martedì 26 aprile 2011

Bob Dylan e My Own Love Song


Dopo gli innumerevoli problemi di vario tipo incontrati sul set di Pat Garrett & Billy the Kid (chi vuole approfondire può, tra le altre cose, consultare il mio Il cinema di Bob Dylan, gli altri - immagino la maggioranza - potranno prendere la cosa per buona e accontentarsi), Bob Dylan aveva detto, piuttosto contrariato, che mai più avrebbe fatto una colonna sonora per qualcun altro e difatti aveva cominciato a pensare a Renaldo & Clara, nel quale avrebbe fatto, oltre alla musica, anche la regia (e varie altre cose). Però si sa che ‘mai’ è una parola piuttosto impegnativa, soprattutto se si resta vivi e attivi a lungo. Quindi, dopo una serie di canzoni scritte per il grande schermo anche con notevole successo (vedi l’Oscar conquistato per Things Have Changed), Dylan ha scritto una intera colonna sonora per My Own Love Song, un film del francese Olivier Dahan, autore, qualche tempo fa, di una biografia filmata di Edith Piaf (La vie en rose), oltre che di I fiumi di porpora II - Gli angeli dell’apocalisse.

Com’era successo in parte a un progetto teatrale per il quale Dylan aveva scritto alcune canzoni prima del collassare di tutta la faccenda finendo per includere quelle canzoni nel suo nuovo album (New Morning del 1970: la faccenda è raccontata anche da Dylan stesso in Chronicles vol. 1), anche in questo caso le canzoni sono confluite in un suo album, Together Through Life, uscito nel 2009. Infatti, il progetto cinematografico ha avuto dei tempi decisamente lunghi ed è uscito solo nel 2010. Ma almeno è uscito: è andata peggio per la canzone Can’t Escape from You, realizzata per un film mai finito (a occhio dovrebbe trattarsi di Paradise Cove). Per la cronaca, Can’t Escape from You è invece uscita, dopo qualche anno nei cassetti della produzione, in Tell Tale Sign.

Quando è emersa la notizia che nella colonna sonora di My Own Love Song ci sarebbero stati diversi brani in più rispetto a quelli usciti su Together Through Life il fandom dylaniano è entrato in fibrillazione: i titoli erano interessanti e l’elenco ancora di più. è il caso di riportarlo, tratto da uno dei tanti siti che l’hanno reso noto:

01 “Sweeping The Floor”
02 “Bumble Bee”
03 “Jane’s Lament”
04 “Joey’s Theme”
05 “Driving South”
06 “Back Alley”
07 “Snow Falling”
08 “Billie #30”
09 “Road Weary”
10 “Click Clack”
11 “Robbie Robert’s Lament”
12 “New Orleans Drums”
13 “Jane’s Step”
14 “Swingin’”
15 “Blues Club (Playback)”
16 “East Texas”

Quando poco dopo si è capito che i brani in più erano solo strumentali e che non sarebbe uscito un disco con la colonna sonora, l’interesse è rapidamente scemato. A me la curiosità, però, era rimasta e quindi ho fatto quello che dovevo fare: cioè mi sono guardato My Own Love Song, sia per capire se la colonna sonora funzionava nel contesto sia, soprattutto, per capire per quale motivo Dylan aveva scelto quel film per tornare a comporre un’intera colonna sonora.

I titoli scorrono su Forgetful Heart, una delle più belle canzoni di Together Through Life
(ancora migliore nelle versioni dal vivo). Il tono mesto e di rimpianto della canzone si sposa con l’estetica decadente e vissuta del classico bar downtown in cui si svolge la prima scena. Jane Wyatt (Renée Zellweger) è una ex cantante multitatuata ridotta sulla sedia a rotelle che cerca di sopravvivere alla sua cattiva sorte. Il suo amico più caro è Joey (Forest Whitaker), un uomo di colore balbuziente non del tutto giusto di testa, che sostiene di essere in grado di parlare con gli angeli. Dopo alcune disavventure, Joey convince Jane a partire con lui per andare a New Orleans alla conferenza dell’autore di un libro sugli angeli. Joey in realtà vuole approfittarne per portare Jane a Baton Rouge dove il figlioletto della donna l’ha invitata per la sua prima comunione, ma dove lei non avrebbe il coraggio di andare. La storia del film è in sostanza quella del viaggio di questi due spostati e dei loro incontri con altri personaggi - “buoni” e “cattivi” - altrettanto fortemente caratterizzati, attraverso la desolazione dell’America più abbandonata.

