giovedì 12 dicembre 2013

Horror Storytelling

Horror Storytelling è una raccolta di racconti horror curata da Laura Platamone e appena pubblicata da Watson Edizioni. Non ho ancora in mano il libro, ma le caratteristiche parlano di 568 pagine, perciò non è un libro, ma un librone che dovrebbe accontentare senz'altro gli appassionati.

Perché ne parlo? In particolare, perché all'interno c'è un mio racconto che si intitola La casa nel bosco. In generale, perché mi sembra un'ottima iniziativa di una casa editrice nata da poco, ma piena di idee.

Per ora, mi limito ad annunciarlo: tra qualche giorno entrerò più nei particolari. Un particolare, però, lo posso svelare già subito: il mio racconto non è niente male.

Horror Storytelling lo trovate anche nelle librerie online: per esempio qui, qui e naturalmente qui.

venerdì 29 novembre 2013

Il cinema di Bob Dylan - Intervista (a me) su Radio Dimensione Musica

Lo scorso 28 ottobre, ho avuto il piacere di essere intervistato da Chiara Felici per Radio Dimensione Musica in occasione dell'avvicinarsi del tour italiano di Bob Dylan. L'argomento principale è stato il mio libro Il cinema di Bob Dylan e quindi il rapporto tra Bob Dylan e il cinema.
  Ma non solo. Come ho scoperto, Chiara Felici si interessa anche di cinema dell'orrore e quindi il discorso è scivolato inevitabilmente (e volentieri) sul Dizionario dei film horror. Del resto, una frase che a un certo punto avevo pensato di far mettere nel retrocopertina del Dizionario era proprio una citazione da Bob Dylan: "Welcome to the land of the living dead".

Chi vuole ascoltare l'intervista può andare sul sito di Radio Dimensione Musica a questo link.

sabato 9 novembre 2013

Bob Dylan a Padova, Gran Teatro Geox, 8 novembre 2013

Per la terza volta dal 2010, Bob Dylan è venuto a Padova, la mia città, e questa è già una cosa che mi dispone più che favorevolmente perché mi ha evitato viaggi e disagi (certo, ci ho messo tre quarti d’ora a lasciare la bolgia del parcheggio del Gran Teatro dopo il concerto, ma non è che si possa avere proprio tutto).
Annunciato come un tour “teatrale”, in ambienti più raccolti, nella tappa padovana l’ensemble dylaniana si è sistemata nel Gran Teatro Geox, una struttura moderna e in qualche misura provvisoria (esteticamente, assomiglia a una sorta di tendone da circo  stabilizzato e modernizzato), che, al suo interno, per come è stato sistemato per il concerto, non differiva molto dal Palasport che aveva accolto Dylan nei due precedenti padovani (di cui ho scritto qui e qui). Davanti al palco uno spazio consistente per gli spettatori in piedi (si tratta di una resa a quelli che, quando c’erano le file di sedie sino davanti al palco, bypassavano ogni servizio d’ordine per piazzarsi davanti al palco ostruendo la visuale a chi era seduto) e poi, ben più indietro, le file di sedie per chi la musica preferisce ascoltarla con concentrazione e raccoglimento (oltre che più comodamente, diciamolo).


Il gruppo è sempre quello: l’inossidabile Tony Garnier al basso, George Recile alla batteria, Stu Kimball alla chitarra ritmica, Charlie Sexton alla chitarra solista (che poi, insomma, proprio solista non è: devo dire che mi sarebbe piaciuto poter ascoltare Duke Robilard, ma non è durato abbastanza nel tourbillion chitarristico di questo tour) e Donnie Herron a tutta una serie di strumenti per colorare il suono per quanto possibile. E, naturalmente, Bob Dylan al piano e all’armonica.


Nel complesso, il concerto è stato ottimo, con un Dylan in ottima forma vocale: d’accordo, questa è un’affermazione da prendere con le molle, ma, tenuto conto della situazione della sua voce, ho notato dei concreti miglioramenti: ha cantato bene, le parole si sentivano quasi sempre e soprattutto ha ormai modificato il suo modo di cantare in modo da ottimizzare la resa della sua voce. Inoltre, e questa può essere una sorpresa per chi si ricorda il non eccelso uso delle tastiere negli anni passati, ha suonato il piano con personalità ed efficacia. Del resto, non mancano nella discografia dylaniana ottimi esempi pianistici del nostro, dagli anni Sessanta ai nostri giorni.


Questa la scaletta dei brani:


Things Have Changed: una canzone che migliora con l’andare degli anni e diventa sempre più amara e travolgente. Dylan l’ha interpretata con intensità andando al cuore del significato delle parole, accompagnato da un tappeto sonoro travolgente e ritmato che ha reso giustizia a una melodia trascinante. Uno dei punti migliori del concerto, un pezzo che ha mostrato ormai di poter appartenere al canone dei grandi brani dylaniani. Dylan l’ha cantata prendendosi il centro del palco, senza alcun diaframma strumentale tra sé e il pubblico, da vero e puro performer.


She Belongs To Me:  un reperto dell’epoca d’oro, rivisitato con fantasia e bravura e arricchito da un utilizzo lancinante e trascinante dell’armonica. Il ritmo è stato abbassato e le parole scandite con precisione, trasformando quello che era un ritratto femminile amabile e singolare in uno struggente rimpianto. Dylan è rimasto ancora a centro palco per poi prendere posto al piano per il brano successivo.


Beyond Here Lies Nothing: un brano, se vogliamo, minore, tratto da un album anch’esso minore, pur se pregevole (Together Through Life). Ricco però di un’atmosfera fumosa e blues, resa perfettamente da un’interpretazione concentrata di Dylan e della band.


What Good Am I?: una canzone fantastica tratta da un album fantastico (Oh Mercy). Ricordo un’interpretazione eccezionale in un concerto non amato dai più (Correggio ’92), questa è stata più che all’altezza e rappresenta un altro dei punti migliori del concerto. Intensa, intima, struggente, What Good Am I? acquisisce sempre più significato quanto più ci immergiamo in questi tempi di crisi e di indifferenza, nei quali, come forse sempre peraltro, è l’atteggiamento individuale che può salvarci e renderci diversi dalla massa di chi non vuol vedere e non vuole partecipare alla sofferenza altrui. Grande lavoro di Dylan al piano e grande resa vocale.


Waiting For You: dopo Things Have Changed, un’altra delle canzoni scritte da Dylan per il cinema. Un valzerone accattivante e trascinante, è piacevole da sentire: un momento leggero nel quale, però, la voce di Dylan ha mostrato un’usura dovuta probabilmente proprio al tono della canzone e alla difficoltà di sostenerlo.


Duquesne Whistle: prima canzone da Tempest del concerto, è diventata quasi istantaneamente un must dylaniano per il suo ritmo travolgente e la sua atmosfera maudit. Con Dylan sempre al piano, il brano ha mantenuto la sua naturale comunicativa e ha coinvolto alla grande il pubblico.


Pay in Blood: un altro brano da Tempest, duro e cattivo. Rispetto all’album, questa versione dal vivo è persino migliore. Dylan ha ripreso il centro palco e ha scandito con fiera aria vendicativa parole taglienti e severe, ben sorretto dalla band. Pago col sangue, ma non con il mio: semplicemente perfetto.


Tangled Up in Blue: un vecchi classico rivisitato con stile e non era facile perché si tratta di un brano che di rivisitazioni ne ha avute a bizzeffe, mantenendosi sempre all’altezza. Un evergreen che è sempre un piacere ascoltare e che Dylan ha gratificato di un buon lavoro al piano.


Love Sick: Dylan è tornato a centro palco e all’uso dell’armonica, arricchendo un brano che, di suo, è già notevole. È uno dei pezzi che ha avuto meno mutazioni dal vivo, proprio perché dotato sin dall’inizio di una struttura ferrea e accattivante. 


High Water (For Charley Patton): dopo l’intervallo che è diventato consuetudine in questo tour, Dylan è tornato, ancora a centro palco, per uno dei pezzi più significativi degli ultimi anni. Blues trascinante e guidato da un banjo piacevolmente ossessivo (che da qualche tempo ha preso singolarmente a richiamare, del tutto inconsapevolmente penso, qualcosa di simile al riff di Bada Caterina di Carmen Villani), è stato interpretato al meglio da Dylan, grazie anche a un efficacissimo uso dell’armonica.


