giovedì 1 agosto 2013

Shock - My Abstraction of Death

Shock - My Abstraction of Death è un lungometraggio composto da due episodi: Between Us, diretto da Alessandro Redaelli, e Cromophobia, diretto da Domiziano Cristopharo. I due episodi sono abbastanza lunghi da essere in sostanza dei mediometraggi, un po’ come avveniva in Due occhi diabolici della coppia Argento-Romero. Ma se lì il legame era costituito da Edgar Allan Poe (come, curiosamente, negli altri film a episodi cui ha recentemente partecipato Cristopharo: P.O.E. Poetry of Eerie e P.O.E. Project of Evil), qui gli episodi sono scollegati e di stampo completamente diverso. Il che non è un difetto, anzi permette di variare toni e ambienti.

Between Us è uno psycho-horror urbano. Poco prima di Natale: Max (Massimo Onorato) ha litigato con la fidanzata Irene che l’ha conseguentemente lasciato. Yuri (Nicolò Pessi), amico di Max e anche di Irene, gli consiglia di fare la pace con lei. Il giorno dopo, Yuri è in auto per andare a portare il suo regalo a Max, ma la polizia gli telefona: Max è in ospedale in seguito a una rapina nella quale i suoi genitori sono stati uccisi. Yuri si precipita a recuperare l’amico, ancora sotto shock. Se lo porta a casa e cerca di confortarlo. Ma c’è qualcosa che va, oltre al duplice delitto. Qualcosa di ancora più orribile.


Concentrato sui due protagonisti, l’episodio ne traccia dapprima brevemente (ma con buona efficacia) la psicologia, poi ne esamina le reazioni successive al doppio delitto. Tutto quello che è al di là di questo resta fuori dallo schermo, sia il delitto, sia la polizia, generando una discreta sensazione di disagio e di mistero. Il procedere è un po’ lento, ma l’arcano che resta sotteso e qualche irruzione di un apparente soprannaturale mantengono abbastanza desto l’interesse: la storia è ben raccontata, con solo qualche piccolo problema di sintesi. Non è difficile immaginare il retroscena, ma il modo e il momento in cui è svelato sono di buon effetto. Discreta la recitazione dei due protagonisti che però fanno un po’ fatica a reggere tutto l’episodio sulle loro spalle, denotando qua e là qualche incertezza da inesperienza. La scelta di incentrare tutto sui due personaggi principali - dovuta forse anche, e saggiamente se è così, a esigenze produttive - da un lato è azzeccata perché crea una sorta di piccolo mondo interiore isolando il rapporto relazionale e l’amicizia che lega i protagonisti (che è, per Yuri, il vero motore delle sue azioni), dall’altro però, vista la lunghezza e la natura della storia, tende a diluirne l’impatto e a ridurre in parte la credibilità di quanto viene narrato (difficile pensare che la polizia operi solo per telefono in casi del genere).


Cromophobia è un horror sul filo (e oltre) del soprannaturale, ambientato in una casa che pare vivere di vita propria, tanto da influenzare le vite (e soprattutto le morti) di chi vi abita. Marco (Yuri Antonsante) e Celeste (Nancy De Lucia) vanno a vivere in questa vecchia casa in un paesino. Celeste, sotto psicofarmaci, deve riprendersi dopo il dramma di un aborto spontaneo e la mamma (Lucia Batassa) la conforta durante i primi momenti. Celeste è una scrittrice e spera che l’atmosfera “incantata” della casa possa aiutarla a recuperare l’ispirazione. Marco, medico, è spesso via per lavoro e Celeste è stranamente attirata dalle pareti della camera da letto. Passa le notti insonne (grazie anche al russare del marito) e nota cose curiose: sulla parete vicino alla testata del letto ci sono quelli che sembrano graffi. E un gocciolio insistente la tormenta anche se non ci sono perdite idrauliche da nessuna parte. Inoltre, scopre che quel luogo ha un pregresso consistente ed è stato teatro di fatti poco piacevoli, in particolare di una lunga serie di suicidi. Ben presto la vita nella casa si fa terribile per Celeste. Sono solo incubi? E' solo la sua immaginazione o c’è sul serio qualcosa?


Alle prese con uno dei topoi più frequentati del cinema horror - la casa posseduta - Cristopharo non ne rivisita l’impianto in modo particolarmente innovativo, ma lo “abita” alla ricerca di dettagli inquietanti, di particolari enigmatici, di sensazioni di bizzarro disagio: in sostanza, di occasioni per dispiegare il suo innegabile talento visionario, catalizzando su questi aspetti l’attenzione dello spettatore che, come la protagonista, è catturato nel gioco di ciò che (forse) è vero e di ciò che (forse) è solo apparentemente tale. Il finale è in linea con la tradizione di questo sottogenere e porta a compimento un teorema distruttivo la cui realizzazione ha il carattere dell’ineluttibilità e perciò anche, e questo è un piccolo difetto, della prevedibilità. Interessante il recupero di un’atmosfera genuinamente magica e macabra insieme: la discesa di Celeste nell’incubo è costellata di dubbi, di impressioni, di situazioni paradossali che inducono incertezza, tra falsi allarmi, incubi e visioni. Dimostrando ammirevole versatilità, Cristopharo abbandona i toni più carichi dei suoi film precedenti privilegiando una messa in scena raffinata e rarefatta che ben si combina con il tono intimistico e “magico” della storia. Particolarmente apprezzabile la fotografia (dello stesso Cristopharo) che dà risalto a un’ambientazione molto suggestiva negli esterni ed equilibrata negli interni, con notevole cura nell’uso del colore. La gradevolezza estetica e l'attenzione ai dettagli arricchiscono in modo fruttuoso la visione, rendendola sempre rimarchevole e interessante. Buona anche la recitazione - la cui qualità, nei film low-budget, non è affatto da prendere come un fatto acquisito - con Nancy De Lucia molto adatta al personaggio trasognato e turbato che interpreta. Simpatica la caratterizzazione di Peppe Laudisa del dottore, nel finale della storia.


Una menzione, infine, per i titoli di testa di Lorenzo Cannone, molto belli e particolari e per le musiche di Alexander Cimini, notevoli e ricche d’atmosfera.

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