A causa di problemi finanziari, la coppia formata da Anna (Roberta Gemma) e Carlo (Arian Levanael) deve riposizionarsi: abbandonato l’appartamento in città, i due traslocano in una vecchia casa in campagna, dove un tempo Carlo abitava. Anna - che è cieca - non è contenta del cambiamento, ma Carlo la circonda d’affetto per farle superare i problemi di ambientamento. Carlo però deve lasciare sola Anna per impegni di lavoro. La donna sa badare a se stessa, anche grazie all’ausilio del suo telefonino, e non si preoccupa troppo. Ma qualcosa inizia a turbare la sua sicurezza: il disco che ascolta si interrompe, telefonate a vuoto. Piccole cose. Il ritorno di Carlo la sera rasserena l’ambiente. Ma nel cuore della notte Anna si sveglia e trova Carlo intento a fare qualcosa di misterioso. Le telefonate a vuoto si ripetono. Strani rumori incombono. Quando Anna comincia a spaventarsi, Carlo ricompare. Ma è chiaro che le cose non sono per niente tranquille. Anche perché c’è una stanza, la “sua” stanza, in cui Anna non dovrebbe entrare.
The Transparent Woman è il nuovo film di Domiziano Delvaux Cristopharo - giovane regista indipendente italiano di cui ho scritto spesso in questo blog - ed è sceneggiato da Andrea Cavaletto (che per Cristopharo ha già scritto Doll Syndrome), su soggetto dello stesso Cristopharo, Francesco Massaccesi (sceneggiatore, tra l’altro, di Weekend tra amici di Stefano Simone) ed Elio Mancuso (che per Cristopharo è stato attore nel segmento da lui diretto di E.N.D. The Movie, oltre ad aver scritto The Museum of Wonders).
L’inizio del film è rilassato, quasi circospetto: mostra i due personaggi mentre affrontano la nuova vita facendo leva sul loro affiatamento. La regia esplora la casa assieme ai protagonisti cercando di misurarne gli spazi e le oscurità. Gli elementi di disturbo, com’è tradizione degli horror ambientati in luoghi chiusi, vengono introdotti poco alla volta, dapprima come accenni.
Il ritmo è molto lento. La routine quotidiana della vita solitaria di Anna, rimasta sola dopo la partenza del marito, è mostrata senza fretta, con grande utilizzo di musica di accompagnamento per creare un’atmosfera languida e, per certi versi, serena. Anche l’uso del vinile, invece del digitale, dà un’impronta rétro, di cose perdute, come la musica suonata, ma ha una sua funzione narrativa sia per l’aspetto visuale del braccio e della puntina che scorre sul disco sia per la possibilità - utilizzata - di una interruzione brusca e preoccupante.
Cristopharo si concentra sulle immagini più che sulla storia - decisamente esile - e produce un insieme di immagini affascinanti e visualmente eleganti, con uno stile perfettamente riconoscibile, ma meno confrontazionale rispetto ai suoi film più controversi ed “estremi” (per le tematiche).
I dialoghi per larghi tratti sono ridotti all’osso per lasciare spazio al suggestivo mélange di immagini, colori e musica. L’atmosfera creata è sospesa, misteriosa. Il tempo però passa, ma i personaggi non vengono più di tanto approfonditi. Si resta nella superficie della loro psicologia e questo non aiuta a creare coinvolgimento nello spettatore.
La situazione della donna priva di vista e soggetta a oscure minacce rimanda a thriller di molti anni fa da Terrore cieco a Gli occhi della notte, mentre la situazione della moglie vittima di strane circostanze fa venire in mente miriadi di thriller, tra cui, non so perché, mi è passato per la testa Latidos de panico. La stanza chiusa, che nasconde segreti, rimanda - per la presenza di un rapporto di coppia in pericolo e la presenza di un pregresso misterioso - ex multis al classico di Fritz Lang, Dietro la porta chiusa. Ma la cecità rende la protagonista in un certo senso più pronta a fronteggiare gli inganni, poiché a volte la vista è un inganno in più.