Simple Twist of Fate: Dylan è tornato al piano per una resa intima e soffusa di un altro grande classico da Blood on the Tracks, riportato alla verità malinconica delle sue parole. Ottima interpretazione, tra le migliori del concerto.


A Hard Rain’s A-Gonna Fall: super classico dei primi allori dylaniani, cantato con simpatica idiosincrasia per la melodia originale e rivitalizzato senza fargli perdere un’oncia del suo valore ammonitore tuttora più che attuale.


Forgetful Heart: una canzone che è stato facile sottovalutare all’epoca della sua uscita (in Together Thorugh Life), ma che, nelle interpretazioni live, è cresciuta anno dopo anno per diventare adesso un momento altissimo e di intensità quasi estrema dei concerti dylaniani. Straziante, indicibilmente sofferta, è un lento e coinvolgente lamento sull’amore e sulla sua impossibilità. L’interpretazione migliore del concerto (dopo Long and Wasted Years), con un prezioso lavoro all’armonica.


Spirit on the Water: dopo tanta intensità, un momento di leggerezza.


Scarlet Town: un altro dei gioielli di Tempest, ricco di riferimenti al mondo del folk e ritratto crudo e solo apparentemente alterato dalla mitologia del linguaggio popolare. Dylan l’ha interpretato alla perfezione, fondendo mirabilmente il ritratto della cittadina immaginaria del folk con quella forse della sua cittadina natale (e, metaforicamente, di tutto il nostro mondo) per trarne dei succhi amari e persino minacciosi sulla sopraffazione.


Soon After Midnight: forse una canzone semplice, ma sicuramente una canzone che è bello sentire. Anche questa viene da Tempest, un album di altissimo livello, e ne rappresenta il lato melodico e struggente. Grande interpretazione, intensa e soffusa.


Long And Wasted Years: semplicemente, la perla della serata. Da subito è stata la mia canzone preferita da Tempest e dal vivo non perde nulla, semmai guadagna. Di una verità quasi insostenibile, è la riedizione per gli anni duemila delle famose canzoni di non-amore di Dylan, temperata da una saggezza e da una consapevolezza che richiamano Dont Think Twice, It’s Alright. Bob Dylan ha riguadagnato il centro palco e si è concentrato in una resa vocale sicura e trascinante. Eccezionale.


All Along the Watchtower: dopo una brevissima sosta, i cosiddetti bis, dedicati a brani iper collaudati. Però c’è da dire che All Along the Watchtower - in sé un brano che è così bello da essere impossibile da rendere male - è stato riletto in una versione rallentata che richiama (ma è ben diversa) quella del tour del 1987 con Tom Petty. A un certo punto c’è quasi una sospensione della canzone con una dilatazione magica dei tempi che mi ha ricordato il lavoro, mirabile, fatto da Dylan con Knockin’ On Heaven’s Door nella Rolling Thunder Revue. In poche parole un’ottima versione.


Blowin’ in the Wind: chiusura con un classicissimo che, per l’apparente casualità dell’introduzione, ha ricordato l’analoga operazione fatta con lo stesso brano nel, mi pare, 1993. Ottima versione, abbastanza diversa dall’originale da permettere a Dylan di cantarla senza annoiarsi. Buona armonica, con Dylan che è tornato al piano per questi due ultimi brani.


May God bless and keep him always.


P.S. c’è da aggiungere che certe volte uno si chiede perché la gente vada ai concerti. Forse sono io che ho perso contatto con la realtà, ma la mia motivazione è sempre stata - e tale è rimasta - quella di ascoltare. Invece, oggi è un tripudio di chiacchiere, di telefonini alzati, di flash continui. Inoltre, è risaputo che Bob Dylan inizia il concerto esattamente all’ora programmata. Invece, le prime (parecchie) canzoni sono state disturbate dall’andirivieni dei ritardatari che cercavano il loro posto con l’aiuto delle povere hostess che cercavano di farsi piccole, ma più di tanto non lo erano e comunque non lo erano i tipi che accompagnavano al posto. Poi ci sono le sventure casuali: il mio vicino di posto continuava a soffiarsi il naso con una potenza elefantiaca e quello dietro di me cantava a squarciagola le canzoni mentre le cantava anche Dylan (fortunatamente le canzoni nuove evidentemente non le conosceva e quindi si parzialmente astenuto su quelle: parzialmente, perché talvolta anche quando non sapeva le parole cantava lo stesso). Avrei voluto fargli notare che avevo pagato per sentire Dylan, non lui, ma mi sono astenuto: magari mi avrebbe risposto che a caval donato non si guarda in bocca.

giovedì 7 novembre 2013

Bob Dylan su Segnocinema 184

Ma oltre all'articolo su Tinto Brass (di cui al post precedente), nel numero 184 di Segnocinema c'è un altro mio contributo, un articolo più breve (ma non brevissimo) nel quale torno a scrivere sul rapporto controverso tra Bob Dylan e il cinema, già oggetto del mio libro Il cinema di Bob Dylan.

L'articolo si intitola Bob Dylan e il cinema, un amore difficile e tratta proprio di questo, di ciò che è successo tra Dylan e la settima arte, di quello che ha funzionato e non ha funzionato e, se è possibile sintetizzarlo, perché. Una lettura, quindi, imperdibile. Soprattutto per chi si è perso il mio libro (nel senso che non l'ha letto), ma è probabile che chi si è perso quello si perda volentieri anche questo (l'articolo). In ogni caso, per tagliare la testa al toro, domani vado a vedermi il buon vecchio Bob in concerto e questo è quanto.

L'articolo, comunque, è contenuto all'interno di uno speciale molto interessante a cura di Luca Bandirali, dal titolo Born in the USA - La popular music nel cinema americano. Ci sono molti articoli sui vari aspetti del fenomeno e l'argomento è tale da poter interessare chiunque apprezzi musica - con particolare riferimento al pop e al rock - e cinema.

Qui sopra, Bob Dylan in Masked and Anonymous.

martedì 5 novembre 2013

Tinto Brass su Segnocinema 184

Il mio consueto articolone annuale per Segnocinema questa volta riguarda Tinto Brass, che quest'anno ha festeggiato gli ottant'anni. Si intitola Tinto Brass prima della Chiave e si trova nel numero 184 (novembre-dicembre 2013) della rivista, che potete trovare in libreria o per abbonamento (maggiori dettagli qui).

Come è già avvenuto nei due precedenti anni per Terence Fisher e George A. Romero, mi sono occupato del periodo meno (attualmente) noto e più lontano nel tempo, quello che precede il grande successo di La chiave. Un periodo ricco di film particolari e assai diversi tra loro, da Il disco volante con Alberto Sordi a Yankee, un western con Philippe Leroy, al dittico con Vanessa Redgrave e Franco Nero, all'incredibile Caligola con Malcolm McDowell e a molti altri ancora. Un periodo assolutamente da riscoprire e che può far scoprire aspetti nascosti e insospettabili di Brass per chi conoscesse solo i suoi film più apertamente erotici. Un modo infallibile per avventurarsi in questa riscoperta è leggere il mio articolo, ça va sans dire. Per cui, buona lettura.

venerdì 25 ottobre 2013

Smiley

Sentivate la mancanza degli slasher? Niente paura, sono tornati. O almeno ne è tornato uno, Smiley, diretto da Michael Gallagher. Il film recupera la formula, ma punta anche a una riflessione filosofica e forse magari anche esistenziale: è un bene o un male questa contaminatio? Per quanto mi riguarda, ho scritto una recensione del film per MyMovies e se volete potete andare a leggervela qui.

