mai saputo di qualche Mario, Paolo, Antonio e così via che si siano sentiti oppressi dal loro nome. Gli Arnoldo, invece… Certo, Asdrubale sarebbe stato peggio, ma chi si chiama più Asdrubale? Forse quando l’avevano chiamato Arnoldo, i suoi genitori avevano inteso dargli un segno di distinzione, ma era appunto quello il problema: i bambini non vogliono distinguersi, non quando sono piccoli, vogliono essere accettati dagli altri. Arnoldo sospirò ancora: il trauma non era ancora stato superato. è vero, anche il cognome aveva il suo peso, perché chiamarsi Sgrumoletti non era facile, però non poteva fare una colpa ai genitori per il cognome. Il cognome è qualcosa che viene da molto lontano, certi si chiamano Spada, Arcieri, Bruma delle Vette o in altro modo nobile e perfetto, altri si chiamano Chiappa, Scantanburlo o Lo Mastico. Non c’è niente da fare. Si può chiedere il cambio di cognome alle autorità, ma giusto se ti chiami Merdaccia o qualcos’altro del genere. E poi è una trafila burocratica non indifferente. Arnoldo si teneva il suo Sgrumoletti come una maledizione venuta da qualche divinità non benevola.

Arnoldo si fermò, interdetto. Non c’era stata nessuna frase di benvenuto o, piuttosto, di malvenuto. Invece, c’era Alice, sua moglie, seduta sulla poltrona del salotto, sul bordo della poltrona. Accanto a lei, due valige. Sul tavolino del salotto, una busta chiusa.

Aprila, Arnoldo – disse Alice, con voce ferma e decisa.

Che cosa c’è? – chiese Arnoldo con un risolino. – Il menu di stasera?

Non era il menu. Era un elenco dettagliato delle sue manchevolezze, che comprendevano egoismo, indifferenza, pressappochismo e molte altre cose, tra cui il fatto che voleva sempre tenere lui il telecomando. La lettera finiva dandogli appuntamento in Tribunale per la separazione e poi il divorzio, che, c’era poco da dubitarne, sarebbe stato a caro prezzo.

Ti ho scritto quella lettera per spiegarti tutto – disse Alice. – Intendevo andarmene prima che tu rientrassi.

Arnoldo alzò gli occhi dalla lettera e li posò, interrogativamente, su Alice.

Poi ho pensato che fosse più giusto aspettarti – concluse Alice, alzandosi. – L’ho fatto e adesso sai tutto ciò che devi sapere. Addio.

Arnoldo vide sua moglie afferrare i manici delle valige e dirigersi, senza apparente sforzo, verso la porta. Era evidente, senza ombra di dubbio, che intendeva davvero andarsene. Per un attimo, Arnoldo pensò che era quello che aveva sempre sperato, liberarsi di lei. Fu solo un attimo. Si rese subito conto che non poteva fare a meno dei soldi che lei avrebbe preteso da lui e avrebbe di certo ottenuto dal giudice.

Aspetta – disse Arnoldo, mettendo una mano sulla spalla di Alice. – Dove credi di andare?

Dove mi pare – rispose Alice, senza troppa originalità, ma con grande convinzione. – E togli quella manaccia dalla mia spalla.

Arnoldo tolse la mano, ma con un breve balzo si frappose tra Alice e la porta.

Non crederai di potermi liquidare con una lettera – le disse.

Arnoldo, piantala. E' finita, lo vuoi capire?



1 commento:

Alex Zampini ha detto...

Bello!

leggevo le tue storie su Topolino