Come ho già scritto altre volte in questo blog, non mi pare il caso di segnalare le varie ristampe di mie storie disneyane, qui e là, in Italia e all'estero. Però talvolta, per un motivo o per l'altro, faccio delle eccezioni. Questa - come scriveva Lee Falk in alcune storie dell'Uomo Mascherato - è una di quelle volte. Non tanto per la storia, quanto per le due pagine che mi hanno gentilmente dedicato all'interno del volume, ripercorrendo la mia carriera, disneyana e no. Non c'è, né poteva esserci, tutto, ma è richiamato molto di quello che ho fatto nel corso del tempo.
Parlo, come i più avvertiti avranno intuito dal titolo di questo post, del primo numero della nuova Topolino Story che è uscito oggi assieme al Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport (vi lascio indovinare quale dei due ho comperato io). La vecchia serie si era fermata al 1978, proprio l'anno in cui ho cominciato a collaborare a Topolino (anche se la mia prima storia è stata pubblicata l'anno successivo). Questa serie inizia con il 1980, forse perché piaceva il numero tondo a inizio decade. Il 1979, comunque, verrà allegato al secondo numero, quello del 1981. Una iniziativa interessante, curata da Gianni Bono, che è sempre garanzia di qualità. Tra gli autori dei testi anche l'ottimo Luca Boschi. Le due pagine dedicate a me, leggo dal colophon, le ha scritte Gabriele Ferrero, che ringrazio.
Nel volume c'è anche una mia storia, Topolino e la banda del black-out che ricordo con piacere perché l'ha disegnata Giovan Battista Carpi, uno dei grandi dell'empireo disneyano. Rileggendola, mi è venuto in mente di quando l'ho scritta e mi è sembrato sia avvenuto qualche era geologica fa. In effetti.
martedì 24 febbraio 2015
domenica 22 febbraio 2015
Monnezza amore mio di Tomas Milian con Manlio Gomarasca
Le autobiografie dei personaggi dello spettacolo possono essere una lettura estremamente interessante perché ci permettono di conoscere qualcosa della vita e delle motivazioni che li hanno spinti a scegliere e a percorrere la loro strada. Nel caso di registi o sceneggiatori ci permettono di comprendere meglio le loro opere e che cosa vi era dietro (la bellissima autobiografia di Roman Polanski è un esempio calzante, ma ancora più mirabile ho trovato quella di Akira Kurosawa). Nel caso degli attori ci permettono di scoprire l’uomo (o la donna) dietro il simulacro che ci ha catturato sullo schermo. Le autobiografie di Christopher Lee e Peter Cushing, per esempio, pur se scritte con il naturale riserbo britannico (oltre che con lo humour altrettanto britannico), raccontano parecchio della personalità di quei due campioni dello schermo.
Tomas Milian è un attore dalle grandissime capacità, che ha posto al servizio di film di ogni genere, interpretando ogni tipo di ruoli. Seguendo la sua carriera nel corso degli anni - credo che il suo primo film che vidi fu Vamos a matar compañeros (in un cinema di Rovereto che naturalmente non esiste più; il cinema, non Rovereto) qualcosa come più di 40 anni fa, eppure lui me lo ricordo ancora, in quel film - mi ero fatto l’idea di un attore impegnato, serio, capace di agire per sottrazione quando serviva, che poi si era prestato al cinema commerciale con piacere ma anche per necessità, privilegiando quando poteva i ritorni al cinema “alto”. Leggere la sua autobiografia, Monnezza amore mio (Rizzoli, 302 pagg., € 18,50) - scritta con Manlio Gomarasca, grande esperto di cinema di genere e co-fondatore di quella strabiliante anomalia del mercato editoriale che è la rivista Nocturno - mi ha permesso di scoprire che, almeno in parte, mi sbagliavo. Milian traccia con ammirevole e sorprendente candore la sua parabola artistica lasciando capire come sia sempre stato un “naturale”, una persona nata per recitare, un istintivo nelle sue scelte e per nulla un intellettuale (almeno non nel senso che si dà comunemente alla parola). Se per i critici i film di Monnezza sono quasi un peccato da cui lui debba emendarsi in qualche modo - o sia stato emendato dalle altre cose più impegnate che ha fatto (e curiosamente proprio in questi giorni leggevo una recensione a uno dei film di Nico Giraldi su un vecchio numero della Rivista del Cinematografo in cui il recensore biasimava che Milian fosse tornato a quelle bassezze dopo aver fatto pensare a una rinascita con la sua partecipazione al bertolucciano La luna) - per Milian sono in un certo senso l’apice della sua carriera, non solo per il personaggio (ma molto anche per quello), ma anche perché, in quanto popolarissimi, hanno segnato la sublimazione del suo ruolo di attore, grazie all’incontro con il grande pubblico.
