domenica 26 settembre 2010
Schio Comics 2010!
Arrivata alla terza edizione, Schio Comics è una manifestazione fumettistica in crescita che punta molto sulla centralità degli autori dedicando loro delle mostre personali ricche e molto curate. A proposito di cura, il curatore è l’eroico Mauro Penzo che anche questa volta ha fatto un ottimo lavoro.
Le star di questa edizione sono Alessandro Gottardo e Silvia Ziche e quindi non potevo proprio esimermi dall’andarci. E infatti ci sono andato. La presentazione si è svolta ieri pomeriggio alle sei davanti a un folto pubblico (e ne ho le prove, come si usa dire).
Per l’occasione, come di consueto, è stato realizzato un albo a fumetti - dedicato questa volta a un eroe locale costruttore del primo dirigibile interamente italiano - e realizzato da una valente schiera di autori. Facciamo - come gli informatori della polizia - i nomi. Alcuni sono famosi, altri lo diventeranno: Emanuele Apostolidis, Davide Ceccon, Sara Isello, Piero Pierotti, Mark Donato, Marco Pasin e El-Hadji Sidy Ndaye.
La manifestazione prosegue anche oggi, per cui chi si trova in zona farebbe bene a farci un salto: si trova a Palazzo Fogazzaro, via Pasini 44. A Schio, ovviamente.
Alessandro Gottardo mi ha gentilmente fornito qualche documentazione fotografica che, godardianamente, non si incentra sul cuore della manifestazione ma sui dettagli. Pertanto, qua sopra posso inserire una foto del pubblico (ci sono anch’io, somewhere) che è tra l’altro la prova di cui sopra (che era folto, cioè). Poi il Gotta mi ha mandato anche un breve - ma veramente breve - filmato della presentazione in cui (da un’angolatura che farebbe orgoglioso Enrico Ghezzi) si riesce a scorgere Silvia Ziche, oltre a Mauro Penzo (che sta parlando). Mentre scrivo queste righe non so se sarò in grado di inserirlo (il filmato): chi legge potrà scoprire da solo se alla fine ce l’ho fatta.
Alessandro mi ha mandato anche un filmato e una foto della ricca cena post mostra (realizzata da cuochi sopraffini: la cena, non la mostra), ma dato che ci sono anch’io per ovvii motivi di privacy (e di buon gusto) non posso pubblicarli.
Qui sopra anche la copertina dell’albo speciale realizzato per l’occasione.
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venerdì 24 settembre 2010
Bob Dylan a fumetti (3)
Concludo la trilogia fumettistico-biografico su Bob Dylan. Come ho già detto, la miniserie di tre comic-books è uscita all’interno di una collana intitolata Rock’n’Roll Comics pubblicata dalla Revolutionary Comics. Gli albi su Bob Dylan occupano i numeri 50, 51 e 52 della collana e sono usciti nel 1992 (agosto, settembre, ottobre). Del primo e del secondo albo ho parlato rispettivamente qui e qui.
Il terzo albo porta la vicenda up-to-date al 1992. La copertina si ispira a quella dell’allora recentissimo Under the Red Sky, l’ultimo album di materiale originale dylaniano uscito sino a quel momento (e tale sarebbe rimasto per anni, sino a Time Out of Mind del 1997). L’interno segue la linea degli albi precedenti e non è che sia un bene: la cronologia dei fatti è abbastanza accurata, ma i disegni e i dialoghi sono più legnosi di una foresta vergine. Un esempio è la vignetta riprodotta qui sopra, che si riferisce al Grammy alla carriera del 1991 e a una delle varie apparizioni di Dylan al Letterman Show (ne ho parlato anche nel mio libro, Il cinema di Bob Dylan).
Una riflessione però è d’obbligo sulla difficoltà intrinseca di rappresentare la musica e i musicisti nei fumetti. Il fumetto è per sua natura muto. I suoni onomatopeici suppliscono bene a quelli naturali, ma la musica è un’altra cosa. I personaggi a fumetti che hanno avuto a che fare con la musica non sono stati molti - i protagonisti che facevano musica, intendo - proprio perché la loro rappresentazione è sempre inevitabilmente stata goffa. Si suppliva all’espediente facendo fare loro dell’altro - che ne so, il cantante che si trovava dentro trame gialle - ma questo era solo un espediente. Allo stesso modo, rievocare in un fumetto un cantante famoso risulta in qualche modo monco: in questo caso si può chiedere un contributo al lettore (che conosce le canzoni e quindi supplisce alla loro effettiva mancanza), ma a mio parere la cosa resta un’esperienza incompleta. Niente di grave, comunque.