L'icona terrorifica del serial killer è decisamente azzeccata, ma preferisco mettere qui sopra una fotografia della protagonista, Caitlin Gerard.

venerdì 11 ottobre 2013

I maggiori incassi horror della stagione cinematografica 2012/2013

Come tre, due anni fa e l’anno scorso, ecco la classifica degli incassi cinematografici dei film horror che sono comparsi nella Top 100 che potete trovare nella sua interezza qui, nel sito di MyMovies. La posizione tra parentesi è appunto quella che i singoli film occupano nella classifica generale, mentre quella non tra parentesi - inutile dirlo ancora una volta (ma anche se è inutile lo dico lo stesso perché in fondo sono le cose inutili che ci salvano la vita) - è la posizione nella classifica che riguarda solo gli horror. La classifica riguarda la scorsa stagione cinematografica, iniziata nell’agosto 2012 e terminata nel luglio 2013:

1 (3)      The Twilight Saga: Breaking Dawn - Parte 2   18.621.630
2 (34)    World War Z                                                       5.020.583
3 (35)    Prometheus                                                         4.983.468
4 (61)    Hansel & Gretel - Cacciatori di streghe             2.700.833
5 (64)    Resident Evil - Retribution                                2.512.060
6 (66)    La madre                                                            2.430.617
7 (87)    Warm Bodies                                                     1.698.587
8 (90)    The Possession                                                  1.609.383
9 (92)    La casa                                                              1.565.324
10 (96)  Shark 3D                                                           1.483,737
11 (98)  Non aprite quella porta 3D                                1.373.012

Rispetto all’anno scorso, gli horror sono di più e compongono un insieme variegato e non privo di interesse. Anche questa volta il primo posto va a The Twilight Saga, che coniuga orrore e romanticismo e quindi cattura un pubblico che con l’horror puro e duro ha ben poco a che vedere. Un blockbuster zombesco si piazza al secondo posto, dimostrando come i morti viventi mantengano un appeal che va oltre ogni stagione. Anche l’ennesimo episodio di Resident Evil (una saga che ha uno zoccolo duro di indefettibili) e Warm Bodies confermano questo favore del pubblico. Un po’ sotto le attese, direi, il nuovo episodio della serie di Alien che con il ritorno di Ridley Scott prometteva esiti migliori. Buono, per il nostro paese, il riscontro del curioso horror fiabesco-grottesco di Tommy Wirkola (Dead Snow) che impatta come può con il cinema hollywoodiano senza riuscirne né vincitore né vinto. Vedremo per il futuro. Il migliore dei film di questo lotto mi pare sia La madre (è un’opinione personale) che conferma anche da noi un buon esito commerciale. Rappresentante del cinema di fantasmi che qualche anno fa era in grande auge (vi ricordate gli horror giapponesi e le loro versioni americane?), il film sviluppa in modo convincente lo spunto di un fuilminante cortometraggio e lascia sperare che sia nato un autore di tutto rispetto (anche qui, eprò, vedremo: ci sono autori che si esauriscono dopo il primo exploit). The Possession vede il ritorno di Ole Bornedal, il grande autore di Il guardiano di notte (e della sua meno riuscita versione americana), mentre non poteva mancare l’ennesimo remake, stavolta di un classico come La casa. A chiudere due film che, forse, hanno tratto il loro appeal dall’uso del 3D che, se non è più in auge come qualche tempo fa, mantiene evidentemente un certo fascino.

mercoledì 9 ottobre 2013

Dark Skies - Oscure presenze

Dopo Legion e Priest, Scott Stewart ritorna con un nuovo horror appena venato di fantascienza: Dark Skies - Oscure presenze. L'ho recensito per MyMovies e chi vuole leggere quello che scritto non ha che da andare qui.

Qui sopra un'immagine del film, con la protagonsta, brava, Keri Russell in evidenza.

mercoledì 2 ottobre 2013

Oltre i confini del male - Insidious 2

James Wan è uno dei registi horror più interessanti degli ultimi anni: è attaccato alla tradizione, ma sa interpretarla con una certa modernità. Con Saw - L'enigmista ha creato una corrente interna all'horror e generato imitazioni quasi al livello della Settimana Enigmistica. Poi si è dedicato ad altro, giustamente. Insidious - ne ho parlato qui - è stato un successo, per cui, matematicamente, è arrivato il seguito.

Oltre i confini del male - Insidious 2 riprende la storia dal punto in cui era finita nel film precedente, un'abitudine narrativa che vorrei veder praticata più spesso, al posto dei tanti sequel-remake che ci vengono propinati. Chi vuole leggere la mia recensione su MyMovies, può cliccare qui.

Qui sopra Barbara Hershey nel film.

domenica 8 settembre 2013

Spiders 3D

Si può resistere a un monster movie con i ragnoni? Tridimensionale, per giunta? La risposta è naturalmente sì, si può resistere, ma perché mai si dovrebbe? Belli o brutti i film con i ragni giganti si dovrebbero vedere tutti. No, d'accordo, questo è eccessivo, anche perché probabilmente il migliore è stato il primo, Tarantola di Jack Arnold, e da lì è stata una discesa con qualche risalita improvvisa.

Comunque, tutto questo per dire che ce n'è un altro. Si chiama Spiders 3D e il suo autore è un regista ungherese che gli appassionati di horror conoscono bene (e taluni di loro hanno imparato a evitare): Tibor Takacs. Qualcosa di (quasi) buono l'ha fatto in passato, questo Takacs, ma ormai sono molti anni che si dedica a una routine in bilico tra horror e catastrofico (nel senso che i suoi horror sono catastrofici e i suoi catastrofici sono orribili? Siete davvero cattivi se pensate cose del genere).

Anyway, se volete sapere cosa penso di questo suo film, non avete che da andare qui e leggervi la mia recensione su MyMovies.

venerdì 2 agosto 2013

ESP2 - Fenomeni paranormali

ESP - Fenomeni paranormali ha avuto un seguito, come avviene più di talvolta con i film horror. E, come avviene ugualmente talvolta, il titolo è identico con la sola aggiunta di un numero: ESP2 - Fenomeni paranormali.

Si tratta di un found footage movie, uno di quei film, cioè, che partono dal presupposto di farci credere che i filmati che vediamo sono reali (per modo di dire, naturalmente). Un po' come avveniva nei secoli scorsi con i tanti romanzi i cui manoscritti gli autori ci dicevano aver trovato in qualche baule. La moda parte da alcuni momenti di Cannibal Holocaust e ha trovato la consacrazione in The Blair Witch Horror per poi tornare prepotentemente negli ultimi anni.

Anyway, chi vuole sapere cosa penso di questo film, può agevolmente andare a leggere qui la recensione che ho scritto per MyMovies.

giovedì 1 agosto 2013

Shock - My Abstraction of Death

Shock - My Abstraction of Death è un lungometraggio composto da due episodi: Between Us, diretto da Alessandro Redaelli, e Cromophobia, diretto da Domiziano Cristopharo. I due episodi sono abbastanza lunghi da essere in sostanza dei mediometraggi, un po’ come avveniva in Due occhi diabolici della coppia Argento-Romero. Ma se lì il legame era costituito da Edgar Allan Poe (come, curiosamente, negli altri film a episodi cui ha recentemente partecipato Cristopharo: P.O.E. Poetry of Eerie e P.O.E. Project of Evil), qui gli episodi sono scollegati e di stampo completamente diverso. Il che non è un difetto, anzi permette di variare toni e ambienti.

Between Us è uno psycho-horror urbano. Poco prima di Natale: Max (Massimo Onorato) ha litigato con la fidanzata Irene che l’ha conseguentemente lasciato. Yuri (Nicolò Pessi), amico di Max e anche di Irene, gli consiglia di fare la pace con lei. Il giorno dopo, Yuri è in auto per andare a portare il suo regalo a Max, ma la polizia gli telefona: Max è in ospedale in seguito a una rapina nella quale i suoi genitori sono stati uccisi. Yuri si precipita a recuperare l’amico, ancora sotto shock. Se lo porta a casa e cerca di confortarlo. Ma c’è qualcosa che va, oltre al duplice delitto. Qualcosa di ancora più orribile.