Ed è curioso anche l’utilizzo di Monnezza stesso - in una sorta di sdoppiamento della personalità - quale controcanto, espresso nel romanesco che tutti ci immaginiamo nella dizione di Ferruccio Amendola (il doppiatore di MIlian in quei film), a commentare e controbattere le affermazioni di Milian nel libro. L’effetto è spesso spiazzante, talvolta petulante, ma comunque originale.
Milian ripercorre le varie fasi della sua carriera soffermandosi sui momenti per lui più significativi con aneddoti sempre molto affascinanti e caratterizzati da una schiettezza a volte anche cruda, senza mai cercare l’autoincensamento, ma semmai talvolta sminuendo i propri esiti. Da Antonioni (per cui Milian interpretò in modo estremamente sobrio ed efficace Identificazione di una donna: la sobrietà di Milian in quel film mi ha sempre ricordato quella di Nicholson, altro mattatore dello schermo, in Professione: reporter sempre di Antonioni) a Dennis Hopper (con il suo delirante The Last Movie), a Bombolo (partner in molti film), sono molti i personaggi tratteggiati in modo vivido e inedito, dando spazio anche ai drammi umani che hanno segnato la sua vita.
Viene anche spiegata in qualche modo la sua “fuga” dall’Italia con l’approdo - o meglio, il ritorno - in America per una nuova fase della sua carriera che lo ha fatto in qualche modo uscire dai radar del pubblico italiano, per tornarvi solo occasionalmente con alcuni film di maggior risalto anche qui da noi, come Traffic di Soderbergh od Oltre ogni rischio di Abel Ferrara. Purtroppo l’ampiezza della carriera di Milian e lo spazio ristretto del libro lasciano fuori molte delle sue interpretazioni (per esempio mi sarebbe piaciuto sapere qualcosa di più sulla sua partecipazione a quel curioso film di Damiani, Gioco al massacro, in cui faceva coppia con Elliott Gould), ma questo era inevitabile.
Scorrevole e ricco di fatti e considerazioni, è un libro di grande interesse che vale senz’altro la pena di leggere, per incontrare di persona un attore che abbiamo visto così tante volte - e sempre con ammirazione - sullo schermo.
Tomas Milian è un attore dalle grandissime capacità, che ha posto al servizio di film di ogni genere, interpretando ogni tipo di ruoli. Seguendo la sua carriera nel corso degli anni - credo che il suo primo film che vidi fu Vamos a matar compañeros (in un cinema di Rovereto che naturalmente non esiste più; il cinema, non Rovereto) qualcosa come più di 40 anni fa, eppure lui me lo ricordo ancora, in quel film - mi ero fatto l’idea di un attore impegnato, serio, capace di agire per sottrazione quando serviva, che poi si era prestato al cinema commerciale con piacere ma anche per necessità, privilegiando quando poteva i ritorni al cinema “alto”. Leggere la sua autobiografia, Monnezza amore mio (Rizzoli, 302 pagg., € 18,50) - scritta con Manlio Gomarasca, grande esperto di cinema di genere e co-fondatore di quella strabiliante anomalia del mercato editoriale che è la rivista Nocturno - mi ha permesso di scoprire che, almeno in parte, mi sbagliavo. Milian traccia con ammirevole e sorprendente candore la sua parabola artistica lasciando capire come sia sempre stato un “naturale”, una persona nata per recitare, un istintivo nelle sue scelte e per nulla un intellettuale (almeno non nel senso che si dà comunemente alla parola). Se per i critici i film di Monnezza sono quasi un peccato da cui lui debba emendarsi in qualche modo - o sia stato emendato dalle altre cose più impegnate che ha fatto (e curiosamente proprio in questi giorni leggevo una recensione a uno dei film di Nico Giraldi su un vecchio numero della Rivista del Cinematografo in cui il recensore biasimava che Milian fosse tornato a quelle bassezze dopo aver fatto pensare a una rinascita con la sua partecipazione al bertolucciano La luna) - per Milian sono in un certo senso l’apice della sua carriera, non solo per il personaggio (ma molto anche per quello), ma anche perché, in quanto popolarissimi, hanno segnato la sublimazione del suo ruolo di attore, grazie all’incontro con il grande pubblico.