La trama dice molto del film: siamo dalle parti dei road movies fatalisti e benintenzionati, che presentano dei perdenti destinati al riscatto anche loro malgrado attraverso la riscoperta di sentimenti positivi coi quali non avevano più dimestichezza. Niente che non abbiamo già visto prima, anche recentemente, come nel film per il quale Jeff Bridges ha vinto l’Oscar, Crazy Heart: un film che con questo condivide la musica come elemento fondamentale e fondante. Solo che qui non c’è Jeff Bridges a riscattare i luoghi comuni e a controbilanciare i sentimentalismi. C’è però la colonna sonora di Bob Dylan che, come accade di solito alle singole canzoni da lui scritte per i film, si adatta molto bene alla storia e riesce a cogliere meglio del film stesso l’atmosfera giusta del racconto. I brani strumentali sono poco più di stacchetti - almeno per come si sentono nel film - ma i rimandi alla produzione globale di Bob Dylan si susseguono. Una versione strumentale di What Good Am I? (canzone presente in Oh Mercy, forse il miglior album di Dylan degli ultimi trent’anni) si mescola alle canzoni da Together Through Life ed è anche cantata da Whitaker, tra sé e sé, in un toccante momento del film. Inserite nel film, le canzoni di Together Through Life, un album di successo ma non troppo amato per la sua apparente “leggerezza” (e per il fatto d’essere una collaborazione con Robert Hunter piuttosto che un’opera tutta dell’ingegno di Dylan), acquistano senso e spessore trovando il posto cui erano destinate. Non manca nemmeno la sarcastica It’s All Good, ottima e abrasiva. Precious Angel (da Slow Train Coming) è cantata con intensità da Renée Zellweger in una versione molto melodica ma non disprezzabile. I Believe in You (sempre da Slow Train Coming) è interpretata da un cantante vagabondo (Don Sparks) per consolare Jane delle sue disgrazie e darle forse il conforto della fede. Non è un caso che siano canzoni del cosiddetto periodo cristiano a portare la speranza. Ma è la meno consolatoria Life Is Hard (da Together Through Life) a percorrere tutto il film in versioni strumentali e anche nella versione cantata da Dylan, oltre che in un’altra interpretata da Renée Zellweger: vediamo infatti Jane scriverla freneticamente a bordo di un treno, mentre si avvicina all’incontro fatale con il figlio che aveva dovuto abbandonare dopo il tragico incidente che l’aveva paralizzata e fatta finire in coma.

Film come questi, con il cuore dalla parte giusta ma con poco discernimento sulla loro materia e senza un polso registico dalla necessaria fermezza, dipendono molto, per la loro almeno parziale riuscita, dal cast. In questo caso, ci sono luci e ombre. Forest Whitaker - attore molto versatile e spesso bravo - non riesce a evitare di andare sopra le righe e carica fin troppo un personaggio già troppo carico di suo, con potenti eco dal Lennie di Uomini e topi. Neanche Renée Zellweger si sottrae dallo spingere il pedale dei sentimenti, ma, come le capita spesso negli ultimi tempi, sembra aver perso lo smalto che, ai tempi di Jerry Maguire l’aveva segnalata come una delle promesse del cinema americano (sono passati un bel po’ di anni, d’accordo, ma c’è chi è invecchiato meglio). Se la cava discretamente nel canto, comunque, e si esibisce anche in una buona versione di This Land Is Your Land, l’inno di Woody Guthrie che richiama alla mente un’America solidale ben diversa dall’attuale. Nick Nolte fa un anziano e grugnente chitarrista rock-blues dai capelli sparati e rievoca la famosa leggenda di Robert Johnson e il suo patto col diavolo all’incrocio di due strade nel profondo Sud. Poco più di un siparietto, è anche a suo modo affascinante e figurativamente simpatico, ma non si integra troppo con il resto del film. La sorpresa migliore è Madeline Zima, fresca e genuina nel ruolo di una giocane moglie abbandonata dal marito.

Il cognome del personaggio interpretato da Renée Zellweger è forse un omaggio a Robert Wyatt, l’ex batterista dei Soft Machine costretto sulla sedia a rotelle da un incidente e capace di costruirsi nel tempo una rimarchevole carriera ai margini dell’industria musicale.

Dopo aver visto il film, comunque, non sono riuscito a capire perché Dylan abbia scelto di fare la colonna sonora proprio di questa pellicola. Tra qualche tocco di umorismo, buoni sentimenti, qualche figura sbrigativa e banale (lo scrittore che lungi dal pensare agli angeli pensa ai soldi), qualche momento azzeccato e un finale adeguatamente struggente, My Own Love Song è al massimo un film che si lascia vedere, non certo un capolavoro. Nel link sopra citato, ci sono alcune dichiarazioni di Dahan che raccontano come lui abbia approcciato Dylan ottenendone l’assenso. Lo stesso, ricordo, era accaduto per North Country. Forse, basta chiedere ed essere fortunati.


2 commenti:

Gianni ha detto...

Complimenti! Una bella analisi, un articolo davvero interessante. D'accordo su un punto, soprattutto: perché non pubblicare la colonna sonora?
Gianni

Rudy Salvagnini ha detto...

Probabilmente per le sovrapposizioni con Together Through Life, ma è un peccato perché così si lascia inedito parecchio materiale interessante. Grazie per i complimenti!