Concentrato sui due protagonisti, l’episodio ne traccia dapprima brevemente (ma con buona efficacia) la psicologia, poi ne esamina le reazioni successive al doppio delitto. Tutto quello che è al di là di questo resta fuori dallo schermo, sia il delitto, sia la polizia, generando una discreta sensazione di disagio e di mistero. Il procedere è un po’ lento, ma l’arcano che resta sotteso e qualche irruzione di un apparente soprannaturale mantengono abbastanza desto l’interesse: la storia è ben raccontata, con solo qualche piccolo problema di sintesi. Non è difficile immaginare il retroscena, ma il modo e il momento in cui è svelato sono di buon effetto. Discreta la recitazione dei due protagonisti che però fanno un po’ fatica a reggere tutto l’episodio sulle loro spalle, denotando qua e là qualche incertezza da inesperienza. La scelta di incentrare tutto sui due personaggi principali - dovuta forse anche, e saggiamente se è così, a esigenze produttive - da un lato è azzeccata perché crea una sorta di piccolo mondo interiore isolando il rapporto relazionale e l’amicizia che lega i protagonisti (che è, per Yuri, il vero motore delle sue azioni), dall’altro però, vista la lunghezza e la natura della storia, tende a diluirne l’impatto e a ridurre in parte la credibilità di quanto viene narrato (difficile pensare che la polizia operi solo per telefono in casi del genere).


Cromophobia è un horror sul filo (e oltre) del soprannaturale, ambientato in una casa che pare vivere di vita propria, tanto da influenzare le vite (e soprattutto le morti) di chi vi abita. Marco (Yuri Antonsante) e Celeste (Nancy De Lucia) vanno a vivere in questa vecchia casa in un paesino. Celeste, sotto psicofarmaci, deve riprendersi dopo il dramma di un aborto spontaneo e la mamma (Lucia Batassa) la conforta durante i primi momenti. Celeste è una scrittrice e spera che l’atmosfera “incantata” della casa possa aiutarla a recuperare l’ispirazione. Marco, medico, è spesso via per lavoro e Celeste è stranamente attirata dalle pareti della camera da letto. Passa le notti insonne (grazie anche al russare del marito) e nota cose curiose: sulla parete vicino alla testata del letto ci sono quelli che sembrano graffi. E un gocciolio insistente la tormenta anche se non ci sono perdite idrauliche da nessuna parte. Inoltre, scopre che quel luogo ha un pregresso consistente ed è stato teatro di fatti poco piacevoli, in particolare di una lunga serie di suicidi. Ben presto la vita nella casa si fa terribile per Celeste. Sono solo incubi? E' solo la sua immaginazione o c’è sul serio qualcosa?


Alle prese con uno dei topoi più frequentati del cinema horror - la casa posseduta - Cristopharo non ne rivisita l’impianto in modo particolarmente innovativo, ma lo “abita” alla ricerca di dettagli inquietanti, di particolari enigmatici, di sensazioni di bizzarro disagio: in sostanza, di occasioni per dispiegare il suo innegabile talento visionario, catalizzando su questi aspetti l’attenzione dello spettatore che, come la protagonista, è catturato nel gioco di ciò che (forse) è vero e di ciò che (forse) è solo apparentemente tale. Il finale è in linea con la tradizione di questo sottogenere e porta a compimento un teorema distruttivo la cui realizzazione ha il carattere dell’ineluttibilità e perciò anche, e questo è un piccolo difetto, della prevedibilità. Interessante il recupero di un’atmosfera genuinamente magica e macabra insieme: la discesa di Celeste nell’incubo è costellata di dubbi, di impressioni, di situazioni paradossali che inducono incertezza, tra falsi allarmi, incubi e visioni. Dimostrando ammirevole versatilità, Cristopharo abbandona i toni più carichi dei suoi film precedenti privilegiando una messa in scena raffinata e rarefatta che ben si combina con il tono intimistico e “magico” della storia. Particolarmente apprezzabile la fotografia (dello stesso Cristopharo) che dà risalto a un’ambientazione molto suggestiva negli esterni ed equilibrata negli interni, con notevole cura nell’uso del colore. La gradevolezza estetica e l'attenzione ai dettagli arricchiscono in modo fruttuoso la visione, rendendola sempre rimarchevole e interessante. Buona anche la recitazione - la cui qualità, nei film low-budget, non è affatto da prendere come un fatto acquisito - con Nancy De Lucia molto adatta al personaggio trasognato e turbato che interpreta. Simpatica la caratterizzazione di Peppe Laudisa del dottore, nel finale della storia.


Una menzione, infine, per i titoli di testa di Lorenzo Cannone, molto belli e particolari e per le musiche di Alexander Cimini, notevoli e ricche d’atmosfera.

mercoledì 31 luglio 2013

La mano infernale

Il mondo dell’horror indipendente italiano è fatto (anche) di coraggiosi ed entusiasti che, con pochi mezzi, seguono la loro passione realizzando cortometraggi o addirittura lungometraggi. La mano infernale, scritto, diretto, musicato e montato da Lorenzo Boscaino è uno di questi e prende spunto da un classico della letteratura horror, il racconto La zampa di scimmia di W.W. Jacobs, già all’origine di una grande quantità di film (tra cui uno, di Brett Simmons, in uscita negli USA a ottobre), sia direttamente sia indirettamente (come nel caso di La morte dietro la porta).

1833: due giovani seppelliscono in un bosco un sacchetto con dentro qualcosa che ancora si muove. Oggi, il giovane Sebastian (Eros Bosi) è stato licenziato e, squattrinato, ha problemi con l’affitto di casa. Pure l’auto gli si ferma mentre sta facendo un giretto nel bosco con il cane Peter: il cane scappa tra gli alberi e Sebastian, cercandolo, si imbatte nel vecchio sacchetto sepolto (un po’ troppo in superficie, per la verità). Dentro c’è una mano, come scopre assieme all’amico Fux (Lorenzo Acquafredda), studente di medicina. Invece di portarla alla polizia, Sebastian si fa convincere dall’amico a tenerla in casa per una settimana, mentre l’altro ne fa esaminare un campione in laboratorio. Questo nonostante la mano si sia mossa da sola mentre la toccavano. Sebastian scoprirà che la mano possiede particolari poteri, ma che ci sono controindicazioni notevoli.


L’idea di riprendere il classico racconto di Jacobs per trarne linfa per un horror moderno non è male, ma lo svolgimento risente dei limiti di budget e da alcune, sia pure comprensibili, titubanze nelle sequenze d’azione. Il ritmo si mantiene piuttosto lento anche perché la materia narrativa si dimostra insufficiente per la durata del film (che arriva a circa un’ora), ma nella fase finale una certa concitazione ravviva gli avvenimenti. La storia non esce comunque mai dai binari della prevedibilità, sottofinale compreso.


Certe ingenuità, inoltre, potevano essere evitate (come le orecchie di Vanessa, che avrebbe funzionato come demone anche senza, con il solo comportamento) e la recitazione degli attori - di cui si può apprezzare la dedizione e anche, talvolta, la resa interpretativa - è piuttosto diseguale, non sempre in linea con le necessità di rendere credibile la storia (Eros Bosi, il protagonista, è in grado di gestire abbastanza adeguatamente le scene “normali”, ma mostra qualche difficoltà nei momenti più “drammatici”: questione di esperienza). Il modello registico sembra essere il Raimi di La casa (con i demoni, il bosco e anche la vegetazione semovente), ma se il modello è quello giusto, ne siamo ancora lontani per efficienza ed economia narrativa.


Restano da apprezzare l’impegno e la passione (realizzare un lungometraggio non è per niente facile): inoltre, il film, pur con i suoi difetti, si fa vedere e qualche discreta scena c’è. Perciò, vale la pena di insistere e di provare a migliorare.

La notte del giudizio

Domani esce La notte del giudizio, un thriller-horror di James DeMonaco che ha già riscosso un buon successo negli USA. La premessa dovreste ormai conoscerla, ma è comunque interessante: in un'America del prossimo futuro, durante una notte all'anno è lecito insanire come dicevano i latini. Si può rubare, picchiare e financo ammazzare. 

Il film regge nel suo sviluppo a una simile premessa? Se volete sapere come la penso, andate a leggere la mia recensione su MyMovies: come sempre, la trovate qui.

Tra gli interpreti il pugnace Ethan Hawke, già visto recentemente in Sinister, e Lena Headey.

