mercoledì 8 aprile 2015

Gli scacchi della vita di Stefano Simone

Investito da un’auto e perciò ricoverato in ospedale per cure e rieducazione, l’indaffarato architetto Massimo coglie l’occasione per leggere in anteprima il romanzo scritto dalla moglie, ancora in forma di manoscritto. Il titolo del romanzo è Gli scacchi della vita e racconta di una vita decisa da una partita a scacchi. Senza sapere come, Massimo si ritrova in un non-luogo e in un non-tempo, intento a giocare una partita a scacchi con uno sconcertante personaggio che gli ha promesso che alla fine della partita avrà tutte le risposte che cerca. E che però a ogni pedina mangiata dovrà rispondere a una domanda, potendo comunque fare altrettanto. Incuriosito e in ogni caso senza scelta, Massimo accetta e comincia la partita, rivivendo nell’occasione i momenti salienti e dolorosi della propria vita. E un terribile segreto che aveva cercato di dimenticare.

Dopo una serie di prove in crescendo (culminate con Weekend tra amici), per il suo nuovo film, Gli scacchi della vita, tratto da un racconto di Gordiano Lupi, il giovane regista Stefano Simone cambia registro narrativo e si addentra in una riflessione metafisica sul senso della vita e, probabilmente, sulla possibilità di riscatto e resipiscenza che ognuno, qualunque siano le sue colpe, mantiene. La materia è quindi di quelle complesse, difficile da affrontare e, soprattutto, da rendere senza incorrere nello scontato e nel già visto: il viaggio metafisico nell’esistenza e la partita a scacchi come simbolo del rapporto tra la vita e la morte in un gioco surreale dove qua e là trapela qualche indiretta eco bergmaniana e qualche rimando, forse, al Tornatore di Una pura formalità.


Di sicuro è un film ambizioso, per i temi trattati e per il fatto d’averli voluti trattare. Si tratta di argomenti di spessore, spesso affrontati con difficoltà dal cinema e solo talvolta con efficacia. Il risultato, diversamente da quanto era successo con il precedente film di Simone, non è all’altezza delle ambizioni, ma anche le ambizioni sono in questo caso maggiori. Pur confermando buone qualità nella messa in scena e nella scelta delle immagini, Simone non riesce a evitare le secche di una certa schematicità e prevedibilità (il sottofinale, per fare un esempio, è piuttosto telefonato, anche se sicuramente in linea con lo sviluppo e le intenzioni della storia).


I ricordi giovanili del personaggio - con il trauma di essere figlio di una prostituta - sono un po’ troppo monocordi e insistiti nel ribadire il concetto dell’isolamento del personaggio. Lo sviluppo della situazione riesce comunque a delineare efficacemente le motivazioni all’origine delle scelte da lui compiute e alcune svolte hanno un apprezzabile effetto drammatico. Alcune lungaggini nella narrazione rallentano però un po’ troppo il procedere della storia, forse perché non c’è abbastanza materia narrativa per sostenere un lungometraggio.


Nonostante la tematica, il film rifugge le tenebre e privilegia atmosfere assolate, contrastate e quasi iperrealistiche, anche nella scelta dei colori. La scelta di privilegiare, nelle ambientazioni, contorni periferici, dismessi o capannoni industriali deserti è azzeccata e rende il senso del degrado e dell’abbandono.


La recitazione è un po’ diseguale negli esiti se non nell’impegno. Per la misura e la naturalezza dell’interpretazione, nel cast si segnala soprattutto Michael Segal, la cui esperienza recitativa (vanta già un buon numero di film al suo attivo, tra cui, in campo horror, alcuni diretti da Ivan Zuccon) si fa sentire nell’efficacia dei risultati. Buona anche la prova di Antonio Potito nel ruolo di un barbone amante degli scacchi che cerca senza troppa fortuna di consigliare per il meglio il protagonista da giovane. Filippo Totaro, alle prese con il ruolo probabilmente più difficile, tende talvolta ad andare un po’ sopra le righe, ma nel complesso riesce a rendere con sufficiente abilità la cruciale ambiguità del suo personaggio. Libero Troiano, nel ruolo di Massimo giovane, alterna momenti di efficacia ad altri di minore resa drammatica, probabilmente per inesperienza.


In generale, parte del cast risente forse della difficoltà dei ruoli. Talvolta la materia è troppo impegnativa e insidiosa e, per una buona resa drammatica, avrebbe richiesto una recitazione più professionale. O magari un uso diverso del montaggio e delle inquadrature per ovviare al problema e cercare di minimizzarlo. Difetti di esperienza. Infatti le sequenze migliori sono quelle, soprattutto nella seconda parte del film, in cui la narrazione è lasciata all’interazione tra le immagini e la colonna sonora, generalmente efficace nel rendere il respiro drammatico della storia.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

mi è molto piaciuto il tuo ultimo libro che mi ha permesso di scoprire/riscoprire un talento come Jean Rollin. Davvero un maestro, Mi interesserebbe conoscere un tuo parere su Nurse, un horror che pare sempre scadere nel ridicolo tra soft porn, splatter, autoironia ma alla fine sembra restare in piedi e portare a casa il risultato.

Rudy Salvagnini ha detto...

Grazie molte per i complimenti: mi fa sempre molto piacere che un mio libro sia letto con interesse e venga trovato interessante. Per quanto riguarda Nurse, fortunato caso vuole che ne abbia scritto la recensione per MYmovies. Se vai a questo link di questo blog (http://rudysalvagnini.blogspot.it/2014/12/nurse-3-d.html) trovi il link immediato alla recensione.

Anonimo ha detto...

Non ho visto questo film ne altri di questo autore ma sono piuttosto scettico sugli attuali autori horror italiani. Ho visto, per esempio, Surrounded e non mi ha suscitato il minimo brivido...invece un film che usando alcuni degli stessi elementi 2you are the next mi è piaciuto parecchio. Non ricordo se tu ne abbia mai parlato, ma secondo me ne varrebbe la pena

Rudy Salvagnini ha detto...

Quello sull'horror italiano attuale è un discorso complesso, ma effettivamente non stiamo, da anni, vivendo un grande periodo anche se alcune individualità non mancano, come non sono mancati alcuni film interessanti. Surrounded non l'ho ancora visto e anche You're Next (se è questo il film cui ti riferisci) ce l'ho in coda da tempo tra le cose da vedere. Lo farò senz'altro. Tieni conto, comunque, che Gli scacchi della vita non è un horror.