venerdì 17 dicembre 2010
Jean Rollin (3 novembre 1938 - 15 dicembre 2010)
Jean Rollin è stato un personaggio del tutto atipico nel mondo del cinema. Si è occupato di horror, di exploitation, di erotismo, di pornografia. Ha realizzato film che voleva fortissimamente fare e altri che invece avrebbe fatto volentieri a meno di girare. Ha dovuto condizionare la sua vena artistica al mercato in un modo molto pesante, spesso. Nonostante questo, è anche riuscito a dare altrettanto spesso un’impronta particolare ai suoi film. Ha fatto film di genere anche se probabilmente la sua indole lo avrebbe portato a dirigere film rarefatti, totalmente “artistici”.
Ma questo è comune ad altri registi. È pieno il mondo di persone che vorrebbero fare qualcosa di “alto” e si ritrovano a fare qualcosa di “basso” e riescono a farlo talmente bene da renderlo imprescindibile. Ciò che rende atipico - e unico - Rollin è il suo stile, la sua capacità visuale, il suo originale insieme di “poesia” e feuilleton, si sangue e sentimento, di violenza e filosofia. Pochi altri hanno sfidato lo spettatore di exploitation come ha fatto lui. Pochi gli hanno dato un prodotto così diverso da quello che si aspettava. Talvolta, chissà perché, lo si paragona a Jesus Franco, eppure non potrebbero esserci registi più diversi, come sottolineava lo stesso Rollin.
A Rollin ho dedicato una puntata della mia serie Kings of Exploitation su Segnocinema, quindi non mi dilungo: lì ho già scritto quello che penso del cinema di Rollin, a volte estenuante, ma spesso affascinante. Se posso consigliare un suo film a chi volesse celebrarne il ricordo con una visione consiglio La rose de fer, la summa della visione rolliniana.
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giovedì 16 dicembre 2010
Ultracorpo di Michele Pastrello
Il giovane regista Michele Pastrello si è fatto notare con un pugno di cortometraggi apertamente o perifericamente horror attirando l’attenzione di diversi critici e ottenendo importanti riconoscimenti in vari festival. Da ricordare almeno lo psycho-horror Nella mia mente e 32, in cui la tematica ecologica è sviluppata in modo assolutamente originale.
L’originalità dell’approccio caratterizza anche il suo nuovo lavoro, Ultracorpo, che sin dal titolo richiama uno dei film più famosi del fantahorror (L’invasione degli ultracorpi di Don Siegel), del quale viene mostrato un frammento in Tv, mentre il protagonista interpretato dal bravo Diego Pagotto lo guarda. Qui non c’è però una minaccia aliena venuta a spersonalizzare l’umanità: l’umanità ci pensa da sola a farlo.
Umberto è un perdente, rassegnato a una vita ai margini. Vive di lavoretti, ha una cura del corpo che sembra quasi futile vista la situazione, guarda al passato - la foto dei familiari - anche se è ancora giovane e, infine, si accontenta di freddi rapporti con una prostituta per “adempiere” alle sue funzioni sessuali. Poi, un giorno, un amico gli offre un lavoretto in nero: sistemare lo scarico del lavandino di un tizio, un “frocio”, gli spiega l’amico come se quel termine fosse di per sé sufficiente a classificare l’individuo. Umberto ne prova un’istintiva repulsione e rifiuta l’offerta. Ma in realtà non può rifiutarla: ha bisogno di soldi. Perciò alla fine ci va e l’incontro produce conseguenze inaspettate per entrambi i protagonisti.
Pur agendo in un contesto che sembra quello di un horror thriller convenzionale - per suggestioni e atmosfere - Pastrello si avvicina alla tematica in modo del tutto anticonvenzionale. Dipinge con tocchi asciutti ed efficaci le ragioni della violenza. Mostra senza enfasi come la solitudine e lo squallore dei rapporti umani generi l’incapacità di relazionarsi con gli altri, come se fosse parte di un processo di desensibilizzazione, di baccellizzazione, per restare nel tema de L’invasione degli ultracorpi. E qui, in un radicale rovesciamento del film di Siegel, l’ultracorpo è quello dell’uomo “normale” e non c’è nessuna invasione: gli uomini - in buona parte - sono già così, lo sonbo diventati. Molto efficace è anche la percezione del diverso - in questo caso l’omosessuale, ma la cosa potrebbe applicarsi ad altre categorie - come un mostro: la sequenza dell’incubo, condotta magistralmente e unico momento classicamente horror del film, è esemplare in questo senso.
Positivo è anche il fatto che le cose non siano schematiche: c’è un buon approfondimento delle motivazioni psicologiche dei protagonisti, ciascuno dei quali ha un margine di ambiguità che gli evita di essere uno stereotipo. Forse manca il guizzo finale che, narrativamente, possa sorprendere senza percorrere un sentiero inesorabile ma in parte prevedibile. Però l’insieme rappresenta un nuovo e notevole passo avanti per Pastrello, ormai più che maturo per un lungometraggio.
Ottima la fotografia di Mirco Sgarzi, adeguata ai vari stati d’animo della storia. E notevole anche l’interpretazione degli attori, circostanza che nel cinema indipendente non è proprio usuale. In particolare Felice C. Ferrara riesce a tratteggiare con grande efficacia un ritratto sinuoso e sfuggente di un personaggio visto come “alieno” dalla controparte.
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martedì 14 dicembre 2010
Devil on the Mountain
Bigfoot, conosciuto anche come Sasquatch o Piedone (nessuna parentela con il personaggio di Bud Spencer), è il cugino americano dello yeti: entrambi - come molti altri - sono creature forse immaginarie o forse, chissà, reali (o lo sono state). Da un sacco di tempo vengono ricercate, ma nessuno le trova mai. Tranne sugli schermi, naturalmente.
Ultimamente c'è stata una ripresa di film su Bigfoot - particolarmente riuscito è Abominable (la cui scheda trovate ovviamente nel Dizionario dei film horror - e proprio di uno di questi, vale a dire Devil on the Mountain di Steven R. Monroe, scrivo nella nuova puntata di Horror Frames, la mia rubrica su MyMovies, facendo anche un breve excursus storico sulle imprese cinematografiche del pelosone. Volete leggerla? Andate qui.
martedì 7 dicembre 2010
Recensione di Giovanna Branca a Il cinema di Bob Dylan
Mi fa particolarmente piacere segnalare l'attenta recensione che Giovanna Branca ha dedicato al mio libro Il cinema di Bob Dylan (Le Mani Editore) nel sito Close-Up dedicato al cinema. Il link alla recensione è questo.
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Rudy Salvagnini
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