Qui sopra un'immagine dal film.

sabato 27 luglio 2013

Weekend tra amici

Gianni, Marco, Stefano e Fabrizio sono quattro amici di vecchia data con in comune una grande passione calcistica (per squadre diverse, mai nominate esplicitamente). Alcuni di loro hanno difficoltà di vario genere, ma le superano pur di godersi in santa pace in Tv - come fanno ogni anno - un weekend calcistico in una villetta fuori mano affittata appositamente: l’occasione, come sempre, è un torneo quadrangolare con le squadre per cui, rispettivamente, fanno il tifo. Solo che la pace è più presunta che reale: antiche recriminazioni, problemi quotidiani e tifo calcistico creano tensione. Il torneo subisce un imprevisto rinvio e i quattro anticipano la cena in attesa dell’inizio. Ma le cose non vanno come era previsto e la violenza dilaga.

La situazione di partenza è abbastanza tipica: un gruppo di amici cerca la serenità e una pausa dalle angustie quotidiane in un rito calcistico-amichevole che però ormai è corrotto dal passare del tempo e forse non è mai stato così innocente. Il calcio è l’unica cosa che li unisce ancora, ma proprio il calcio più che una vera passione è in fondo un pretesto: ai quattro non interessa più molto, è solo un modo per vivere in forma vicaria lotte e vendette che si vorrebbero tenere lontane dalla realtà. Finché è possibile. Le ripicche, le delusioni, le invidie sono infatti un ostacolo alla riemersione dell’antica familiarità. Il regista Stefano Simone inscena con abilità l’inquietudine crescente, la tensione strisciante, tra tentativi di familiarizzare e battute infelici e cattive che colpiscono duro proprio chi è più in difficoltà. La ferocia esplode improvvisa, però quasi inevitabile. Ma se il primo delitto risulta credibile nella sua dinamica e nella sua esplosiva causalità, diverso è il caso del secondo delitto che, se pur astutamente giocato sull’inversione delle aspettative, risulta piuttosto forzato. è però il segnale della natura di thriller “filosofico” del film. La credibilità della conclusione dipende molto dall’atteggiamento del singolo spettatore verso questa caratteristica. La svolta, comunque, è nel complesso ben gestita, nei limiti del possibile, anche se il finale manca del colpo d’ala e risulta sostanzialmente ineluttabile.


Discreta nel complesso la prova degli attori, con una menzione particolare per Matteo Perillo che affronta con convinzione il personaggio forse più complesso. Valida la sceneggiatura di Francesco Massaccesi, articolata e brillante nei dialoghi. Il soggetto presenta invece delle forzature proprio per la necessità di dare corpo alla “filosofia” del film. 


Stefano Simone - del suo precedente film ho scritto qui - realizza sicuramente il suo miglior film sino a oggi e il fatto che la crescita qualitativa delle sue opere sia costante fa ben sperare per il futuro. La sua regia è fluida e sicura, le inquadrature sono sempre ben scelte e rifuggono dalla forzata sperimentalità dell’esordiente.





mercoledì 24 luglio 2013

Ancora sul mio racconto in e-book Pactum sceleris

Mi sono reso conto con sorpresa (e raccapriccio) che il mio e-book Pactum sceleris (ne ho parlato qui) non è ancora balzato in vetta alle vendite dei download. Data l’indiscutibile qualità (lo dico io, perciò non si discute) del testo e l’assoluta mia rinomanza, il problema deve certamente risiedere nella poca pubblicità. Quindi, per dare a chiunque (e chicchessia) l’opportunità di capire di cosa si tratta, ho pensato di postare qui l’incipit del racconto, così magari chi lo legge è interessato a capire come si sviluppa e soprattutto come finisce. Perché, lo garantisco, finisce.

Lo so, direte voi (e se non lo dite lo dico io giusto per amor di discussione), questa potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio, perché potrebbe esserci anche qualcuno che, tentato di acquistare l’e-book, si renda conto, leggendo l’incipit (che poi, per quelli che non hanno fatto latino a scuola o se lo sono dimenticato, è l’inizio), che non gli piace proprio per niente e soprassieda (come dicevano Ciccio e Franco) all’acquisto. Ma correrò il rischio, per cui quel che segue è l’inizio di Pactum sceleris: tenete conto che il seguito è meglio, soprattutto perché conduce alla fine e poi non se ne parla più.

Chi vuole, può acquistarlo qui o qui o anche altrove.


Questo, dunque, è l'inizio.


Esistono al mondo cose peggiori di chiamarsi Arnoldo, ma Arnoldo ancora si chiedeva come mai i suoi genitori l’avessero chiamato così. Ed erano passati più di quarant’anni da allora.

Esistono anche cose peggiori di avere una moglie che si odia profondamente. Una di queste cose peggiori è avere una moglie che si odia profondamente, senza avere un’amante. Ma esistono cose ancora peggiori di questa combinazione sfortunata.

Arnoldo pensava a queste cose, come gli capitava spesso, mentre faceva le scale per entrare a casa, dopo una giornata di lavoro che definire dura sarebbe stato un inutile encomio a un’attività che tutto era fuorché dura. Noiosa, avvilente, questo sì. Dura, no.

Era quasi stupito di non sentire il profumo del minestrone. Era martedì. Toccava. E invece, niente. Non sapeva se essere sollevato o preoccupato. Era vero che era in leggero anticipo sulla tabella di marcia della sua consuetudine. I suoi tempi erano abbastanza prevedibili, ma restava sempre l’incognita del traffico, a volte intenso e a volte molto intenso. Stavolta, era stato intenso.

Entrò in casa aspettandosi le consuete frasi di accoglienza tipo “Ah, sei qui?”, “Ah, già qui?”, “Ah, ma non dovevi fare straordinari?”. Il contenuto aveva infinite varianti, ma iniziava sempre con un “Ah” che denotava lo scarso interesse suscitato dal suo arrivo.

Ma come è possibile chiamare Arnoldo un bambino? Forse i suoi genitori avevano preso il nome da quell’editore, pensò. Strano, però, ripensò, perché non leggevano mai.

I genitori non si rendono conto del peso che infliggono ai poveri bambini quando scelgono loro il nome, pensò ancora. Non capiscono che il desiderio dei bambini è solo quello di perdersi in mezzo agli altri, senza la minima connotazione speciale. Non si è mai saputo di qualche Mario, Paolo, Antonio e così via che si siano sentiti oppressi dal loro nome. Gli Arnoldo, invece… Certo, Asdrubale sarebbe stato peggio, ma chi si chiama più Asdrubale? Forse quando l’avevano chiamato Arnoldo, i suoi genitori avevano inteso dargli un segno di distinzione, ma era appunto quello il problema: i bambini non vogliono distinguersi, non quando sono piccoli, vogliono essere accettati dagli altri. Arnoldo sospirò ancora: il trauma non era ancora stato superato. è vero, anche il cognome aveva il suo peso, perché chiamarsi Sgrumoletti non era facile, però non poteva fare una colpa ai genitori per il cognome. Il cognome è qualcosa che viene da molto lontano, certi si chiamano Spada, Arcieri, Bruma delle Vette o in altro modo nobile e perfetto, altri si chiamano Chiappa, Scantanburlo o Lo Mastico. Non c’è niente da fare. Si può chiedere il cambio di cognome alle autorità, ma giusto se ti chiami Merdaccia o qualcos’altro del genere. E poi è una trafila burocratica non indifferente. Arnoldo si teneva il suo Sgrumoletti come una maledizione venuta da qualche divinità non benevola.

Arnoldo si fermò, interdetto. Non c’era stata nessuna frase di benvenuto o, piuttosto, di malvenuto. Invece, c’era Alice, sua moglie, seduta sulla poltrona del salotto, sul bordo della poltrona. Accanto a lei, due valige. Sul tavolino del salotto, una busta chiusa.

Aprila, Arnoldo – disse Alice, con voce ferma e decisa.

Che cosa c’è? – chiese Arnoldo con un risolino. – Il menu di stasera?

Non era il menu. Era un elenco dettagliato delle sue manchevolezze, che comprendevano egoismo, indifferenza, pressappochismo e molte altre cose, tra cui il fatto che voleva sempre tenere lui il telecomando. La lettera finiva dandogli appuntamento in Tribunale per la separazione e poi il divorzio, che, c’era poco da dubitarne, sarebbe stato a caro prezzo.

