Diversi post dylaniani in questo blog ultimamente, ma non mi potevo esimere dal celebrare, come di consueto, il compleanno - sono 72, niente male - del nostro.
L'anno trascorso ha segnalato un Bob Dylan ancora capace di sorprendere e di lasciare il segno, con il nuovo album Tempest che si è rivelato essere uno dei migliori degli ultimi decenni e di cui ho già diffusamente parlato qui.
Ma Tempest, benché tuttora molto presente, è già passato e il presente vero e proprio è fatto del per fortuna immancabile tour che si sta rivelando particolarmente interessante. L'ingresso nella band di Duke Robillard, a scapito di un Charlie Sexton decisamente sotto tono negli ultimi tempi, ha rinfrescato il sound dandogli maggiore virtuosità chitarristica, maggior colore (credo che non sia stata estranea a evidenziare la necessità di un cambio del genere la presenza sul palco di Mark Knopfler in diverse occasioni durante i recenti tour congiunti: quando suonava Knopfler si capiva improvvisamente - o ci si ricordava - cosa può fare un chitarrista abile e ispirato).
Inoltre, diversamente da quel che ha sempre fatto (tranne che, principalmente, nel tour del 1966 e la cosa potrebbe anche essere significativa, ma non chiedetemi di cosa), Dylan ha mantenuto ferrea la scaletta dei concerti, concedendosi solo minime variazioni. Ciò ha tolto quella imprevedibilità tipicamente dylaniana, ma, forse non imprevedibilmente, ha aggiunto una qualità e una perfezione nell'esecuzione che, per cambiare, si possono accogliere favorevolmente. Tra le altre cose, riscoprendo una canzone, What Good Am I, già ottima di per sé, ma resa adesso in una versione intensa che ne riscopre appieno il significato (sempre attuale) e dimostra una volta di più che cosa Dylan riesca ancora a fare pur con una voce non più nella forma primigenia.
venerdì 24 maggio 2013
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