In occasione dell'uscita di un interessante e risucito documentario sui veri esorcismi - Liberami di Federica Di Giacomo - ho elaborato per MYmovies una top ten dei film esorcistici. Non è stato facile sceglierli e alcune scelte sono un po' particolari, ma ogni top ten risente per forza del gusto di chi la compila e può non incontrare l'approvazione di chi ha gusti diversi. La cosa utile di queste top ten è comunque quella, penso, di attirare l'attenzione su film meritevoli e in questo senso mi sono mosso. La top ten la trovate qui, su MYmovies.
Una precisazione: le stellette che accompagnano i film della top ten non sono state attribuite da me, ma sono quelle attribuite ai film da MYmovies nel suo dizionario globale. Per esempio, a The Possession io darei 3 stellette, mentre i film che non sono recensiti nel loro database sono senza stellette (tipo Hex e Alucarda): per quelli fate riferimento al mio Dizionario dei film horror, che certamente avrete in bella evidenza nella vostra libreria.
Qui sopra un'immagine da Hex, uno dei film della top ten.
giovedì 29 settembre 2016
giovedì 22 settembre 2016
Curtis Hanson (1945-2016)
Ci sono registi da cui ti aspetti sempre il colpo d’ala che porti a compimento la loro carriera dandole una sommità che realizzi appieno il potenziale. Il colpo d’ala sembra non arrivare mai e poi arriva invece la morte del regista a porre compimento alla sua carriera e anche a tutto il resto. Allora guardi indietro e vedi che in effetti, invece, la carriera è stata una bella carriera e i film realizzati erano già un corpus notevole. Curtis Hanson era, per me, uno di questi registi. Forse non ha diretto capolavori, ma ha fatto parecchi film interessanti.
A partire dai primi, Sensualità morbosa (1972) ed Evil Town (1977), ha fatto capire di non disdegnare di sporcarsi le mani con i generi “bassi”. Poi ha trovato modo di salire di categoria e di farsi notare con un gioiellino come l’hitchockiano La finestra della camera da letto (1987) che all’epoca mi colpì per la nitidezza degli intenti e la bravura registica che palesava. Dopo la conferma con Cattive compagnie (1990), La mano sulla culla (1992), uno psycho-thriller pressoché perfetto con una Rebecca DeMornay grandissima. Quando le ambizioni autoriali crescono, emergono opere talvolta affascinanti, ma spesso imperfette. L.A. Confidential (1997), pur geniale rivisitazione del noir, sembra mancare del mordente del romanzo di Ellroy, in parte smussato negli angoli e “nostalgizzato”, probabilmente per una precisa scelta di campo. Wonder Boys (2000) resta un film con molti pregi, ma anche con qualcosa di irrisolto nel sottofondo non direi buonista, ma forse sin troppo ottimista. Lo stesso, ma con un grado di irresolutezza maggiore, può dirsi di Le regole del gioco, un film che affronta una tematica classica del cinema hollywoodiano senza forse riuscire ad attualizzarla. E poi ci sono altri film, anche di grande successo, come 8 Mile. Una carriera che forse poteva essere più cospicua, ma non è per nulla irrilevante.
E soprattutto, per quel che mi riguarda, è interessante il rapporto che ha legato Hanson a Bob Dylan, che per lui ha scritto due delle sue rare canzoni per il cinema. Una è la meravigliosa Things Have Changed (per Wonder Boys) e l’altra è la toccante Huck’s Tune (per Le regole del gioco). In entrambi i casi, Dylan è riuscito a cogliere l’essenza dei film, approfondendola e portandola a vette di concisa perfezione. In particolare Things Have Changed, come, se ci si pensa, Knockin' on Heaven's Door, ha la peculiarità di essere perfettamente aderente allo scopo e funzionale al film e di essere al tempo stesso così autonoma da guadagnare col tempo significati ulteriori e così profondi da renderla sempre attuale.