Piccola digressione sistematica. Il film è un thriller-horror claustrofobico su una donna vulnerabile in pericolo. Il format è noto. Su tutto c’è un problema di base. Quando ci sono solo due personaggi, sostanzialmente, non è facile reggere un racconto basato su un mistero che si frappone tra i due. Sarebbe necessario alimentare una tensione sotterranea, un clima di reale incertezza che ci renda partecipi delle dinamiche relazionali, che ci faccia temere per una o entrambe le parti del rapporto o ci faccia dubitare di loro o di una di loro. Non è impossibile farlo, ma non è facile. Il problema è proprio di tecnica narrativa. Quando fai un thriller o un horror con un numero limitato di personaggi e un mistero sulla cui risoluzione punti tutto ai fini narrativi è molto difficile riuscire a trovare una soluzione che sia sorprendente, che cioè il pubblico non si aspetti: è una questione quasi matematica. Per questo esistono i red herrings e i falsi red herrings. Per questo si cerca di solito di mescolare le carte, ma se le carte sono poche (nel senso di personaggi) non è facile. Allora serve la soluzione del tutto a sorpresa. Un piccolo vecchio horror anni ’80 diretto da Arthur Allan Seidelman era tipico sotto questo profilo: La morte avrà i suoi occhi. Pretestuoso, certo, ma con un finale che spiazzava. Non da prendere a esempio, naturalmente, ma indicativo di un tentativo di superare il problema. Lì, peraltro, c’era Malcolm McDowell. Anche un film come Gli insospettabili - non certo un horror - resta un paradigma in questo senso, ma lì il gioco è tutto di sceneggiatura.
Cristopharo, come già accennato, è molto più interessato agli aspetti visuali e sotto questo profilo mostra una notevole maturità muovendo con discrezione ed efficacia la camera, senza strafare inutilmente, ricercando inquadrature efficaci, anche insolite quando serve, cambiando angolature per dare respiro e imprevedibilità alla visione. Anche l’uso del colore non è mai banale e costituisce sempre un valore aggiunto, che impreziosisce l’immagine. In sostanza, il regista manifesta uno stile sicuro e inventivo. Alcune sequenze sono particolarmente riuscite sotto questo profilo, come la ricerca delle perle da parte di Anna. Anche l’utilizzo del telefonino a descrivere le immagini alla donna non vedente è ingegnoso e porta al miglior momento del film, a livello di sorpresa.
La storia prende corpo soltanto verso la fine del film, quando cominciano a precisarsi i contorni del mistero che lega Carlo al suo passato, ma la sostanza non è molta e il ritmo narrativo non decolla, tendendo ad assecondare una visione estetizzante che se conferma, come detto, le qualità visuali di Cristopharo non risolve il problema dell’esilità della storia che sfocia in un finale che, arricchito da qualche dettaglio gore, è adeguato, ma non sorprendente.
Padre Mario è il classico elemento di dissonanza, di disturbo, non un vero red herring, ma qualcosa che gli assomiglia per il fatto di allargare, sia pure di poco, il parco dei personaggi in modo da instillare qualche incertezza. Anche perché Padre Mario, interpretato con esuberanza da Giovanna Nocetti, è davvero una presenza singolare, un piccolo colpo di genio di casting, che esprime una natura dissonante e disturbante in modo discreto senza che quasi lo spettatore se ne accorga. Il disagio, nel vederlo, è curioso e insinuante. Ha chiaramente la funzione di fornire informazioni (allo spettatore e alla protagonista), ma lo fa in modo inquietante. I due protagonisti sono in parte e garantiscono una resa funzionale dei loro personaggi.
Molto interessante e appropriata la colonna sonora (con musica originale di Salvatore Sangiovanni, Susan Dibona e musica addizionale Giovanna Nocetti), capace di arricchire in modo sinuoso ed efficace l’atmosfera. All’inizio, con i suoi fraseggi vocali di accompagnamento, sembra fare il verso ai thriller italiani degli anni ’70.
Molto belli anche i titoli di testa (e di coda) di Alessandro Redaelli (autore di uno degli episodi di Shock - My Abstraction of Death), con giochi di geometrie quasi a ricordare Saul Bass.
domenica 19 luglio 2015
The Transparent Woman di Domiziano Cristopharo
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