Com’è tradizione di questo blog, allo scoccare della data fatidica colgo l’occasione per fare gli auguri a Bob Dylan. Quest’anno sono 80. Io ne ho un po’ di meno e batto volentieri la fiacca. Lui alla sua età si è fermato nella sua attività concertistica solo perché costretto dalla pandemia. Ne ha approfittato però per fare uscire uno dei suoi dischi migliori, più densi di significato, più coesi musicalmente, più magnetico e, se vogliamo, che attira maggiormente l’ascolto. Rough and Rowdy Ways è un disco che si fatica ad abbandonare, che stimola ripetuti ascolti, sempre alla ricerca di nuovi risvolti, sempre più rapiti da un tessuto sonoro unico e complesso. Lascio volentieri ai critici letterari e musicali l’analisi e l’interpretazione di testi e musiche così significativi e sfuggenti, così impenetrabili e allo stesso tempo così vicini da parlare direttamente alla nostra anima. Da parte mia, non so spiegare perché, per esempio, una canzone come Key West (Philosopher Pirate) mi tocca così profondamente e non ci provo nemmeno, a spiegarlo. L’altro giorno ho letto un bel post sul blog White City Cinema di Michael Glover Smith nel quale, in occasione degli 80 anni di Dylan, venivano elencate quelle che secondo l’autore erano le 80 più grandi canzoni di Bob Dylan e al primo posto c’era proprio Key West. La breve motivazione si concludeva così: “This is the final song on my deathbed playlist, the one I hope to be listening to at the exact moment my soul leaves my body.” Non potrei essere più d’accordo. Purtroppo, lo so, non andrà così. A tutti noi piace pensare che ci spegneremo serenamente nel nostro letto magari sulle note di qualcosa che significa molto per noi, circondati dall’affetto dei nostri cari. Invece, per bene che ci andrà, no, non dico niente che è meglio. Il post, che merita, lo trovate qui.
La cifra tonda, com’è naturale, ha già cominciato ad attirare anche quelli che di solito non parlano o non scrivono di Bob Dylan. Probabilmente, sicuramente, lo diranno anche al TG. Chissà. Durare ha anche questo effetto o questo privilegio. Attirare i professionisti della banalità, gli specialisti dell’elogio seriale. Nuovi libri e nuove biografie hanno già cominciato ad affollare le librerie. Di alcuni di questi avremmo potuto forse farne a meno, ma l’occasione è buona anche per libri molto interessanti. E del resto a suo tempo - in epoca, come si dice, non sospetta - ne ho scritto uno anch’io. Peraltro, nello scriverlo, mi è sembrato di pagare almeno in minima parte un debito di riconoscenza per quello che Bob Dylan inconsapevolmente mi ha dato in tutti questi anni. Debito, perché con Il cinema di Bob Dylan ho affrontato un tema trattato poco e male, in genere. E in genere da critici che, dall’alto o dal basso di una loro presunta superiorità, non vedevano l’ora di poter parlare male di Bob Dylan. Certo, adesso vedo qua e là scritti che trattano l’argomento prescindendo bibliograficamente dal mio libro, che pure è stato uno dei due (o tre) al mondo sulla questione, ma tant’è, è normale. Segnalo tra le tante iniziative il numero di Linus dedicato a Dylan. Era una vita che non comperavo Linus. Ne è valsa la pena e vi consiglio di farlo a vostra volta. A parte gli articoli - tra cui quello, immancabile e sempre interessante, del super esperto, nonché traduttore ufficiale dylaniano, Alessandro Carrera - sono di particolare valore specifico gli omaggi fumettistici, naturale prerogativa di una rivista a fumetti. Tra questi mi è molto piaciuto, ma non è un caso, quello di Lorenzo Mattotti.
Dopo otto anni, l’anno appena trascorso ci ha portato, come accennavo sopra, un grande disco di Bob Dylan. La speranza è che per il prossimo l’attesa sia minore e che magari ci siano altre belle sorprese, come, per far solo un esempio, il secondo volume di Chronicles. Sperare non costa nulla ed è forse il sale della vita. Inganneremo comunque l’attesa con quanto già uscito e con quanto uscirà dagli archivi (si parla già del prossimo Bootleg Series dedicato a Infidels…). sapendo, comunque, che in ogni caso quello che ci ha già dato è stato tantissimo: mentre scrivo queste parole sto ascoltando Forever Young nella versione dal vivo di Mannheim del 18 luglio 1981. Basterebbe solo quella, struggente e devastante, a giustificare una carriera.
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