Lo so, direte voi (e se non lo dite lo dico io giusto per amor di discussione), questa potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio, perché potrebbe esserci anche qualcuno che, tentato di acquistare l’e-book, si renda conto, leggendo l’incipit (che poi, per quelli che non hanno fatto latino a scuola o se lo sono dimenticato, è l’inizio), che non gli piace proprio per niente e soprassieda (come dicevano Ciccio e Franco) all’acquisto. Ma correrò il rischio, per cui quel che segue è l’inizio di Pactum sceleris: tenete conto che il seguito è meglio, soprattutto perché conduce alla fine e poi non se ne parla più.
Chi vuole, può acquistarlo qui o qui o anche altrove.
Questo, dunque, è l'inizio.
Esistono
al mondo cose peggiori di chiamarsi Arnoldo, ma Arnoldo ancora si
chiedeva come mai i suoi genitori l’avessero chiamato così. Ed
erano passati più di quarant’anni da allora.
Esistono
anche cose peggiori di avere una moglie che si odia profondamente.
Una di queste cose peggiori è avere una moglie che si odia
profondamente, senza avere un’amante. Ma esistono cose ancora
peggiori di questa combinazione sfortunata.
Arnoldo pensava a queste cose,
come gli capitava spesso, mentre faceva le scale per entrare a casa,
dopo una giornata di lavoro che definire dura sarebbe stato un
inutile encomio a un’attività che tutto era fuorché dura. Noiosa,
avvilente, questo sì. Dura, no.
Era quasi stupito di non sentire
il profumo del minestrone. Era martedì. Toccava. E invece, niente.
Non sapeva se essere sollevato o preoccupato. Era vero che era in
leggero anticipo sulla tabella di marcia della sua consuetudine. I
suoi tempi erano abbastanza prevedibili, ma restava sempre
l’incognita del traffico, a volte intenso e a volte molto intenso.
Stavolta, era stato intenso.
Entrò
in casa aspettandosi le consuete frasi di accoglienza tipo “Ah, sei
qui?”, “Ah, già qui?”, “Ah, ma non dovevi fare
straordinari?”. Il contenuto aveva infinite varianti, ma iniziava
sempre con un “Ah” che denotava lo scarso interesse suscitato dal
suo arrivo.
Ma come è possibile chiamare
Arnoldo un bambino? Forse i suoi genitori avevano preso il nome da
quell’editore, pensò. Strano, però, ripensò, perché non
leggevano mai.
I genitori non si rendono conto
del peso che infliggono ai poveri bambini quando scelgono loro il
nome, pensò ancora. Non capiscono che il desiderio dei bambini è
solo quello di perdersi in mezzo agli altri, senza la minima
connotazione speciale. Non si è mai saputo di qualche Mario, Paolo,
Antonio e così via che si siano sentiti oppressi dal loro nome. Gli
Arnoldo, invece… Certo, Asdrubale sarebbe stato peggio, ma chi si
chiama più Asdrubale? Forse quando l’avevano chiamato Arnoldo, i
suoi genitori avevano inteso dargli un segno di distinzione, ma era
appunto quello il problema: i bambini non vogliono distinguersi, non
quando sono piccoli, vogliono essere accettati dagli altri. Arnoldo
sospirò ancora: il trauma non era ancora stato superato. è
vero, anche il cognome aveva il suo peso, perché chiamarsi
Sgrumoletti non era facile, però non poteva fare una colpa ai
genitori per il cognome. Il cognome è qualcosa che viene da molto
lontano, certi si chiamano Spada, Arcieri, Bruma delle Vette o in
altro modo nobile e perfetto, altri si chiamano Chiappa, Scantanburlo
o Lo Mastico. Non c’è niente da fare. Si può chiedere il cambio
di cognome alle autorità, ma giusto se ti chiami Merdaccia o
qualcos’altro del genere. E poi è una trafila burocratica non
indifferente. Arnoldo si teneva il suo Sgrumoletti come una
maledizione venuta da qualche divinità non benevola.
Arnoldo si fermò, interdetto.
Non c’era stata nessuna frase di benvenuto o, piuttosto, di
malvenuto. Invece, c’era Alice, sua moglie, seduta sulla poltrona
del salotto, sul bordo della poltrona. Accanto a lei, due valige. Sul
tavolino del salotto, una busta chiusa.
– Aprila, Arnoldo – disse
Alice, con voce ferma e decisa.
– Che cosa c’è? – chiese
Arnoldo con un risolino. – Il menu di stasera?
Non era il menu. Era un elenco
dettagliato delle sue manchevolezze, che comprendevano egoismo,
indifferenza, pressappochismo e molte altre cose, tra cui il fatto
che voleva sempre tenere lui il telecomando. La lettera finiva
dandogli appuntamento in Tribunale per la separazione e poi il
divorzio, che, c’era poco da dubitarne, sarebbe stato a caro
prezzo.
– Ti ho scritto quella lettera
per spiegarti tutto – disse Alice. – Intendevo andarmene prima
che tu rientrassi.
Arnoldo alzò gli occhi dalla
lettera e li posò, interrogativamente, su Alice.
– Poi ho pensato che fosse più
giusto aspettarti – concluse Alice, alzandosi. – L’ho fatto e
adesso sai tutto ciò che devi sapere. Addio.
Arnoldo vide sua moglie afferrare
i manici delle valige e dirigersi, senza apparente sforzo, verso la
porta. Era evidente, senza ombra di dubbio, che intendeva davvero
andarsene. Per un attimo, Arnoldo pensò che era quello che aveva
sempre sperato, liberarsi di lei. Fu solo un attimo. Si rese subito
conto che non poteva fare a meno dei soldi che lei avrebbe preteso da
lui e avrebbe di certo ottenuto dal giudice.
– Aspetta – disse Arnoldo,
mettendo una mano sulla spalla di Alice. – Dove credi di andare?
– Dove mi pare – rispose
Alice, senza troppa originalità, ma con grande convinzione. – E
togli quella manaccia dalla mia spalla.
Arnoldo tolse la mano, ma con un
breve balzo si frappose tra Alice e la porta.
– Non crederai di potermi
liquidare con una lettera – le disse.
– Arnoldo, piantala. E'
finita, lo vuoi capire?
1 commento:
Bello!
leggevo le tue storie su Topolino
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