Ti ho scritto quella lettera per spiegarti tutto – disse Alice. – Intendevo andarmene prima che tu rientrassi.

Arnoldo alzò gli occhi dalla lettera e li posò, interrogativamente, su Alice.

Poi ho pensato che fosse più giusto aspettarti – concluse Alice, alzandosi. – L’ho fatto e adesso sai tutto ciò che devi sapere. Addio.

Arnoldo vide sua moglie afferrare i manici delle valige e dirigersi, senza apparente sforzo, verso la porta. Era evidente, senza ombra di dubbio, che intendeva davvero andarsene. Per un attimo, Arnoldo pensò che era quello che aveva sempre sperato, liberarsi di lei. Fu solo un attimo. Si rese subito conto che non poteva fare a meno dei soldi che lei avrebbe preteso da lui e avrebbe di certo ottenuto dal giudice.

Aspetta – disse Arnoldo, mettendo una mano sulla spalla di Alice. – Dove credi di andare?

Dove mi pare – rispose Alice, senza troppa originalità, ma con grande convinzione. – E togli quella manaccia dalla mia spalla.

Arnoldo tolse la mano, ma con un breve balzo si frappose tra Alice e la porta.

Non crederai di potermi liquidare con una lettera – le disse.

Arnoldo, piantala. E' finita, lo vuoi capire?



The Lost Dinosaurs

Mancavano i dinosauri nel repertorio dei found footage movies ed eccoli qua: The Lost Dinosaurs ce li presenta in tutto il loro splendore, facendo finta che ciò che vediamo sia successo davvero. Il film tira in ballo anche la criptozoologia per dare al tutto un sottofondo scientifico e la cosa ha il suo valore. Si tratta di una disciplina affascinante proprio perché si occupa sostanzialmente di quello che non si sa se c'è, ma molto probabilmente non c'è. Però ci piacerebbe ci fosse. A suo tempo l'ho usata anch'io, la criptozoologia, a fini narrativi, in una storia di un mio personaggio (Ronnie Camera). La storia si chiamava Sasquatch e la criptozoologia ci cascava a fagiolo.

Comunque, chi è interessato alla mia recensione di The Lost Dinosaurs può andare qui, su MyMovies.

Qui sopra un'immagine dal film.

The Last Exorcism - Liberaci dal male

C'era da aspettarselo: L'ultimo esorcismo non era veramente l'ultimo. Per cercare di mascherare questo innegabile fatto, la distribuzione italiana ha mantenuto il titolo originale per il secondo capitolo, ma c'è poco da fare: The Last Exorcism - Liberaci dal male è il seguito di L'ultimo esorcismo, che a questo punto dovrebbe vedersi corretto il titolo in Il penultimo esorcismo (e non pensiamo all'ipotesi di un terzo capitolo...).

Comunque, il film abbandona il formato da reality horror, da found footage movie, per approdi più tradizionali. Un male o un bene? Se volete sapere cosa ne penso, andate a leggere la mia recensione su MyMovies: la trovate qui.

Qui sopra invece Ashley Bell in un momento del film.

mercoledì 26 giugno 2013

Richard Matheson (20 febbraio 1926 – 23 giugno 2013)

Assieme a Kurt Vonnegut, ma certamente per altri versi, è stato lo scrittore che più mi ha influenzato. Era confortante sapere che era ancora vivo e attivo. Adesso che è morto resta il conforto di sapere che ha avuto una vita lunga, produttiva e ricca di successi. Maestro della paranoia e degli incubi quotidiani, ha spaziato per i generi e per i mezzi espressivi diventando anche uno dei più grandi sceneggiatori cinematografici (il ciclo da Poe di Corman resta forse il suo esercizio più famoso; il film Night Creatures da Io sono leggenda per la Hammer, non realizzato per il divieto della censura inglese, forse il rimpianto più forte).

La sua influenza ha colpito tutti o quasi quelli che si sono occupati di horror a livello di scrittura o, conseguentemente, di cinema. King lo considerava uno dei suoi maestri. Spielberg, ho letto, ha detto che era un grande, della stessa categoria di Bradbury e Asimov. Capisco il senso della sua dichiarazione, ma disapprovo in parte: Matheson era più grande di entrambi. George A. Romero ha confessato anche a Matheson in persona d'aver preso spunto da Io sono leggenda per La notte dei morti viventi. La cosa divertente è che Matheson gli chiese se ci avesse guadagnato e quando Romero gli rispose che il film non gli aveva reso niente, Matheson gli disse, più o meno, che allora non c'erano problemi.

Qualcuno gli aveva rimproverato certe scivolate mistiche e sentimentali nella sua tarda e semi-tarda produzione, ma chi non diventa più soft con l'andare degli anni? Quello che Matheson ha fatto è così tanto che ogni eventuale piccolo o grande difetto era (ed è) perdonato in automatico e in ogni caso l'aver cercato strade nuove e diverse era la testimonianza di un autore ancora vivo e cangiante.

Teorizzatore - nella pratica, se così si può dire - dell’importanza della storia sui personaggi e sull’ambientazione, rendeva questi e quella solo nella misura in cui erano funzionali alla storia, alla narrazione. I suoi protagonisti erano degli everyman, eravamo noi ed erano lui, immersi nelle profondità oscure e ineluttabili della vita a fronteggiare un imponderabile indissolubilmente radicato nella realtà, una realtà trasfigurata ma non per questo meno reale. Per la sua biografia, andate a leggere i vari necrologi di questi giorni. Ma soprattutto andate a leggere i suoi libri, se non li avete ancora letti, e rileggeteli se l’avete già fatto: grazie a Fanucci molti di loro sono ancora in stampa. Quelli che mancano li potete trovare su qualche bancarella nelle vecchie edizioni o direttamente in inglese (qualcuno non è stato edito, a quanto mi risulta, tipo Now You See It...: non eccezionale, ma interessante). Gli imprescindibili, a mio avviso, sono Io sono leggenda, Tre millimetri al giorno, Io sono Helen Driscoll. E non trascurate i racconti: era un maestro delle short stories (alcune di queste hanno fatto la storia della televisione nella serie Ai confini della realtà).

mercoledì 19 giugno 2013

50 anni di Messaggero dei Ragazzi

Presso la Basilica di Sant'Antonio a Padova, in uno dei suoi meravigliosi chiostri (il Chiostro del Generale, per l'esattezza), si è aperta una mostra celebrativa per i 50 anni del Messaggero dei Ragazzi (la cui vita è in realtà molto più lunga e comprende il periodo in cui si chiamava Sant'Antonio e i fanciulli). La mostra si intitola 50 anni Meravigliosi! 1963-2013 e in cinque grandi pannelloni racchiude in una veloce ma interessante sintesi i vari decenni della rivista, ognuno dei quali è caratterizzato dalla presenza di autori (di fumetti) molto validi e famosi nonché di rubriche e articoli sempre legati all'attualità e alla sua interpretazione.

Dei fumetti vengono riprodotte parecchie pagine significative, dalle quali emergono firme di assoluto prestigio come Giorgio Cavazzano, Dino Battaglia, Lino Landolfi, Massimo Mattioli e altri ancora. Tra loro, mi fa piacere ricordare qui la presenza di Pinù Intini, che del Mera è stato a lungo redattore rappresentandone una sorta di continuità e di "anima": di suo viene presentata nella mostra la pagina di apertura del fumetto Quel giorno a Dallas, dedicato a JFK. Mi fa anche piacere ricordare con l'occasione che, proprio per il Mera, io e Pinù abbiamo collaborato per diverse storie, tra cui una piuttosto lunga che prendeva spunto dalla leggenda della fortezza di Sigiriya a Sri Lanka.

Ma dato che ho anche sempre avuto un debole per me stesso, segnalo la mia presenza nel pannellone degli anni '90 (la mia collaborazione è durata dal 1987 al 2003), assieme a mio fratello Gianni (che disegnava le mie storie) con la prima tavola di un'avventura di Ronnie Camera, il documentarista d'assalto (vissuto dal 1993 al 2003 sulle pagine del Mera).

La mostra è a ingresso gratuito e durerà sino a ottobre. Purtroppo non è stato realizzato un catalogo.

