lunedì 11 luglio 2016

I Hated, Hated, Hated This Movie di Roger Ebert

Quando ho cominciato a scrivere recensioni cinematografiche avevo il gusto della stroncatura. Mi piaceva avere la possibilità di usare ironia e sarcasmo nei confronti di chi aveva realizzato dei film che mi sembravano brutti. È una cosa normale: le stroncature sono più facili delle recensioni elogiative e consentono di solito al recensore di diventare egli stesso il protagonista della propria recensione attraverso un articolato sfoggio di quel senso di superiorità che spesso pervade chi deve (o vuole) giudicare. Col tempo il mio punto di vista è molto cambiato. Forse l’essere anche un (modesto) creatore di storie - in qualche modo un autore - mi ha permesso di comprendere le difficoltà della creazione e mi ha reso meno facile la stroncatura divertita, quella che si fa beffe di chi comunque ha creato qualcosa. Adesso, se mi capita - e per l’onestà che devo a chi legge le mie recensioni, mi capita - di giudicare negativamente un film, lo faccio cercando in modo costruttivo di spiegare perché non mi è piaciuto e di non limitarmi ad apodittiche prese in giro della presunta incapacità altrui. Le recensioni che ogni tanto scrivo per questo blog, per esempio, generalmente sono positive perché, potendo scegliere, scrivo di ciò che mi è piaciuto. Quelle che scrivo per MYmovies o sui miei libri (il Dizionario dei film horror, per esempio), invece, per loro natura possono anche essere negative, ma, pur indulgendo talvolta in un po’ di ironia spero che non possano mai essere definite “cattive”.

Questa lunga premessa, serve per chiarire come mi pongo di fronte all’arte della stroncatura e come mi pongo di fronte all’autore dell’opera che recensisco, con rispetto per il suo sforzo. Ma l’arte della stroncatura ha molti sostenitori, non senza i loro perché. Tra questi possono esserci i critici cinematografici che potrei definire come "protagonisti" della loro recensione. Quei critici così importanti da essere diventati a loro volta dei personaggi, in grado di orientare i gusti dei loro lettori. Quei critici per i quali la loro recensione è già in se stessa un’opera d’arte, più importante forse di ciò che recensiscono. Roger Ebert (scomparso nel 2013) era sicuramente uno dei critici più importanti e caustici. Curiosamente, ha avuto anche una breve avventura come sceneggiatore per Russ Meyer e già questo solo fatto può far capire che non aveva certo la puzza sotto il naso e sapeva apprezzare l’exploitation e il cinema di serie B quando capitava. 


Il titolo del libro in questione, I Hated, Hated, Hated This Movie (Andrews McMeel Publishing, e-book 2013), fa già capire l’atteggiamento: si tratta di una raccolta di recensioni di Ebert scritte durante gli anni: tutte, esclusivamente, stroncature. Leggerle una di seguito all’altra produce un effetto è curioso, perché, pur tra una certa costanza nell'irrisione, si coglie la varietà strutturale e ricercata dell’impianto stroncatorio dove a volte del film si accenna appena tanto poco lo si è valutato e dove altre volte Ebert usa compiacersi di forbite circonvoluzioni per mettere alla berlina gli autori dei film in questione. Su tutto, un notevole sfoggio di ironia che rende la lettura piacevole anche se non sempre si conoscono i film.


La scelta di pubblicare un libro tutto di stroncature è curiosa, ma il risultato ha la sua brillantezza: non ha più importanza di che film si tratti, ma l’esercizio di una brillante cattiveria in sé. I film sono di vario genere e di varie epoche: si va da film molto noti a pellicole di così basso livello produttivo da chiedersi come mai siano finite nelle rotte critiche di Ebert. È recensito persino, per dirne uno, TNT Jackson, curioso (e fiacco) esempio di blaxploitation rinforzata (o indebolita, piuttosto, visto come sono eseguite) dalle arti marziali. Non mancano anche le stroncature che non ti aspetti, come per esempio L’inquilino del terzo piano di Polanski che io, invece, per dirne uno, ho sempre molto apprezzato. Mi è anche dispiaciuto un po’ leggere la sprezzante stroncatura di The Switchblade Sisters anche perché si riverberava su tutta la carriera di Jack Hill, di cui Ebert salva solo i film con Pam Grier (e solo perché c’era Pam Grier). Il libro è comunque pieno di scoperte e chiunque, credo, può trovare qualcuno dei suoi favoriti tra gli sfavoriti di Ebert. Non è questo l’importante: l’importante è che il libro è divertente da leggere e per quanto io mi ponga riguardo alle stroncature nel modo che ho sopra descritto e non sempre sia d’accordo comunque con i giudizi di Ebert, mi sono decisamente divertito a leggerlo.

Il libro è in inglese e l’ho letto in e-book.

1 commento:

Samuele Zàccaro ha detto...

"Modesto" creatore di storie? Stronco l'aggettivo "modesto". Tante persone, me compreso, hanno apprezzato, fin da bambini, le tue storie. Poi, da grandicelli, ti hanno "scoperto" e apprezzato come critico.