venerdì 7 ottobre 2011

Unfacebook


Questa volta diamo uno sguardo all’horror indipendente, caratterizzato da low-budget e ferma determinazione.

Dopo diversi cortometraggi horror e un lungometraggio di carattere religioso (Una vita nel mistero), il giovane regista pugliese Stefano Simone si dedica al thriller con Unfacebook, interamente girato a Manfredonia e tratto da un racconto (Il prete) di Gordiano Lupi. La storia percorre i desolati sentieri del disagio urbano cospargendoli di sangue.

Un bambino è testimone di un delitto a sangue freddo commesso da due giovani ai danni di un terzo. Anni dopo, un giovane prete svolge la sua missione in una zona popolare cittadina, trovandosi a confronto con indifferenza e miserie di quella realtà, sia insegnando a una classe di studenti svogliati e sviati sia raccogliendo torbidi segreti in confessionale. A un certo punto, la misura si colma e il prete prende a bersagliare i peccatori ricordando loro le colpe commesse. La conseguenza è un triplice e sanguinoso suicidio. Un commissario indaga pressato dal questore, mentre il prete prosegue nella sua opera e nasce una nuova misteriosa chat per i giovani chiamata Unfacebook, che è molto più di quel che sembra.

La buona volontà c’è e non mancano di evidenziarsi qualità soprattutto di regia, ma il film si scontra con alcuni difetti strutturali che ne minano in parte l’efficacia. Narrativamente, la materia sarebbe stata più adatta a un corto o mediometraggio, oppure, per essere adattata a lungometraggio, avrebbe avuto bisogno di un maggiore approfondimento di personaggi e situazioni. La sceneggiatura tralascia di curare la psicologia dei personaggi che restano appena sbozzati, anche quelli cruciali per la giustificazione del percorso narrativo. Non a caso, le sequenze migliori sono quelle di pura azione, svincolate dalle parole e dalle necessità narrative nelle quali la regia può dispiegarsi più liberamente: su tutte, quelle della aggressioni che punteggiano la fase centrale del film, risolte con buona tecnica e adeguata tensione. Superate le fasi introduttive ed esposte le premesse alla storia, infatti, il film acquista adeguati toni da incubo quotidiano e non mancano scene di suggestiva e crudele bellezza che dimostrano la buona mano di Simone. Le fasi espositive, con i loro lunghi dialoghi, sono in genere meno riuscite anche a causa di una recitazione non sempre all’altezza (un difetto, questo, endemico nelle produzioni indipendenti). Il film risulta quindi suddiviso tra sequenze raccontate quasi esclusivamente per immagini - generalmente efficaci e riuscite - e sequenze molto dialogate, meno centrate.

Lo spunto narrativo è interessante e richiama antichi e gloriosi precedenti nel cinema degli anni ’70 (da Pete Walker a diverso cinema italiano di genere) fondendoli con pulsioni "elettroniche" più aggiornate, ma, a parte lo schematismo caratteriale che riduce l’impatto e attenua il discorso morale, è sviluppato in modo talvolta sbrigativo. La soluzione dell’enigma - o meglio la traccia che porta alla soluzione - è un po’ tirata per i capelli, sembrando una scorciatoia semplicistica (basta una rivista di informatica per generare un sospetto) per arrivare al dunque.

Esteticamente, il film mostra segnali di ricercatezza. Il gioco con i colori trasfigura efficacemente la realtà, anche se è talvolta ripetitivo. La fotografia (dello stesso Simone) passa da un iperrealismo che tende volontariamente ad abbruttire e abbrutire a immagini più soffuse che ammantano di contorni sognanti il passato e altri aspetti del concreto: da segnalare la trasformazione quasi fumettistica di alcune sequenze urbane, figurativamente singolare e riuscita. L’uso della macchina a mano è talora eccessivo: asseconda la concitazione, ma la sottolinea sin troppo. L’ambientazione è molto azzeccata soprattutto nella scelta degli esterni, che accompagnano spesso con il degrado ambientale quello dell’anima. Tra gli interpreti si fanno notare per disinvoltura, in ruoli di supporto, Pia Conoscitore (anche coautrice della sceneggiatura) e Tonino Pesante, già protagonista di Una vita nel mistero. Da segnalare la musica di Luca Auriemma che dà alle immagini la giusta suggestione.

Nell’insieme un film non privo di pecche, ma che si fa vedere volentieri e le cui qualità segnano un ulteriore passo avanti nella maturazione del regista.

1 commento:

Anonimo ha detto...

grazie

gordiano