venerdì 14 giugno 2019

Rolling Thunder Revue: Martin Scorsese racconta Bob Dylan


Il 12 giugno ha esordito sulla piattaforma Netflix il nuovo documentario di Martin Scorsese dedicato a Bob Dylan, dopo l’eccellente No Direction Home di qualche anno fa. Questa volta l’oggetto del documentario è la famosa Rolling Thunder Revue, quello scatenato, scalcinato, turbolento tour ensemble che Dylan lanciò nel 1975 andando a bordo di corriere (guidava anche lui!) In giro per piccoli teatri nel cuore degli Stati Uniti, annunciando con volantini l’arrivo alle popolazioni interessate, quasi a sorpresa. Il tour ebbe due parti: la prima nel 1975 e la seconda, un po’ diversa come intendimenti ed effettuazione, nel 1976 (testimoniata, quest’ultima, nello speciale televisivo Hard Rain, che necessiterebbe di una bella edizione in blu ray con magari, tra gli extra, l’altro speciale televisivo che fu girato e non trasmesso).

Il documentario si intitola Rolling Thunder Revue: A Bob Dylan Story by Martin Scorsese e già il titolo ci fa intuire che non è un documentario normale. L’inizio poi è rivelatore: compaiono le immagini di un film di George Méliès, il grande illusionista della storia del cinema, quello che ha dato al cinema la magia dei primi effetti speciali che, in quanto tali, ingannavano la realtà. Infatti, il film mescola testimonianze vere a testimonianze artefatte e volutamente false per costruire un quadro immaginario dove la verità è costituito dalle canzoni, come in un certo senso ha sempre sostenuto Bob Dylan. Dylan che mostra qui in pieno il suo senso dell’umorismo un po’ maligno, ma divertente. Lo vediamo all’inizio sbottare con ironia dicendo che non si ricorda niente della Rolling Thunder Revue perché: “è successo così tanto tempo fa che non ero neanche nato”.

L’intreccio tra bugie e verità è affascinante e condotto con maestria. Così un certo Stefan van Dorp (personaggio inventato) spiega d’aver voluto girare un film sulla Revue per svelarne causticamente la realtà, Bob Dylan rivela di aver contattato Sam Shepard perché aiutasse van Dorp con la sceneggiatura (e anche Dylan qui sta al gioco della falsità), mentre poi vediamo Shepard (in una dichiarazione invece “vera”) che ricorda d’essere stato ingaggiato per scrivere la sceneggiatura. Ma naturalmente Shepard si riferisce al fatto che è stato ingaggiato per scrivere la sceneggiatura (o meglio collaborare alla scrittura) di Renaldo & Clara, il film, vero ma ormai nascosto da decenni (e per il quale anche sarebbe necessaria una bella uscita in blu ray), girato da Dylan nel corso della Rolling Thunder Revue.

Il gioco che inscenano Scorsese e Dylan è sottile e anche divertente, ben lontano da No Direction Home, che era un vero documentario. Questo invece rasenta, senza mai arrivarci del tutto, il mockumentary.

Anche l’intervento di Sharon Stone e la citazione dei Kiss sono fasulli in modo divertente. Dylan sembra voler suggerire d’essersi dipinto la faccia di bianco (come faceva nella Revue) quasi per fare come i Kiss, ma appena finisce la dichiarazione di Dylan, si parte con un estratto da Les enfants du paradis (1945) di Marcel Carné, che all’epoca Dylan rivelò essere uno dei suoi film preferiti dicendo d’essersi ispirato a quello per la pittura bianca in faccia. Il gioco prevede quindi la falsità e nel contempo la chiave per coglierla.

Ma non è solo un gioco futile. È invece forse in linea con lo spirito picaresco, teatrale e affascinante della Revue, che non è stato un tour normale. È stato un tour del tutto al di fuori della normalità. E anche il film che lo ricorda è al di fuori della normalità. E come sempre accade nei suoi interventi ogni tanto Dylan ti prende di sorpresa dicendo, tra ricordi semiseri, delle verità profonda che spiazzano, come quando parla di Kerouac e Ginsberg.

Il tocco più geniale, in questo gioco, avviene quando compare sulla scena il deputato Jack Tanner, che non è solo un personaggio inventato da altri, ma è anche e soprattutto un personaggio inventato da altri. Precisamente da Robert Altman per la sua miniserie televisiva Tanner ’88 (1988). Qui Tanner compare interpretato dallo stesso attore, Michael Murphy, che lo interpretava per Altman. La cosa rende il gioco evidente anche a chi fosse stato prima distratto, dato che Murphy è attore ben noto (anche per diversi film di Woody Allen). Sembra quasi che Scorsese e Dylan abbiano inserito questa “testimonianza” alla fine proprio appunto per rendere noto a tutti che quello che hanno visto non era un normale documentario.

Alcuni momenti musicali sono molto intensi e inusuali, come quando Dylan canta da solo The Ballad of Ira Hayes scritta da Peter La Farge nella riserva indiana di Tuscarora, ricordando, a un pubblico che sa bene di cosa si tratta, la storia dell’eroe di guerra indiano finito male anche a causa dell’ingratitudine dello Stato per cui aveva combattuto e che già, quello Stato, aveva depredato di tutto gli indiani.

Le esibizioni della Rolling Thunder Revue sono fiammeggianti e di qualità eccezionale. Scorse si sofferma soprattutto su The Lonesome Death of Hattie Carroll (forse qui nella sua versione migliore delle tante che abbiamo sentito nel corso degli anni) e Isis (una canzone appena scritta in quel momento e che Dylan “sentiva” molto). E Hurricane che Scorsese presenta praticamente per intero compiendo il colpo di genio di interromperla poco prima della fine per mostrarci il vero Hurricane, il pugile Rubin Carter, che racconta le sue impressioni sulla canzone e su Bob Dylan. Canzone che poi riprende per il finale, preso da un altro concerto.

Il film finisce, praticamente (c’è una sorta id bis nei titoli di coda con Romance in Durango), come già lo speciale Hard Rain, con Knockin' On Heaven’s Door, che in quel tour era magia pura, mescolata alle parole serene di auspicio e saggezza del grande Allen Ginsberg che, come molti altri, partecipò a quella grande e strana kermesse che fu la Revue.

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