Qualche giorno fa è morto Sam Shepard, 73 anni. Commediografo di vaglia, attore di successo, scrittore e anche, un paio di volte, regista (di Far North, per esempio). La sua importanza nell’ambito della cultura americana è stata esaurientemente ricordata nei vari coccodrilli e articoli rievocativi visti sul web e sui quotidiani. Si è rimarcato in particolare come fosse un intellettuale dotato di una presenza carismatica che ne ha favorito il successo come attore anche in film del mainstream hollywoodiano. Aveva il physique du role e sapeva recitare, cosa piuttosto rara in chi, come lavoro principale, scrive. In particolare, è stata ricordata con favore la sua notevole interpretazione in Uomini veri, che gli valse una nomination all’Oscar per miglior attore non protagonista. Naturalmente, non si è mancato di ricordare anche la sua lunga liaison con Jessica Lange. Insomma, una figura a tutto tondo di grande americano, profondo e, quando serve, di spettacolo.
Una cosa che però non ho visto ricordata in nessuno dei pezzi rievocativi che ho visto su di lui è il suo rapporto con Bob Dylan. Generalmente, si è dato come esordio cinematografico attoriale I giorni del cielo (1978), capolavoro di Terrence Malick. Una licenza poetica, si potrebbe dire, vista l'importanza del film, perché ben prima (1970) Shepard aveva partecipato a un bizzarro e dimenticato film, Brand X di Win Chamberlain, sorta di mockumentary. Ma soprattutto aveva partecipato a Renaldo e Clara (1978) di Bob Dylan, nel ruolo di Rodeo (non dimentichiamo che, nella realtà, Shepard ha bazzicato parecchio l’ambiente dei rodeo). Uscito nel gennaio del 1978, Renaldo e Clara, se non contiamo la stranezza di Brand X, può essere considerato il vero esordio attoriale di Shepard (d’accordo, quanto a stranezza, Renaldo e Clara se la vede con chiunque).
Ma non solo. Per partecipare a Renaldo e Clara, in realtà, Shepard ha partecipato anche alla Rolling Thinder Revue, lo scombinato ed entusiasmante tour collettivo nel quale il film, a margine, è stato girato. E sulla sua partecipazione Shepard ha addirittura scritto un libro, una sorta di diario intitolato The Rolling Thunder Logbook, affascinante e vivace: una lettura più che consigliata.
Ma non solo. Qualche anno più tardi Shepard ha scritto con Bob Dylan una canzone, New Danville Girl, che poi è diventata, probabilmente trasformata dal solo Dylan, Brownsville Girl. Outtake di Empire Burlesque (1985), New Danville Girl è stata poi pubblicata, trasformata in Brownsville Girl, in Knocked Out Loaded (1986). Grande canzone e grande interpretazione: un brano epocale che racconta una storia partendo dai dettagli ed evitando di fornire un quadro completo, ma intersecando varie vicende, con un sacco di riferimenti cinematografici e un’attenzione particolare per Gregory Peck (che infatti, compiaciuto, la citò quando introdusse Dylan a un importante premio presidenziale), ricca di versi fulminanti (“The only thing I knew for sure about Henry Porter/was that his name wasn’t Henry Porter).
Da non dimenticare inoltre il curioso atto unico/intervista che Shepard scrisse su/con Dylan in quegli anni e venne pubblicato, se non ricordo male, su Esquire (dovrei controllare, ma calura e pigrizia incombono).
Grande ammiratore di Dylan, Shepard ha avuto la fortuna di incorciarne la strada più volte e la bravura di saper cogliere l’occasione per creare qualcosa di significativo. E così, se volete ricordare il grande Sam Shepard, potreste anche valutare l’opzione di ascoltarvi Brownsville Girl: non credo ne rimarrete delusi.
Qui sopra la cover dell’edizione americana di The Rolling Thunder Logbook (quella che ho): dovrebbe comunque essere uscita anche una versione italiana.
giovedì 3 agosto 2017
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