Qui sopra una foto con la pagina di Ronnie Camera nel pannellone.

venerdì 7 giugno 2013

Flani (16) - Dopo la vita

Il flano di questa volta si riferisce a un film che, riprendendo il format inaugurato da Gli invasati, metteva a confronto la scienza con il soprannaturale, confinando un gruppo di persone - esperte e non - dentro una casa infestata con lo scopo di dimostrare l'esistenza del soprannaturale e tracciarne i contorni. Essendo la casa, come si è detto, infestata, trovare il soprannaturale non è un problema. Il problema è che il soprannaturale non è per nulla benigno. Come sempre per gli horror, il film ha la sua bella scheda nel mio Dizionario dei film horror.

Dopo la vita è tratto da un romanzo di Richard Matheson, il mio scrittore horror preferito, tra i contemporanei: se vi capita, leggete i suoi libri migliori (Io sono leggenda su tutti, ma anche Tre millimetri al giorno, Io sono Helen Driscoll, per non parlare dei racconti). La casa d'inferno (il romanzo da cui è tratto Dopo la vita) non è tra questi, ma è comunque una lettura piacevole. Il cast è di buon livello e spicca la presenza, con un personaggio torbido il giusto, di Pamela Franklin, cui ho dedicato un post qualche tempo fa.

Quanto al flano, ritenere che sia un tantino enfatico non è sbagliato, ma sapete com'è il commercio: non si esagera mai abbastanza. In ogni caso, vi posso garantire che non è soltanto vedendo questo film che potrete sapere veramente cos'è il terrore: vi sono molti altri modi di saperlo e quasi nessuno ha a che fare con il cinema.

domenica 26 maggio 2013

Vampiri a fumetti e Fidanzato vampiro

Come annunciato, ieri, in qualità di componente la giuria del concorso Vampiri a fumetti per fumettisti esordienti, sono stato a Valdagno dove si è svolta la cerimonia di premiazione del concorso, nell'ambito della manifestazione Valdagno che legge organizzata dal Progetto Giovani del Comune di Valdagno.

Tutta questa premessa per arrivare poi a dire, come mi sembra giusto, chi ha vinto il concorso. Si tratta di Tiziana De Piero, con il fumetto Fidanzato vampiro, di cui qui sopra potete vedere un paio di vignette. Il fumetto di Tiziana ha colpito la giuria - della quale facevano parte, oltre a me, il prode Giuliano Piccininno (motore e artefice del premio, nonché insigne fumettista non solo bonelliano con Dampyr e molto altro, ultimamente un ottimo Dracula per il mercato francese), Mauro Penzo (abile organizzatore di Schiocomics), Melissa Zanella (altra ottima disegnatrice bonelliana con Nathan Never in prima fila) e Sofia Terzo (eccellente co-autrice con Giuliano del Dracula francese) - per la qualità dei disegni e la brillantezza di sceneggiatura e dialoghi: un horror virato simpaticamente in commedia, con stile e vivacità.

Al secondo posto si è piazzato Che Draculo di Francesco Guiotto, mentre al terzo, a pari merito, Pandora di De Cecco, Massignani, Padovan, Randon e Tre Spose per un vampiro di Vivian e Munaretto.

Resta da dire che la partecipazione al concorso è stata massiccia nel numero e di qualità mediamente più che apprezzabile, il che depone a favore dell'entusiasmo e delle prospettive dei partecipanti. Perciò, in bocca al lupo a tutti.

venerdì 24 maggio 2013

Bob Dylan 72nd

Diversi post dylaniani in questo blog ultimamente, ma non mi potevo esimere dal celebrare, come di consueto, il compleanno - sono 72, niente male - del nostro.

L'anno trascorso ha segnalato un Bob Dylan ancora capace di sorprendere e di lasciare il segno, con il nuovo album Tempest che si è rivelato essere uno dei migliori degli ultimi decenni e di cui ho già diffusamente parlato qui.

Ma Tempest, benché tuttora molto presente, è già passato e il presente vero e proprio è fatto del per fortuna immancabile tour che si sta rivelando particolarmente interessante. L'ingresso nella band di Duke Robillard, a scapito di un Charlie Sexton decisamente sotto tono negli ultimi tempi, ha rinfrescato il sound dandogli maggiore virtuosità chitarristica, maggior colore (credo che non sia stata estranea a evidenziare la necessità di un cambio del genere la presenza sul palco di Mark Knopfler in diverse occasioni durante i recenti tour congiunti: quando suonava Knopfler si capiva improvvisamente - o ci si ricordava - cosa può fare un chitarrista abile e ispirato).

Inoltre, diversamente da quel che ha sempre fatto (tranne che, principalmente, nel tour del 1966 e la cosa potrebbe anche essere significativa, ma non chiedetemi di cosa), Dylan ha mantenuto ferrea la scaletta dei concerti, concedendosi solo minime variazioni. Ciò ha tolto quella imprevedibilità tipicamente dylaniana, ma, forse non imprevedibilmente, ha aggiunto una qualità e una perfezione nell'esecuzione che, per cambiare, si possono accogliere favorevolmente. Tra le altre cose, riscoprendo una canzone, What Good Am I, già ottima di per sé, ma resa adesso in una versione intensa che ne riscopre appieno il significato (sempre attuale) e dimostra una volta di più che cosa Dylan riesca ancora a fare pur con una voce non più nella forma primigenia.

lunedì 20 maggio 2013

Il cinema di Bob Dylan su Maggie's Farm

Oggi, Mr. Tambourine, il curatore del sito dylaniano Maggie's Farm (creato da Michele Murino), gentilmente si occupa del mio libro Il cinema di Bob Dylan. Se volete leggere ciò che scrive (e ve lo consiglio), seguite questo link (se lo fate nei prossimi giorni, scorrete sino alla data del 19 maggio per trovare la recensione del libro).

Con l'occasione, date anche un'occhiata al sito: è ricco di cose interessanti che ogni appassionato di Bob Dylan non può che apprezzare. E chi non è (ancora) un appassionato di Bob Dylan ha solo un grande vantaggio rispetto a chi lo è già: diventarlo e scoprire qualcosa di eccezionale.

sabato 18 maggio 2013

Vampiri a fumetti (e Dizionario dei film horror)

Sabato 25 maggio a Valdagno, nell'ambito della manifestazione Valdagno che legge  alle ore 20.30 ci sarà la premiazione del concorso Vampiri a fumetti (Sala Bocchese, Palazzo Festari, Corso Italia 63). Sono nella giuria e pertanto sarò presente anch'io. Chi è in zona è invitato a venire (anche nel corso della giornata): la manifestazione è di sicuro interesse. Chi invece non è in zona, farà bene a portarsi celermente in zona. Nella giuria c'è anche il prode e poliedrico Giuliano Piccininno - disegnatore di Dampyr e di mille altre cose - che stavolta gioca in casa.

Prima della premiazione (e quindi un po' prima delle 20.30) ci sarà l'occasione anche per parlare del Dizionario dei film horror (Corte del Fontego) e chi non ce l’ha ancora potrà persino acquistarlo. Sembrerà infatti strano, ma la stragrande maggioranza degli italiani (non parliamo poi degli stranieri) ancora non ce l’ha: ne ho le prove.

Qui sopra la locandina della manifestazione da cui potrete trarre le informazioni del caso: in ogni evenienza, per i dettagli potete visitare il sito www.progettogiovanivaldagno.it.

venerdì 10 maggio 2013

House at the End of the Street

La categoria degli psycho-thriller è tra le più popolate e non manca stagione che ne arrivi più di qualcuno. Qualunque interpretazione psicanalitica è buona purché serva a dare un movente a qualche assassino più o meno seriale. Ricordo i bei tempi degli psycho-thriller hammeriani di Jimmy Sangster, pretestuosissimi e di uno schematismo raffinato. Adesso chi si contenta gode, come sempre. Tra pochi giorni arriva sui nostri schermi House at the End of the Street, classico psycho-thriller dalla struttura molto articolata. Ne ho scritto la recensione per MyMovies e se volete leggerla andate pure qui.

