sabato 22 febbraio 2020
La casa del padre
La casa del padre è un film di Vincenzo Totaro che affronta in modo particolare l’incontro tra due persone in un momento difficile della loro vita.
Antonio è un uomo di una certa età che torna nella casa dei genitori dove non andava da trent’anni. I genitori sono morti e il fratello Corrado insiste perché la casa sia venduta. Antonio la pensa diversamente, è più legato alla casa, a quello che ha significato, ai ricordi che suscita. Come da accordi col fratello, però, Antonio accoglie Angela, una donna che ha manifestato interesse per la casa e gliela mostra a questo scopo. Poi però spara una cifra assurda che suscita una reazione di perplessità nella donna che, mentre Antonio è impegnato nell’ennesima telefonata col fratello, se ne va. Antonio, mentre sistema alcune cose e ne cerca altre per il figlio Federico, scorge dalla finestra la donna che è ancora nei paraggi, sotto l’acqua battente di una pioggia che sembra interminabile. Perciò la richiama su e comincia con lei una relazione sotto una chiave diversa, più personale. Quando arriva la vera Angela, Antonio si rende conto che quella venuta prima non era affatto l’Angela che aspettava. Manda però via la vera Angela dicendole che non vogliono più vendere e accettandone di buon grado le ire. Poi si dedica alla finta Angela, che in realtà si chiama Cristina.
Girato tutto all’interno di un appartamento e di impianto quasi teatrale, il film si concentra in modo praticamente esclusivo su due personaggi - gli unici fisicamente in scena a parte la fugace comparsa della vera Angela - che si incontrano quasi per caso e si ritrovano ad approfondire la loro conoscenza, rivelandosi le loro debolezze, fragilità e difficoltà. Ma la casualità è probabilmente un’illusione. Il lavoro sui personaggi è interessante e molto approfondito. I ricordi della vita passata permangono ancora nella casa, sono un segno palpabile della vita vissuta là dentro e ogni tanto - con movimenti apparentemente incongrui - manifestano la loro presenza, come fantasmi del passato. Come se gli oggetti di una casa assorbissero le anime di chi ha vissuto e volessero in qualche modo esprimerle.
I dialoghi sono spesso significativi e anche arguti. Riescono a far emergere i sentimenti senza esporli in modo troppo evidente. Tutto resta sottinteso e poco viene spiegato, anche della situazione effettiva dei protagonisti, che resta opportunamente nel vago. Interessante è anche la professione - o ex professione - di Antonio, che è un fumettista, con tutto quello che ciò rimanda anche in termini di rimpianto per un mondo che appartiene al passato di un fumetto che era molto diverso da quello che è adesso. Il desiderio di trovare reciproco sollievo dai problemi di un’esistenza in qualche modo compromessa è reso chiaro dal comportamento dei personaggi, così come è sempre altrettanto chiaro come sia improbabile che riescano a ottenerlo.
Molto riuscito il finale, dai contorni metafisici, che introduce un elemento di incertezza su quanto abbiamo visto sin lì e che si apre su uno squarcio di infinito. Azzeccata la scelta del bianco e nero sia perché si adatta bene al tono intimista del racconto sia perché massimizza l'efficacia del contrasto con le parti a colori all'inizio e alla fine del film. La regia di Vincenzo Totaro è sobria e attenta, con alcune raffinatezze, come la transizione dagli occhi della protagonista alle stelle della notte, realizzata in modo elegante, senza enfasi. Buona la prova dei protagonisti Manuela Boccanera e soprattutto Antonio Del Nobile. Unico difetto di una certa rilevanza, a mio avviso, è che il film è troppo lungo, con alcuni tempi morti che lo appesantiscono.
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