A partire dai primi, Sensualità morbosa (1972) ed Evil Town (1977), ha fatto capire di non disdegnare di sporcarsi le mani con i generi “bassi”. Poi ha trovato modo di salire di categoria e di farsi notare con un gioiellino come l’hitchockiano La finestra della camera da letto (1987) che all’epoca mi colpì per la nitidezza degli intenti e la bravura registica che palesava. Dopo la conferma con Cattive compagnie (1990), La mano sulla culla (1992), uno psycho-thriller pressoché perfetto con una Rebecca DeMornay grandissima. Quando le ambizioni autoriali crescono, emergono opere talvolta affascinanti, ma spesso imperfette. L.A. Confidential (1997), pur geniale rivisitazione del noir, sembra mancare del mordente del romanzo di Ellroy, in parte smussato negli angoli e “nostalgizzato”, probabilmente per una precisa scelta di campo. Wonder Boys (2000) resta un film con molti pregi, ma anche con qualcosa di irrisolto nel sottofondo non direi buonista, ma forse sin troppo ottimista. Lo stesso, ma con un grado di irresolutezza maggiore, può dirsi di Le regole del gioco, un film che affronta una tematica classica del cinema hollywoodiano senza forse riuscire ad attualizzarla. E poi ci sono altri film, anche di grande successo, come 8 Mile. Una carriera che forse poteva essere più cospicua, ma non è per nulla irrilevante.
E soprattutto, per quel che mi riguarda, è interessante il rapporto che ha legato Hanson a Bob Dylan, che per lui ha scritto due delle sue rare canzoni per il cinema. Una è la meravigliosa Things Have Changed (per Wonder Boys) e l’altra è la toccante Huck’s Tune (per Le regole del gioco). In entrambi i casi, Dylan è riuscito a cogliere l’essenza dei film, approfondendola e portandola a vette di concisa perfezione. In particolare Things Have Changed, come, se ci si pensa, Knockin' on Heaven's Door, ha la peculiarità di essere perfettamente aderente allo scopo e funzionale al film e di essere al tempo stesso così autonoma da guadagnare col tempo significati ulteriori e così profondi da renderla sempre attuale.
martedì 20 settembre 2016
Il cinema dell’eccesso vol. 2: cosa c’è dentro. Cap. 4 René Cardona
Il quarto capitolo del mio libro Il cinema dell’eccesso vol. 2 - Stati Uniti e resto del mondo (Crac edizioni) ci porta in Messico, una nazione dalla notevole e variegata produzione cinematografica, articolata su diversi generi, ma nota internazionalmente soprattutto per le sue cose più strane e bizzarre. Se colonne portanti del cinema messicano sono i melodrammi, le commedie e i film musicali, non c’è dubbio che gli horror e i film sui lottatori mascherati sono le pellicole che più hanno colpito il pubblico occidentale. Ebbene René Cardona si è cinemntato in ognuno di questi generi (melodrammi compresi) e in altri ancora, sempre con un’efficienza e uno stile rimarchevoli. Inoltre, era pure un ottimo attore e sotto questa veste ha girato una notevole quantità di film. Insomma, c’è molto da scoprire su di lui, per chi abbia voglia di farlo.
Nel libro cerco di seguire la sua carriera dagli inizi con alcune simpatiche commedie dopo essere espatriato da Cuba sino al consolidarsi della sua carriera, dando conto del suo incontro con alcuni tra gli attori simbolo del cinema messicano, come Antonio Aguilar e Pedro Infante e dei suoi bizzarrissimi film per ragazzi, come il suo Santa Claus (che va visto per credere davvero che sia stato fatto) o Joselito in America.
Ma, certo, i film per i quali Cardona è maggiormente ricordato sono quelli con le lottatrici mascherate e quelli con Santo, el enmascarado de plata, l’eroe un po’ panzuto, ma sommamente atletico, che ha dominato per decenni il cinema fantastico messicano in decine di film scatenati nei quali interpretava sostanzialmente se stesso, un wrestler che non si toglieva mai la maschera, ma proprio mai. Cardona li ha sempre diretti con pacata parsimonia di enfasi, dando rigore e anche eleganza, se si vuole, a un contesto del tutto sopra le righe. I titoli sono molti - tra i migliori Operacion 67 con i suoi discreti tocchi di erotismo e Santo e il tesoro di Dracula, accompagnato dalla sua versione erotica - e sono tutti degni di riscoperta e di analisi perché sono un viaggio nell’insolito e nell’incredibile.
Ancora più interessanti sono i film sulle lottatrici mascherate: il ciclo è più breve, ma contiene delle vere gemme e comprende anche, a latere, lo psychotronico per eccellenza, Korang la terrificante bestia umana, vero e proprio capolavoro dell’assurdo e dello sleaze. Quando l’ho visto la prima volta, in un piccolo cinema della mia città qualcosa come oltre 40 anni fa, non ci volevo credere: raccontato con la massima serietà, ma assolutamente insensato, è un film scoppiettante e nello stesso tempo così pieno di luoghi comuni da esserne in sostanza privo.
Non è che tutti i film di Cardona siano dei capolavori, è più probabile che nessuno lo sia, ma se si vuole vedere qualcosa di diverso, non si può trasacurare la sua opera, tutt’altro che tirata via. Se non altro, penso che questo capitolo del libro possa essere un’utile guida alla sua riscoperta, con la consapevolezza che non sono film che possono piacere a tutti (se mai ce ne sono).