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mercoledì 22 settembre 2010
The Dunwich Horror
Questa volta sulla rubrica Horror Frames che scrivo per MyMovies mi occupo di Howard Phillips Lovecraft, uno scrittore che dovrebbe essere un tantino noto a chi si interessa di horror: in particolare, naturalmente, mi occupo delle sue (s)fortune cinematografiche e, ancor più in particolare, del film The Dunwich Horror, diretto nel 2009 da Leigh Scott.
Molti ricorderanno Le vergini di Dunwich, un film di Daniel Haller che come titolo originale aveva proprio The Dunwich Horror. Questo non è un remake di quello, ma piuttosto una nuova versione dell'originale lovecraftiano. Le vergini di Dunwich aveva come protagonista, oltre a Sandra Scandalo al sole Dee, Dean Stockwell. Questo ha come protagonista Dean Stockwell. Combinazione. Le somiglianze si fermano più o meno qui.
Chi è interessato a leggere cosa ne ho scritto può cliccare qui ed essere spedito automaticamente al posto giusto.
Qui sopra una foto di Dean Stockwell (e chi se no?) da The Dunwich Horror, che comunque ha nel cast anche l'immarcescibile Jeffrey Combs, altro lovecraftiano di ferro (Re-Animator docet).
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Rudy Salvagnini
lunedì 13 settembre 2010
Flani (7): La notte dei diavoli
Riprende il piccolo viaggio nella memoria del tempo (cinematografico) che fu attraverso un altro flano, stavolta relativo a un piccolo ma interessante film di Giorgio Ferroni, La notte dei diavoli.
Si tratta di una nuova versione dello stesso racconto di Aleksei Tolstoi già usato da Mario Bava per uno degli episodi del suo I tre volti della paura. Chi vuole può leggersi la scheda che ho scritto per il Dizionario dei film horror. Tra gli interpreti, il sempiterno Gianni Garko e una Agostina Belli al massimo del suo splendore. Ma ci sono anche la bambina per eccellenza di quei tempi (Cinzia De Carolis) e una veterana del cinema spagnolo, Teresa Gimpera. Un film che vale la pena di vedere, se vi capita.
La frase di lancio fa pensare a un film di licantropi (la luna, la trasformazione, le forze incontrollabili) e sembra essere stata scritta da qualcuno che non aveva visto il film.
Per la cronaca, la suspense ogni tanto si interrompeva.
Sempre per la cronaca, la matematica mi dice che questo è il centesimo post di questo blog. Niente di che festeggiare, ma è comuque un dato di fatto.
Erich von Stroheim e il cinema
Recentemente sono incappato nel numero 2 della rivista Sequenze, datato ottobre 1949. Sequenze era una rivista cinematografica diretta da Luigi Malerba e il numero in questione è monografico: si intitola “I registi parlano del film”. Coerentemente, contiene, assieme a pochi saggi critici, una serie di interventi di registi all’epoca famosi (e famosi anche adesso - o almeno dovrebbero esserlo - perché hanno fatto la storia del cinema).
Tra i registi intervenuti ci sono Chaplin, Eisenstein, Laurence Olivier, Pudovkin, Visconti, Dreyer, René Clair e altri ancora. Ignoro l’origine degli interventi - se siano stati scritti appositamente o siano traduzioni o altro ancora (non è specificato - ma quello che è certo è che sono molto interessanti.
Il più interessante di tutti, per me, è comunque quello di Erich von Stroheim. Come prima cosa perché già allora non dirigeva film da molti anni e non ne avrebbe più diretti. Colpito da una sorta di bando perpetuo, aveva dovuto - un po’ come sarebbe successo a Orson Welles (che avrebbe però potuto in qualche misura continuare a dirigere) - limitarsi a utilizzare uno dei suoi talenti di cui era dotato, la recitazione, spesso in film modesti che proprio dalla sua presenza traevano il motivo primo della loro esistenza. Come seconda cosa perché le sue riflessioni gettano una luce anche sulla vicenda umana di un autore di immense capacità costretto al silenzio creativo. L’articolo nel suo insieme è una lettura imperdibile e comprende anche il racconto degli inizi di von Stroheim come comparsa per D.W. Griffith, ma qui non posso che limitarmi a riportarne alcune frasi significative del rapporto di von Stroheim con il cinema e la produzione:
“Mi sono dato interamente al cinema perché, amico delle arti, vi ho trovato il più grande mezzo di espressione artistica. Il teatro non dispone che di mezzi limitati: è incompleto e sovente artificioso, il cinema è senza limitazioni e vi si può mostrare la vita reale con tutte le sue sozzure”.