Qui sopra Elisabeth Shue in una scena del film: c'è anche Jennifer Lawrence, ma mi pare doveroso omaggiare un'attrice di valore che ha fatto più di qualche puntata nell'horror, a partire dal non dimenticato Link (dicevo per dire, lo so che l'avete dimenticato tutti).

lunedì 29 aprile 2013

Rosco e Sonny sul Fumetto

Nel numero 85 (marzo 2013) dell’elegante trimestrale Fumetto pubblicato dall’Associazione Nazionale Amici del Fumetto e dell’Illustrazione (ANAFI) c’è un bell’articolo su Rosco e Sonny scritto da Luigi Marcianò, una delle colonne dell’Associazione e, anche, della rivista (la cui copertina - un bellissimo disegno originale di Rodolfo Torti - è dedicata proprio a Rosco e Sonny).

L’articolo si intitola Rosco e Sonny: due poliziotti... in pensione?, dove il punto di domanda è beneaugurante per un sia pur assai difficile ritorno della coppia. Oltre a ripercorrere brevemente, ma non banalmente, la storia dei due poliziotti, Marcianò ha anche condotto un’interessantissima intervista a quattro coinvolgendo gli autori della serie, dai due originari creatori (Claudio Nizzi per i testi e Giancarlo Alessandrini per i disegni) a quelli che hanno preso il testimone, chi prima (Rodolfo Torti ai disegni) chi dopo (io, ai testi). Le mie risposte le conoscevo (ma magari a chi segue questo blog potrà incuriosire leggerle), perciò il mio interesse è andato soprattutto sulle risposte degli altri, sempre puntuali, ricche di notazioni curiose e aneddoti simpatici (io, per esempio, non sapevo che Alessandrini si era ritratto nel personaggio di Sonny), ma soprattutto piene di passione e simpatia per i personaggi e la loro storia. Anche le illustrazioni seguono un apprezzabile percorso filologico: sono presenti le copertine del Giornalino che presentava il primo episodio della serie e di quello che presentava l’ultimo, nonché la prima pagina del primo episodio e l’ultima dell’ultimo, a racchiudere non solo simbolicamente la parabola di questi due personaggi che sono durati molto, ma, se mi è permesso dirlo (e direi di sì, perché qui sono a casa mia), potevano durare ancora. L’articolo si chiude con la cronologia completa di tutti gli episodi di Rosco & Sonny, con tutte le indicazioni del caso (ho avuto ulteriore conferma, quindi, che l’episodio L’ultimo round, il cinquantaduesimo che avevo scritto, non me l’ero perso, ma proprio non era stato pubblicato e, penso, nemmeno disegnato).

Complimenti quindi a Luigi Marcianò per aver dedicato il suo tempo così proficuamente a Rosco & Sonny e un ringraziamento da parte mia anche agli autori che hanno realizzata la serie: Claudio Nizzi, Giancarlo Alessandrini e, ultimo ma non infine, Rodolfo Torti con cui ho condiviso così tante storie e che non ha mai deluso le mie aspettative (anzi). Un ringraziamento, inoltre, a Gino D'Antonio - un grande autore di cui conservo i preziosi insegnamenti - che, quella volta, ha scelto me per scrivere i testi della coppia.

L’occasione è buona anche per ricordare l’attività dell’ANAFI che, dapprima in veste di ANAF, è sulla breccia da lunghissimo tempo (la mia prima tessera di socio, che ancora conservo, risale al 1972, ma loro c’erano già da prima) e ha anche, per me, l’indiscusso merito di avermi conferito, nel 2002, l’unico premio della mia carriera fumettistica. A parte questo, chi si interessa di fumetti, non può non trovare interessante l’attività dell’ANAFI: per avere le sue pubblicazioni (quattro numeri della rivista Fumetto - una rivista il cui formato più che grande è gigantesco - oltre a due volumi che, per il 2013, sono particolarmente interessanti: L’Asso di picche dall’Argentina di Alberto Ongaro e Hugo Pratt e Paperino, le inedite follie inglesi, il tutto a soli 75 euro). Per maggiori dettagli vi invito a dare un’occhiata al sito dell’ANAFI.

lunedì 15 aprile 2013

Ancora su Rosco e Sonny

Segnalo con piacere questo interessante articolo di Carlo Scaringi comparso oggi sul benemerito sito fumettistico afNews.info. Lo segnalo perché parla di Rosco e Sonny, i personaggi che per molti anni ho scritto per Il Giornalino, dopo aver raccolto il testimone da Claudio Nizzi, precedente sceneggiatore della serie nonché suo creatore. Qui sopra una vignetta (la stessa che trovate anche su afNews) da un'avventura di Rosco e Sonny scritta da me e disegnata dal bravissimo Rodolfo Torti, che a sua volta prese il testimone (ma ben prima di me) dal precedente disegnatore Giancarlo Alessandrini.


I miei fumetti e Bob Dylan (3)

Una delle particolarità della miniserie supereroistica Rave che ho scritto nel 1998 - ne ho già parlato qui - è che il titolo dei suoi singoli episodi, sei in tutto, sono citazioni dalle più varie fonti. Presa questa decisione citazionistica, non mi sono potuto esimere dall’inserire un rimando dylaniano. Così il titolo del quarto episodio è I tried my best to love you, but I cannot play this game, che si adattava molto bene al contenuto narrativo e proviene, come ben pochi potrebbero immaginare data la scarsa popolarità della canzone, da Angelina, un pezzo del 1981 appartenente alle sessioni dell’album Shot of Love (un album non troppo amato persino dai dylaniani, ma invece non privo di meriti), ma rimasto inedito sino al 1991 quando è stato inserito in The Bootleg Series vol. 1-3, la prima cornucopia di quella serie. (Tra parentesi, lo so che la citazione non è correttissima, ma ero andato a memoria)

È uno dei grandi misteri dylaniani: perché Angelina non trovò
immediatamente posto  in quell’album - magari assieme a Caribbean Wind, un altro grande inedito di quel periodo. Caribbean Wind, almeno, vide la luce prima, nel 1985, all’interno della raccolta Biograph (tra l’altro, ricordo che, all’epoca, quando Shot of Love non era ancora uscito, avevo letto su una rivista musicale che il titolo del nuovo album di Dylan sarebbe stato proprio Caribbean Wind: quando l’album uscì, di Caribbean Wind non c’era traccia, ma il titolo mi rimase in mente) - considerato che si tratta di una delle migliori canzoni di sempre scritte da Dylan? Enigmatica, suggestiva, profonda, piena di versi fulminanti: se non la conoscete, ascooltatela (magari non scambiandola per Farewell Angelina, che è tutt’altra canzone).

La cosa strana è che, diversamente da altri grandi inediti degli anni ‘80 (penso a Blind Willie McTell, per esempio, di cui peraltro resta ancora inedita la magnifica versione “elettrica”), che di riffe o di raffe arrivarono alle orecchie dei collezionisti via bootleg di varia natura, Angelina proruppe nel mondo dylaniano nel 1991 senza prima essere nota ad alcuno. Un po’ come sarebbe successo, decadi più tardi, a Red River Shore, che però, almeno di nome, si sapeva che esisteva.

Qui sopra la prima pagina del quarto episodio di Rave, disegnato da Giuliano Piccininno - the man who made a name for himself and still has it - e arricchito, come si può facilmente notare, da un’altra citazione dylaniana, risalente stavolta agli anni ‘70.

venerdì 22 marzo 2013

La madre

In questi giorni è uscito La madre, film d'esordio nel lungometraggio (si potrà ancora dire così ora che non si usa più la pellicola?) di Andy Muschietti. Si tratta di un horror ed è presentato da Guillermo del Toro, autore di notevole rilievo nel genere sia per le opere che ha realizzato come regista (Cronos, Hellboy, La spina del diavolo e anche Il labirinto del fauno che non è un horror, ma è comunque bello), sia per quelle che ha in qualche modo incentivato (The Orphanage, Con gli occhi dell'assassino eccetera).

Ne ho scritto la recensione per MyMovies e chi vuole leggerla può trovarla qui.

Una nota a margine: vale la pena, prima o dopo (ma non durante) la visione di La madre, dare un'occhiata a Mamà, il cortometraggio (soli tre minuti) di Muschietti che ha dato origine al tutto. Cercando, lo si trova facilmente in rete (anche su YouTube, direi).

Nella foto, la protagonista Jessica Chastain.