Qui sopra un impagabile Santo in giacca e cravatta da Operacion 67.
lunedì 19 settembre 2016
Topostorie - Il ciclone
A volte ritornano, si dice. Nel caso delle mie storie disneyane direi che è più corretto dire che molto spesso ritornano. La questione è complessa, ma la ignoreremo. Come ha scritto Bob Dylan (in Mississippi): “You can always come back, but you can’t come back all the way”.
Anyway, nella pubblicazione Topostorie, il n. 28 è dedicato a Paperoga, è intitolato, appropriatamente, Il ciclone e contiene quattro mie storie di varie epoche. Topostorie è interessante perché, come i vecchi Classici di Walt Disney, non si limita a raccogliere storie vecchie e meno vecchie, ma le unisce con una storia cornice che le lega insieme. Ancora più interessante è il fatto che l’autore della sceneggiatura della storia cornice, nonché curatore della collana, è Massimo Marconi, principe degli editor disneyani e redattore che ricordo con molta stima e affetto con riferimento ai lunghi anni in cui ho avuto modo di collaborare con lui.
La storia cornice, in questo caso, è particolarmente riuscita e aggiunge spesso qualcosa anche alle storie, non solo collegandole adeguatamente, ma anche sviluppandone alcuni aspetti. Non è facile e bisogna dare atto a Massimo Marconi d’aver fatto un ottimo lavoro.
Come ho già scritto altre volte su questo blog, non mi occupo di segnalare tutte le ristampe delle mie storie disneyane perché tutto sommato sono ancora più rivolto al presente e al futuro che al passato, ma quando succede che siano raggruppate in modo consistente faccio delle eccezioni: come scriveva, più o meno, Lee Falk, ci sono delle volte in cui l'Ombra che Cammina percorre le strade della città come i comuni mortali e questa è una di quelle volte.
Paperino e la corsa degli audaci l’ho scritta nel 1992 ed è stata pubblicata nel 1993. L’ha disegnata il compianto Giuseppe Dalla Santa e la ricordo in particolare perché è stata la prima delle mie storie disneyane disegnate da lui, dopo che aveva disegnato una mia storia nel 1976 per tutt’altra pubblicazione. Voleva essere una storia corale e in effetti lo è. Rileggendola, non mi sembra male: quello era un periodo di ricerca, per me, di evoluzione dopo un periodo piuttosto difficile. Le due storie successive che ho scritto sono state Zio Paperone e il sogno interrotto (disegnata da Alessandor Gottardo) e Zio Paperone e l’uomo dei paperi (Giorgio Cavazzano), due storie che rendono l’idea del tipo di cambiamento che cercavo.
Paperino & Paperoga e il deposito come nuovo l’ho scritta invece nel 1994 ed è stata pubblicata nel 1996. Sono stato contento che a disegnarla sia stato Enrico Faccini, un autore completo e tra i migliori. In questo caso, il periodo era invece ottimo, per me, e la storia voleva essere lo sviluppo catastrofico di una monocoltura concettuale. Ne sono soddisfatto, rappresenta bene un momento di bulimia creativa in cui anche le cose minori, come questa, hanno un loro rilievo.
Paperoga e la giornata troppo perfetta l’ho scritta nel 1999 ed è stata pubblicata nel 2000. In un periodo di ripensamento, l’idea era quella di giocare con il personaggio e con la percezione che lui ha di se stesso, oltre alla percezione che di lui hanno gli altri. Con tutto ciò che ne consegue, anche relativamente alla volontà di trovare qualcosa di relativamente nuovo. I disegni sono di Claudio Panarese.
Paperoga abracadabra l’ho scritta nel 2001 ed è stata pubblicata nello stesso anno. Anche in questo caso il tentativo era di giocare sulla relazione tra i paperi e sul loro desiderio, forse buonista ma sincero, di supportare Paperoga per non ferirne i sentimenti: un approccio, quindi, un po’ diverso dal solito. Alcune idee, rileggendole anche adesso, mi piacciono ancora molto. I disegni sono di Lara Molinari.
Interessante è anche il fatto che, forse casualmente, le storie sono comunque ordinate in senso cronologico. Forse vuol dire qualcosa, ma non so bene cosa.
Qui sopra una pagina della storia disegnata da Faccini.
Lo so che si tratta del numero di agosto e che nel frattempo ne è uscito un altro, ma non è che la tempestività sia sempre una delle mie priorità.
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