Rorret (noto anche come Mr. Rorret - Ad altezza d’uomo) è un film del 1988, lungometraggio d’esordio di Fulvio Wetzl, un regista dalla carriera molto varia e interessante, che si sarebbe poi dipanata in direzioni assai diverse. Si tratta di un film curioso e particolare, degno certamente di una riscoperta. Ripropongo quindi qui, opportunamente aggiornata e ampliata in seguito a una nuova visione del film, la recensione che avevo scritto parecchi anni fa per il mio Dizionario dei film horror.
Carlo Modena (Massimo Venturiello) risponde a un annuncio per un proiezionista alla nuova sala cinematografica Peeping Tom. Joseph Rorret (Lou Castel), proprietario del cinema, lo assume perché è stato l’unico tra gli aspiranti a restare nonostante lui non si fosse fatto vivo all’appuntamento e a entrare nella sala cinematografica vuota. Carlo accetta l’incarico, ma è perplesso: Rorret si comporta infatti in modo molto strano e tutta la trattativa viene svolta per telefono, dato che il misterioso datore di lavoro non vuole farsi vedere. Il cinema è specializzato in film dell’orrore e Rorret, non visto, spia le reazioni del pubblico in sala durante le scene più violente. Ma non si limita a questo: individuata in platea una donna attraente che litiga con il partner, la segue sino a casa per vedere dove abita. Poi le telefona di notte, corteggiandola. Sheila (Rossana Coggiola), la donna, dapprima è impaurita, poi ammaliata e accetta di incontrarlo. Ma Rorret, che le ha dato un nome falso, ha strane idee e non esita a metterle in pratica.
Interessante e originale riflessione sul rapporto tra l’orrore dei film e quello della realtà, presenta un personaggio centrale ambiguo e insolito che, grazie anche all’interpretazione quietamente minacciosa e carismatica di Lou Castel, emerge con forza. Il contesto estetizzante e ricercato in cui il personaggio si muove raggela il dramma, evidenziandone nel contempo il contenuto “filosofico”. Il risultato è interessante anche se non del tutto riuscito. Il film infatti non evita una certa ripetitività delle situazioni e le motivazioni dei personaggi secondari sono talvolta poco coerenti e credibili: le donne che Rorret, non certo un affascinante conquistatore, avvicina gli aprono subito le braccia; Sara, la fidanzata di Carlo, invece diffida di Rorret oltre misura anche se questi, tutto sommato, per quanto la riguarda, s’è solo limitato a non farsi vedere. E certe figure di contorno sono macchiette poco riuscite (la mamma di Sheila, per esempio, rappresenta una digressione superflua). C’è in sostanza uno scarto qualitativo tra le scene in cui compare Rorret e quelle in cui è invece assente, che risultano talvolta un po’ banali. Ma quando Rorret è in scena - e lo è molto spesso - c’è sempre una sottile tensione che anima la vicenda e la rende genuinamente inquietante, profonda e anche capace di affrontare in modo per nulla banale il significato della paura, una paura che respinge e al tempo stesso affascina e quindi attrae. L’iniziale viaggio sulle montagne russe è un significativo tour de force nella psicologia del protagonista che dice molto con pochissime parole. “La paura è stata bellissima. Mano a mano è cresciuta, è esplosa e si è fatta terrore” commenta quasi sorpreso di se stesso Rorret al termine del viaggio ed è quasi inutile sottolineare come di fatto molto horror sia in sostanza un vero e proprio viaggio nelle montagne russe della paura. Curiosi e riusciti anche filologicamente i film nel film, proiettati al Peeping Tom (richiamo al titolo originale de L’occhio che uccide di Michael Powell), tra cui Blood in the Shower, suggestiva rielaborazione di Psyco, e una versione proprio de L’occhio che uccide, ma non mancano riusciti richiami anche ad altri classici come Suspense (la versione di Jack Clayton dal Giro di vite di Henry James). Il gioco cinefilo che ne consegue non è per nulla fine a se stesso, ma è anzi funzionale alla storia e alla riflessione che induce. Nel finale questo gioco di specchi si fa ancora più complesso in un insieme di rimandi e citazioni sofisticato e forse un po’ troppo cerebrale. Se Lou Castel, in un ritratto da perfetto weirdo, domina incontrastato, nel cast si vedono con piacere il sempre bravo Massimo Venturiello e Anna Galiena. Notevole anche l’intensa prova di Patrizia Punzo in un ruolo cruciale. In un piccolo ruolo anche Sebastiano Somma, all’epoca divo dei fotoromanzi alle soglie di una lunga carriera tra cinema e televisione.
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