Val Lewton è una figura chiave, pur nella sua marginalità, nella storia del cinema e la sua memoria va coltivata con cura e dedizione in un mondo che, naturalmente, tende a dimenticare. Era “solo” un produttore, non ha mai diretto un film, però la sua personalità permeava a tal punto i film che produceva da renderlo di fatto il loro vero autore, pur senza voler con questo sminuire il ruolo non secondario svolto dai registi di cui si è servito, alcuni dei quali - Jacques Tourneur e Robert Wise in testa - erano dei veri maestri.
I film di Lewton hanno introdotto un concetto nuovo di orrore. Sono opere sorprendentemente adulte, complesse, ricche di riferimenti a filosofia e psicanalisi, largamente anticipatrici anche se ben poco seguite nelle loro linee fondamentali, proprio perché particolarmente sofisticate in un genere che, nel suo corpus principale, privilegia la semplicità e la commerciabilità.
Marco Chiani dedica a Lewton un libro, Val Lewton - Il giardino delle ombre (Profondo Rosso, 2012, 256 pagine, € 25), analizzandone, film dopo film, la sua breve, ma intensa, carriera e delineandone la parabola creativa conclusasi con una morte prematura cui non devono essere state estranee le delusioni e i contrasti con un establishment produttivo che gli lasciava spazio e libertà solo se e fin quando generava utili. E che Lewton sia riuscito a generarne pur con opere così cupe, intense e pessimiste è uno di quei felici misteri che la qualità da sola non può spiegare. Il libro è agile ma non superficiale, scritto in modo scorrevole e ricco di riferimenti e approfondimenti: una lettura dotta e piacevole che svolge in pieno il ruolo che un critico, in fondo, dovrebbe cercare di avere, quello di dare al lettore riferimenti, contesto e interpretazioni valutative spingendolo, soprattutto, a vedere o rivedere i film, a propagare così la conoscenza diretta dell’oggetto dell’analisi. Perché Lewton è un autore unico che va conosciuto per quanto i suoi film - che non hanno perso nulla con il passare degli anni e anzi si rivelano sempre più moderni - possono dare (e dire) ancora oggi.
Completano il libro, oltre alla mia introduzione, una prefazione di Dario Argento, due interventi di Luigi Cozzi (un lungo articolo sulle principali attrici lewtoniane e una divertente e un po’ sfrontata reminiscenza sulla sua attività di distributore lewtoniano) e altri interventi di Antonio Fabio Familiari (sui registi formatisi alla scuola di Lewton e sull’eredità lasciata, nel cinema, da Lewton) e di Christian Oddos (su Jacques Tourneur).
Apprezzabile anche la cura grafica e la qualità delle molte illustrazioni in bianco e nero.
martedì 29 gennaio 2013
Val Lewton - Il giardino delle ombre di Marco Chiani
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