“Non ho affatto abbandonato del tutto l’idea di dirigere di nuovo altri film. Avevo elaborato un progetto nel 1938 assieme al mio caro amico Jean Renoir. Egli aveva dialogato una sceneggiatura scritta da me: La Dame Blanche. Io dovevo realizzarla con Jacques Becker come assistente. Ma la guerra ha impedito che il progetto fosse portato a termine. Quasi nello stesso tempo una società francese mi aveva assunto per realizzare un soggetto a mia scelta. Io proponevo una storia molto interessante intitolata La Couronne de Fer. I produttori la fecero adattare in un modo tale che la sceneggiatura era indegna di questo nome. Io ruppi il contratto. In seguito si realizzò questo film, credo, in Italia”. (qui von Stroheim si riferisce molto probabilmente a La corona di ferro di Blasetti del 1941)
“Mi è stato proposto recentemente di fare tre versioni di uno stesso film per una somma ridicolmente modesta e questo ‘per provare al mondo che io sono ancora capace di fare dei film’. Io non ho affatto bisogno di questa elemosina. Il mio passato parla sufficientemente, io penso, per permettermi di rifiutare degli affari che tornerebbero a esclusiva utilità dei produttori. E tuttavia non sono molto esigente. Io domando che si accetti un preventivo di 50-60 milioni, somma che si concede a dei registi debuttanti. Ho anche pronto un soggetto: Les Feux de Saint-Jean. È la storia di un uomo che ama la sorella della moglie, per le qualità che vorrebbe trovare in questa”.
“Il cinema di domani non potrà essere che a colori e in rilievo poiché la vita è a colori e in rilievo”.
“Molto spesso quando ho lavorato sotto la direzione di altri registi, il mio cuore era spezzato, mi si sottoponevano dei progetti interessanti e molto denaro di cui una parte mi era data subito. Io firmavo; quando arrivava il giorno in cui bisognava cominciare a girare il film, mi si presentava una sceneggiatura impossibile, ma ormai io avevo accettato e consumato il denaro. Ero obbligato a recitare. Qualche volta si domandava il mio parere su certe scene, ma sovente il regista mi considerava troppo vecchio per comprendere la tecnica moderna”.
“Fra i registi di cui apprezzo il lavoro c’è anche” (prima ha citato Renoir e Clouzot) “Lewis Milestone, Christian Jacque e soprattutto Billy Wilder col quale ho fatto Five Graves to Cairo e sotto la direzione del quale reciterò prossimamente Sunset Boulevard” (vale a dire Viale del tramonto, funereo ritratto della Hollywood che fu con un grandissimo von Stroheim quasi nei panni di se stesso).
“Quattro anni fa la veggente mi ha predetto una vita da ‘palla da tennis’ e dei grandi onori. Dopo di che i miei produttori non hanno affatto onorato i miei contratti e altri mi debbono ancora del denaro”.
Traspare una grande amarezza, oltre a una notevole dignità. Gli appassionati di horror amano ricordare von Stroheim per le sue caratterizzazioni indimenticabili in film come La donna e il mostro, ma c’era stato molto di più e molto altro avrebbe potuto esserci se la genialità non fosse così poco considerata.
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martedì 7 settembre 2010
Horror Frames: Sauna
Questa volta, nella rubrica Horror Frames che scrivo per MyMovies, mi occupo di Sauna, un interessante film finlandese (in coproduzione con la Repubblica Ceca, per la precisione) di Antti-Jussi Annila: è un film che mi sento di raccomandare anche a chi non ama l'horror, oltre a qualche distributore italiano volenteroso. Come sempre, chi vuole leggere cosa ho scritto, non ha che da andare qui.
L'horror nordico sta sfornando sempre più prodotti di valore, diversi e stimolanti. Niente male, davvero.
Qui sopra una immagine dal film con, di spalle, Ville Virtanen, l'ottimo protagonista.
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venerdì 3 settembre 2010
Rosco, Sonny e un'antenna in pericolo
Nel numero 36 del Giornalino, in edicola questa settimana, nuovo episodio della serie Rosco e Sonny. Il titolo è Un'antenna in pericolo e la storia si basa su una successione di quelli che venivano chiamati cliffhanger e che qui lo sono sostanzialmente per davvero, dato che i nostri poliziotti si trovano sospesi nel vuoto di un burrone, decisamente nei guai.
Come ho già scritto - ma lo ripeto volentieri - la serie è stata ideata dal maestro Claudio Nizzi e disegnata dapprima da Giancarlo Alessandrini e poi, quasi subito, dal dinamico Rodolfo Torti. Io sono subentrato ai testi nel novembre 1990, quindi mi appresto a celebrare volentieri le prime due decadi. Caratteristiche della serie sono ironia, azione e capovolgimenti di scena. Buona lettura.
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