Creare una franchise di successo è già una cosa che definisce e valorizza una carriera. Crearne due è una cosa addirittura eccezionale. Riuscire inoltre a piazzare un altro paio di film che, senza arrivare ai successi delle due franchise, sono stati comunque capaci di influenzare e di generare sequel e remake è il segno di una personalità di forte creatività. Fare tutto questo nell'ambito del genere horror, oltre tutto, è quasi un miracolo.
Wes Craven, che se n’è andato ieri dopo una lunga malattia, era riuscito a fare tutto questo. Partito nell’ambito dell’horror profondamente - e forse anche confusamente - radicato nella metafora politico-sociologica (L’ultima casa a sinistra e Le colline hanno gli occhi) era poi passato a orrori più astratti e psicanalitici con la geniale intuizione del Freddie Krueger della serie di Nightmare on Elm Street. Poi era fatalmente - ma genialmente - finito a riflettere non senza autoironia sulla natura stessa del genere cinematografico di cui era diventato un alfiere, con la serie iniziata con Scream - Chi urla muore.
In mezzo c’erano stati tanti film anche poco riusciti, che lasciavano sempre il dubbio su come fosse possibile che fossero stati diretti dalla stessa persona che era stata capace di prove eccezionali. Ma forse era stato il desiderio di sperimentare, di cambiare, ad averlo talvolta tradito. Oppure, nella confusa fase della sua carriera seguita a Le colline hanno gli occhi, magari erano state le esigenze commerciali a convincerlo/costringerlo ad accettare progetti poco promettenti.
Ma al di là dei passi falsi resta quanto di buono Craven è riuscito a fare, che, come sopra delineato, non è stato per niente poco. Craven è una sorta di congiunzione tra l’horror “cattivo” degli anni ‘70 e quello tecnologico - e spesso inerte - dell’ultimo paio di decenni (parliamo del cinema americano). Uno degli ultimi artigiani dell’orrore, in grado però di stupire quando meno te lo aspettavi.
lunedì 31 agosto 2015
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