Ed è curioso anche l’utilizzo di Monnezza stesso - in una sorta di sdoppiamento della personalità - quale controcanto, espresso nel romanesco che tutti ci immaginiamo nella dizione di Ferruccio Amendola (il doppiatore di MIlian in quei film), a commentare e controbattere le affermazioni di Milian nel libro. L’effetto è spesso spiazzante, talvolta petulante, ma comunque originale.
Milian ripercorre le varie fasi della sua carriera soffermandosi sui momenti per lui più significativi con aneddoti sempre molto affascinanti e caratterizzati da una schiettezza a volte anche cruda, senza mai cercare l’autoincensamento, ma semmai talvolta sminuendo i propri esiti. Da Antonioni (per cui Milian interpretò in modo estremamente sobrio ed efficace Identificazione di una donna: la sobrietà di Milian in quel film mi ha sempre ricordato quella di Nicholson, altro mattatore dello schermo, in Professione: reporter sempre di Antonioni) a Dennis Hopper (con il suo delirante The Last Movie), a Bombolo (partner in molti film), sono molti i personaggi tratteggiati in modo vivido e inedito, dando spazio anche ai drammi umani che hanno segnato la sua vita.
Viene anche spiegata in qualche modo la sua “fuga” dall’Italia con l’approdo - o meglio, il ritorno - in America per una nuova fase della sua carriera che lo ha fatto in qualche modo uscire dai radar del pubblico italiano, per tornarvi solo occasionalmente con alcuni film di maggior risalto anche qui da noi, come Traffic di Soderbergh od Oltre ogni rischio di Abel Ferrara. Purtroppo l’ampiezza della carriera di Milian e lo spazio ristretto del libro lasciano fuori molte delle sue interpretazioni (per esempio mi sarebbe piaciuto sapere qualcosa di più sulla sua partecipazione a quel curioso film di Damiani, Gioco al massacro, in cui faceva coppia con Elliott Gould), ma questo era inevitabile.
Scorrevole e ricco di fatti e considerazioni, è un libro di grande interesse che vale senz’altro la pena di leggere, per incontrare di persona un attore che abbiamo visto così tante volte - e sempre con ammirazione - sullo schermo.
giovedì 19 febbraio 2015
La piramide
L'accoppiata composta da Alexandre Aja e Grégory Levasseur - qui nel ruolo rispettivamente di produttore e regista (esordio nel ruolo per Levasseur) - ci propone La piramide, da oggi nelle sale, un nuovo film che trae spunto dall'affascinante e ricca mitologia dell'antico Egitto, lasciando perdere le mummie, ma facendo ampio uso di molto altro.
Chi vuole leggere la recensione che ho scritto per MYmovies non ha che da cliccare qui, come al solito. Non mi dilungo quindi in questa sede sul film se non per sottolineare come, in un momento di evidente riflusso del formato del found-footage, se ne cominci a fare un uso "imbastardito", cercando di trarre vantaggio dalle sue peculiarità senza essere penalizzato dalle sue evidenti limitazioni a lungo andare. Una nuova tendenza di cui prendere atto, per il momento. Vedremo se avrà sviluppi.
Qui sopra, Ashley Hinshaw, la protagonista femminile del film.
Chi vuole leggere la recensione che ho scritto per MYmovies non ha che da cliccare qui, come al solito. Non mi dilungo quindi in questa sede sul film se non per sottolineare come, in un momento di evidente riflusso del formato del found-footage, se ne cominci a fare un uso "imbastardito", cercando di trarre vantaggio dalle sue peculiarità senza essere penalizzato dalle sue evidenti limitazioni a lungo andare. Una nuova tendenza di cui prendere atto, per il momento. Vedremo se avrà sviluppi.
Qui sopra, Ashley Hinshaw, la protagonista femminile del film.
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