mercoledì 4 settembre 2019
Il signor Diavolo (il libro)
Sapevo che il film Il signor Diavolo di Pupi Avati era tratto da un suo romanzo, ma non l’avevo letto. Anche se, in effetti, non essendo Avati in prima battuta un romanziere, la cosa era piuttosto singolare e destava curiosità. Dopo aver visto il film questa curiosità è molto aumentata e così ho letto anche il libro.
Normalmente avviene il contrario. Si legge il libro - che di solito esce prima - e poi si vede il film. Per la maggior parte delle persone, la successione delle frasi continua con la classica: “ma il libro era meglio”. Non per me, ovvio: non sono così banale. O almeno cerco di non esserlo ed evito di fare confronti qualitativi tra due media così diversi.
In questo caso, però, la cosa ancora più interessante - anche se certo non del tutto inedita - è che la riduzione (brutto termine, ma il fatto che venga normalmente usato rende l’idea) cinematografica sia a opera dello stesso autore del libro. Quindi, l’Avati cineasta si occupa di adattare e modificare quanto scritto dall’Avati romanziere per massimizzare l’esito nella forma del film.
La differenza che salta più all’occhio riguarda la figura del protagonista, Furio Momentè, l’oscuro funzionario del Ministero di Grazia e Giustizia misteriosamente incaricato di una delicata missione dopo essere stato per anni relegato a compiti di scarso rilievo. Nel film, è un personaggio ricco di sottintesi, ma con poco retroterra caratteriale esplicito. La sua figura assomiglia - per l’apparente innocenza ed estraneità ai luoghi in cui va in missione - al protagonista di The Wicker Man, il Citizen Kane dell’horror. Oppure, per restare ad Avati, ricorda lo spiazzatissimo Lino Capolicchio de La casa dalle finestre che ridono. Nel libro, invece, è un personaggio con un passato sordido e ben poco commendevole che vive la sua avventura quasi con lo spirito di chi cerca l’espiazione. La differenza è notevole, ma si coglie molto bene come, cinematograficamente, la scelta di Avati sia stata vincente. Sfrondando il background di Furio, Avati si è concentrato, in una mirabile sintesi narrativa, sul cuore del racconto senza perdersi in diversioni e cambiando la psicologia del personaggio di quel tanto che bastava senza minimamente ridurne l’impatto sulla storia.
Altre differenze stanno in episodi che si trovano sia nel libro sia nel film, ma che risaltano in modo assai diverso. Per fare solo un esempio, il cruciale episodio dell’ostia calpestata nel libro è un passaggio veloce, pur restando importante, mentre nel film, per come Avati l’ha messa in scena, risalta con un’efficacia sinistra di grandissimo impatto.
Notevole è anche il lavoro sul personaggio del sagrestano, nel film, dove viene fatto risaltare ben più che nel libro.
Anche il finale, pur restando simile negli intenti e nella soluzione, nel film è arricchito di pathos e di sfumature arrivando a vette di inquietudine che nel libro restano più sotto traccia, in linea con la differente psicologia del protagonista.
Detto questo, che è interessante soprattutto a livello per così dire scolastico in quanto consente di esaminare i meccanismi della trasformazione, da parte dello steso autore, di un’idea da scritta a visuale, quello che più conta è valutare come sia il libro in sé. Ebbene, nonostante l’abbia letto dopo aver visto il film e sapessi quindi la storia e nonostante la storia resti in gran parte la stessa, devo dire che il libro mi ha convinto per la qualità della scrittura e della narrazione, fluide e avvincenti. Il mondo oscuro e segnato dal destino che emerge dalle parole di Avati è vivido e inquietante, anche dietro l’apparente freddezza burocratica dei tanti verbali di interrogatorio che punteggiano il racconto. Ne consiglio quindi la lettura sia a chi ha visto il film sia, ancora di più, a chi ancora non l’ha visto. Ovvio che il passaggio successivo, per quest’ultimo, sia comunque quello di vedere il film.
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2 commenti:
Ho appena terminato di leggere il libro e, come te, l'ho fatto dopo aver visto il film. Concordo pienamente con quello che scrivi e devo dire che, anche a me, è piaciuto più il film del libro. Verissimo quello che riporti relativamente al fatto che nel film vengono esaltati magistralmente alcuni passaggi importanti che nel libro sono appena accennati.
Varie le differenze, ma quella che più di tutte mi ha colpito è sul finale, dove nel film si vede il bambino imputato a fianco del sagrestano, mentre chiude la botola, mentre nel libro non se ne fa menzione alcuna.
Saluti,
Mirco
Saluti anche a te e grazie per il commento, molto centrato.
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